March 2002





Bellezza effetto nido
Beauty products: the “nest effect”

Sotto l’astuccio... il profumo
Inside the box... the perfume

Olfatto: uno scienziato nel limbo
The sense of smell: a scientist in limbo

Cartoncino: punti di vista
Carton: points of view

Dopo il bio arriva l’eco
After organic comes ecological

Ecologia e distribuzione
Ecology and distribution

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Here Italian recipes

Macchine Italia: bene, benissimo
Italian machines: on the up

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Crescere nel cosmetico
Growth in cosmetics

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Make a barrier, with intelligence


M&M News








Esperti di comunicazione, creativi, tecnici e utilizzatori a confronto, per aggiungere un altro tassello alla valorizzazione “intellettuale” di questo materiale
da imballaggio.

Maria Zemira Nociti


urante il convegno “Il pack si fa spazio” (nell’ambito della giornata Punto.Carton organizzata da Pro Carton Italia a Milano il 16 ottobre scorso) sono state approfondite le innumerevoli potenzialità della confezione di cartoncino, supporto alla creatività, strumento di brand communication ed eco-compatibile. Molte le voci che si sono alternate nel corso dei lavori: packaging designer, curatori d’immagine, sociologi e tecnici che, a vario titolo, hanno contribuito alla riuscita dell’incontro. Ecco un compendio degli interventi più stimolanti.

Tempo, stile e contenuti
Oltre a illustrare struttura e obiettivi di Pro Carton, a Richard Dalgleish (Managing Director Pro Carton Europa) è toccato il compito di aprire i lavori. Ha esordito con un interessante parallelo tra quanto è chiesto al relatore di un convegno (affinché la sua esposizione risulti efficace) e quanto è invece richiesto a una confezione, perché riesca ad attrarre l’attenzione di un consumatore e lo invogli all’acquisto: per entrambe è questione di tempo, stile e contenuto. Per un relatore è indispensabile rispettare i tempi che gli sono stati assegnati, deve conferire alla presentazione ritmo e stili appropriati così da tener desta l’attenzione, il contenuto deve riflettere un interesse comune ai partecipanti.
Analogamente, quando un cliente varca la soglia di un punto vendita, dispone di una certa quantità di tempo, è attratto dallo stile di presentazione della merce esposta, vuole essere sicuro di acquistare ciò di cui ha effettivamente bisogno. Peraltro è dimostrato che, nel 70% dei casi, la decisione d’acquisto viene presa direttamente nel negozio, indipendentemente da quanto in precedenza annotato su un’eventuale lista della spesa, e che il tempo medio per decidere è ridottissimo, inferiore a otto secondi, nell’arco dei quali si cambia parere almeno quattro volte.

Funzionale, evocativo, creativo
Un interessante esempio di come la giusta confezione possa non solo facilitare l’affermazione di un marchio, ma addirittura stimolare nuove abitudini di consumo è stato illustrato da Paolo Santini (Responsabile Marketing del gruppo Autogrill per i brand Spizzico e Burger King).
“Fast and Good: nuove applicazioni per il cartoncino”, il titolo del suo intervento, che dal processo di rinnovamento della catena Spizzico, ha ricavato una brillante case history, dimostrando come semplici e ben studiati supporti in cartoncino abbiano contribuito a fare la differenza.
Nell’arco degli ultimi cinque anni si è passati dal concetto di “Fast Food” (spesso associato al consumo di snack rapidi e nutrizionalmente poco sani) all’idea di “Fast and Good”. La tendenza all’incremento del numero di pasti consumati fuori casa continua a consolidarsi, ed a essa è abbinata la progressiva riduzione del tempo dedicato all’acquisto e alla preparazione degli alimenti. Rimane invece invariato il tempo dedicato all’assunzione dei cibi, consumati possibilmente in un ambiente allegro e accogliente. Tutto ciò porta alla trasformazione del concetto di “Fast” in quello di “Quick Service Restaurant”. Anche il risvolto salutistico ha un peso crescente nelle scelte del consumatore, che partendo dall’assunto “io sono quello che mangio” esige maggior qualità e cura nella preparazione di ciò che gli è servito. Da qui lo slogan “Fast and Good”, alla base del rinnovamento del marchio Spizzico.

L’evoluzione
Spizzico nasce nel 1989 con un’offerta molto limitata: pizza e cola. Il suo rilancio è stato graduale ed è passato attraverso diversi stadi: dapprima l’ingegnerizzazione delle cucine che ha permesso di allargare la gamma dei prodotti proposti, inserendo i “finger food” da prendere rigorosamente con le mani, senza bisogno di posate. Il loro arrivo ha reso possibile la presentazione di una serie di menu diversificati. Si sono poi sviluppati alcuni servizi complementari (videowalls, playnets, feste di compleanno per coinvolgere nuove fasce di clientela). La volontà di cambiamento è stata comunicata con il rinnovamento del logo e con la razionalizzazione del lay out dei punti vendita. Determinante per il successo dell’intera operazione è stato anche l’ampliamento del ruolo attribuito ai supporti di cartoncino in cui le porzioni sono servite. Elementi non più soltanto funzionali, ma anche evocativi, e creativi. La funzionalità dei supporti usuali (piatti e bicchieri) è innegabile, ed è confermata dal progressivo incremento dei consumi che hanno sfiorato i cinquantacinque milioni di pezzi l’anno. Ma per Spizzico il cartoncino ha significato molto di più.
È servito da tramite evocativo in occasione del lancio di un nuovo prodotto gli “Arancini” che, presentati nei contenitori tradizionalmente riservati ai nuggets, sono stati immediatamente associati dal cliente alla categoria dei bocconcini di pollo e come tali richiesti e consumati.
Ed infine la creatività. Nessun supporto è paragonabile al cartoncino quanto a risultati grafici e alla possibilità di ottenere forme diverse, talvolta inusuali a prezzi relativamente contenuti.
Un esempio qualificante è l’utilizzo del bicchiere, non più solo per le bibite, ma per accogliere le patatine. Un logo perfettamente raffigurato, una forma originale e inconfondibile, la possibilità di assumere agevolmente il prodotto, impedendone nello stesso tempo l’indesiderata fuoriuscita e lo spargimento sul vassoio hanno rappresentato un valore in più, molto apprezzato dai clienti.

Il segreto per riposizionare un marchio
Satkar Gidda (Direttore Marketing di Siebert Head, agenzia londinese attiva nella consulenza per il branding design) ha illustrato le strategie per massimizzare la brand communication attraverso le confezioