Arrivo alla Shirn Kunsthalle di Francoforte, salgo al primo piano, compro un biglietto, varco la prima sala aprendo una porta e mi trovo in un
supermercato. Sorrido (chissà perché mi sento a mio agio) poi chiedo subito se si può anche comprare qualcosa; qualcuno mi risponde "nulla è in vendita: siamo in un'installazione d'arte di Guillaume Bijl". Irene Ivoi
È così che inizia la mostra Shopping (dal 28 settembre al 1 dicembre 2002) curata dal direttore della Shirn Kunsthalle di Francoforte, Max Hollein, e da Cristoph Grunenberg direttore della Tate di Liverpool.
L'intero lavoro è il frutto di un'esplorazione trasversale fra cultura moderna del consumo e arte contemporanea: fotografie, installazioni, sculture, pitture. È una sintesi intelligente, mai priva di ironia e lucidità, in grado di raccontarci 100 anni di reciproca fascinazione fra chi lavora sullestetica del consumo e chi opera sullespressione artistica.
Questi due mondi hanno iniziato a toccarsi e a sedursi reciprocamente fin dai primi del 900 e i luoghi del consumo sembrano oggi assimilabili a ciò che, nel Basso e Alto Medioevo, erano le cattedrali, luoghi topici di aggregazione e incontro sociale.
Max Hollein dice che Shopping "invita i visitatori a vagabondare in un vasto regno a metà fra lapparire e lessere". Forse questa equivoca distanza tra essere e apparire tormentava anche le anime di coloro che 1000 anni fa cercavano, nelle cattedrali, di espiare i propri peccati, esattamente come noi oggi ci rivolgiamo allo shopping con finalità terapeutiche (per il corpo e lanima), ricercando in esso una nostra stessa identità sociale.
Lo Shopping quindi come risposta alle domanda di una vita, lo shopping come occasione per riconoscersi nel sociale, lo shopping di "oggetti che vedi, desideri, compri e poi dimentichi" come ricorda la lucidissima Barbara Kruger, con un intervento ad hoc per questo evento, di enormi dimensioni sulla facciata della Galleria Kaufhof a Francoforte (la scritta a caratteri cubitali This is you, this is new, this is nothing, this is everything, you want it, you buy it, you forget it).
Fotografia dell'essenza
Come, quando e dove artisti e sperimentatori di immagini e visualità sono entrati nel mondo dei prodotti, rimescolando le carte? Quali le reinterpretazioni possibili?
Tutto inizia ai primi del secolo scorso quando, dalle foto di Hans Finsler o di Albert Renger-Patzsch, si evince un'attenzione alla moltiplicazione delloggetto industriale, che si replica con linguaggio bauhausiano già straordinariamente moderno.
La fotografia, allora, serviva a sintetizzare i linguaggi formali messi in relazione con i primi modelli di pubblicità di prodotto (sono gli anni '20). Degli stessi anni sono le foto di Eugène Atget, che ci riportano in bianco e nero alle vetrine dei grandi stores parigini in grado di vendere un lusso ancora elitario attraverso manichini agghindati con la lingerie del tempo, piuttosto che con le pettinature e le parrucche più in.
Degli anni Trenta sono poi le foto di Berenice Abbot e di Walker Evans: da queste immagini si prefigura lo scaffale da supermarket (il primo è del 1930 a New York: King Kullen). Ma lesposizione dei prodotti è ancora confusa, ma non per questo meno accattivante, anzi
Fra prodotti distribuiti in sacchi piuttosto che esposti senza imballaggio, il paesaggio è ricco, siamo ancora un po distanti dalla pulizia e dallordine dei veri scaffali da supermercato, ma gli ingredienti oramai ci sono tutti. Non a caso questa sezione fotografica è fisicamente e spazialmente vicina, nello scorrere della mostra, allinstallazione di Guillame Bijl dopo la quale il percorso si sdoppia in due direzioni: in unala Claes Oldenburg, Joseph Beuys, Barbara Kruger, Jeff Koons, Andreas Gursky, Damien Hirst e altri; dallaltra parte Andy Warhol, i Fluxus, lesposizione della galleria Bianchini a NY.
Mezzo secolo di immagini
Tutte queste esperienze in mostra sono indicative di cosa è successo negli ultimi cinquant'anni e di come gli artisti abbiano saccheggiato, con filosofie diverse, i prodotti di consumo e le mode del tempo.
Oldenburg nel 61, con il lavoro Store, presentava sculture a forma di hamburger, vestiti, magliette e scarpe fatte di gesso e cartapesta colorata; Warhol nelle dieci foto esposte mostra esempi di consumo quotidiano rendendolo, come fa tutta la Pop Art, icona di uno stile e di un modo di esistere. È qui presente anche la leggendaria mostra nella Galleria Bianchini di New York dove, nel 1964, furono esposti prodotti ortofrutticoli di plastica e prodotti industriali, esattamente come in un supermercato: un intervento Pop di mirabile effetto. Jeff Koons inserisce in vetrine illuminate da neon gli aspirapolveri Hoover, conferendo loro unaura di "desiderabilità" assolutamente improbabile.
Beuys nel 1980 su scaffali industriali distanziati dalle pareti, su cui sono appesi quadri del periodo socialista, espone derrate alimentari confezionate in imballaggi di carta polverosa e un po' antica: sono prodotti della Germania dellEst e dellOvest (a quel tempo ancora divise), non distinguibili fra loro. Di Andreas Gursky, mirabile fotografo tedesco, sono esposte quattro foto di enormi dimensioni, come nel suo inconfondibile stile: la prima è 99 cent (2001) e raffigura prodotti industriali distribuiti su scaffali, il cui costo è di 99 centesimi, appunto; le altre tre foto ritraggono un espositore vuoto della show room Prada (1997), maglie (1998) e infine solo scarpe sempre di Prada (1996). La pulizia formale, l'essere minimale (e proprio per questo pronto ad accogliere lo stile Prada) lo rende un prodotto di vera estetica contemporanea.
Video sul tempo che passa
La mostra continua con una sezione video, montato con stile blob, che raccoglie sequenze di film facilmente riconoscibili che hanno per protagonista latto del consumare: da Pretty Woman a Notting Hill, da Colazione da Tiffany a Delicatessen, ecc. Nella corte circolare interna coperta della Kunsthalle una sequenza di informazioni diacroniche racconta su muro come e quando hanno avuto inizio i percorsi di scambio di beni: dallagorà greca ai mercati di Traiano, dalle gallerie francesi di fine '700 per attraversare tutto il XX secolo fra nascite di supermercati, malls, carte di credito, duty free, finendo con lo shopping on-line.
Arte profetica e consumo consapevole
Per uscire dalla mostra passo dalla cassa del supermercato di Guillaume Bijl e mi ritrovo a fare i conti non con la carta di credito, bensì con una domanda che rimane sospesa: è il supermercato che contiene la mostra o è la mostra che contiene il supermercato? Dove larte, nel suo provocare e porre quesiti silenziosi, cessa di essere se stessa e dove inizia il mondo del consumo vero e "crudo"?
Chi contiene cosa?
Potrebbe sembrare un esercizio intellettuale ma, in realtà, questa contaminazione è proprio un esempio di insiemistica contemporanea. La distanza fra arte e prodotti di consumo è oramai rarefatta, destinati come sono a convivere, contaminarsi, occupando spazi fisici e mentali che si sommano e si sovrappongono.
Non siamo così distanti da un'esperienza d'arte guardando gli scaffali del supermercato, non siamo distanti da gallerie darte in stazioni ferroviare, non siamo distanti da musei di arte contemporanea collocati in centri commerciali
Vedremo un giorno lultimo video di Bill Viola proiettato sui pavimenti di un aeroporto o di un mega mall, vedremo un'installazione di Nam June Paik presso un rivenditore di elettrodomestici alla periferia di una qualunque grande città. Il nostro concentrare i tempi del consumo per bisogni agglomerati, cioè concentrati e parcellizzati, verso un consumo globale di arte e prodotti.
La mostra Shopping si limita a suggerire quello che, in fondo, sta già accadendo, mostrando da una parte come gli artisti abbiano trasformato con disinvoltura i prodotti (e i sogni) in oggetti del desiderio, dallaltra quanto i nostri comportamenti e le nostre emozionalità verso latto del consumo possano essere oggetto di critica e di ironia da parte del mondo dellarte.
E allora, artisti profeti di scenari e consumatori abilmente sedotti e poi abbandonati? Rivediamo i concetti.
L'arte degli ultimi 50 anni dimostra di saper manipolare molto bene i linguaggi della comunicazione, avendo prefigurato ciò che accade fra vetrine, supermercati, siti internet.
Forse sono i consumatori a doversi interrogare di più, accogliendo gli stimoli di queste preziose contaminazioni, per arricchirsi in senso culturale e senza limitarsi ad assecondare l'impulso di possesso.
Irene Ivoi
Esperta di packaging e ambiente
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Shopping
I arrive at the Shirn Kunsthalle in Frankfurt, go up to the first floor, buy a ticket, enter the first hall by opening the door and I find myself in a
supermarket. I smile (maybe because I feel at home) and then I immediately ask if it's actually possible to buy something; someone says nothing's on sale: this is an installation of art by Guillaume Bijl. Irene Ivoi
And so begins the Shopping 2002 exhibition (September 28th to December 1st, 2002), the creation of the Director of the Shirn Kunsthalle in Frankfurt, Max Hollein, and Cristoph Grunenberg, Director of the Liverpool Tate.
The entire project is the fruit of cross-boundary exploration between the modern culture of consumerism and contemporary art: photographs, installations, sculpture, paintings. It's an intelligent synthesis, never without irony and clear-sightedness, capable of giving us a run-down of the last 100 years of that reciprocal fascination shared by those involved in the aesthetics of consumption and artistic expression.
These two worlds started to come into contact and seduce each other way back at the start of the 1900s and the haunts of consumers today are easily comparable to what the cathedrals were like in the Early and Late Middle Ages: local places for gatherings and extending one's social life. Max Hollein says that the Shopping show invites visitors to wander around a huge kingdom that's halfway between mere appearance and actual existence. Maybe this ambiguous gap between being and appearing used to torment the souls of those who, 1000 years ago, sought to expiate their sins in the cathedrals, just as we use shopping as a form of therapy today (for body and soul), seeking our own social identity in it.
So shopping is like an answer to existential questions. Shopping is the opportunity to find one's place in society. Shopping to buy objects that you see, desire, buy and then forget, as the very sharp-witted Barbara Kruger says, with an ad hoc gigantic exhibition in this show on the facade of the Frankfurt's Kaufhof Art Gallery (a writing with capital letters This is you, this is new, this is nothing, this is everything, you want it, you buy it, you forget it).
Snapshot of an essence
How, when and where did artists and experimenters of image and visual quality enter the world of products, mixing the cards? What new reinterpretations are possible?
It all started at the turn of the last century when, as can be seen in the photos by Hans Finsler and Albert Renger-Patzsch, attention was drawn to the multiplication of the industrial object, reproduced in the already amazingly modern Bauhaus language. So the photograph served to epitomise the formal languages used in the early models of product advertising (1920s). The B&W photos by Eugène Atget date from this period, depicting the windows in the Parisian stores able to sell luxury goods, still only afforded by a small elite, with their dummies decked out in the lingerie of the day, rather than the latest hairdos and wigs.Then, from the 1930s, there are the photos of Berenice Abbot and Walker Evans: these images provide a foretaste of the supermarket shelf (the first is dated 1930 in New York: King Kullen). But the way the products are displayed is still a bit confused, but this doesn't mean it's less attractive, in fact
There are many instances of products distributed in bags rather than loose, without packaging, though we're still far from the clean lines and order of proper supermarket shelves, but the ingredients are by now all there.
It's no coincidence that this photo section is physically and spatially close to the Guillame Bijl installation in terms of how the show is read. The path then splits off in two directions: in one wing there's Claes Oldenburg, Joseph Beuys, Barbara Kruger, Jeff Koons, Andreas Gursky, Damien Hirst and others; in the other, Andy Warhol, the Fluxus, the show of the Bianchini Gallery in NY.
Half a century of images
All these experiences on show are indicative of what's happened over the last fifty odd years and how artists have raided consumer products and the fashion of the day, each with their own philosophy.
Oldenburg in 61, with his Store project, presented plaster and coloured papier-mache sculptures in the shape of hamburgers, suits, T-shirts and shoes; the ten Warhol photos in the show provide examples of daily consumption, making them icons of a style and way of life, like all Pop Art.
There's also the legendary show held in the Bianchini Gallery in New York where, in 1964, plastic fruit and vegetables and industrial products were shown, exactly as in a supermarket: a highly admirable instance of Pop. Jeff Koons places Hoover vacuum cleaners in showcases lit up by neon strips, giving them an absolutely improbable air of "desirability".
In 1980 Beuys exhibited deteriorated food in dusty, aged paper packaging on industrial shelves spaced by walls hung with paintings from the Socialist era: products from East and West Germany (still divided at the time), impossible to tell apart.
Then there are four huge photos by Andreas Gursky, the admirable German photographer, typical of his unmistakable style: the first is 99 cent (2001) and portrays the industrial products distributed on shelves all costing 99 cents; the other three photos show an empty display in the Prada showroom (1997), T-shirts (1998) and simply shoes, again by Prada (1996). The formal clean lines and the minimalist essence (and for this very reason, perfect for the Prada style) make it a product of true contemporary aesthetics.
Videos of the times
The show continues with a video section, edited with a satirical style, that collects sequences from easily recognisable films where the act of consumption plays a leading role: from Pretty Woman to Notting Hill, from Breakfast at Tiffany's to Delicatessen, etc.
The covered indoor circular court of the Kunsthalle is host to a sequence of diachronic information on the walls, telling how and when the trade routes first started: from the Greek agora to the Trajan markets, from the French galerie at the end of the 1700s to the whole of the 20th Century, with the birth of the supermarkets, malls, credit cards, duty free and, most recently, shopping on-line.
Prophetic art and conscious consumption
To leave the show, I have to pass through Guillaume Bijl's supermarket check-out, where I have to pay not with a credit card, but with an unanswered question: is it the supermarket that houses the show or the show that houses the supermarket? Where does art, with its provocations and posing of silent questions, cease to be itself and where does the real "raw" world of consumption start?
Who contains what?
It might seem an intellectual exercise, but in reality this contamination is just another example of the contemporary set theory. The distance between art and consumer products is now really rarefied, given that they're destined to live together, contaminate each other, occupy physical and mental space that add up and overlap. We're not that distant from an expression of art when looking at the shelves of a supermarket, nor are we distant from an art gallery when in a railway station or from a museum of contemporary art in a shopping mall
One day we'll be able to see Bill Viola's latest video shown on the floors of an airport or a mega mall, we'll see an installation by Nam June Paik in a store selling household appliances on the outskirts of any major city. Our tendency to concentrate consumption times to suit common needs - i.e. concentrated and parcelled - makes for global consumption of arts and products. The Shopping exhibition confines itself to suggesting what, basically, is already happening, showing both how artists have freely transformed the products (and dreams) into objects of desire and how much our behaviour and emotions involved with the act of consumption can be objects of criticism and irony for the world of art. And so do we have artists foretelling scenarios and consumers that are cleverly seduced and then abandoned? Let's take a second look at the concepts. Art in the last 50 years has shown how it's highly capable of manipulating the languages of communication, having foreshadowed what happens with its store windows, supermarkets and websites. Perhaps consumers ought to question themselves a bit more, welcoming the stimuli coming from all these precious instances of contamination, to enrich their culture, without limiting themselves to just obeying the impulse to buy and possess.
Irene Ivoi
Packaging and environment expert
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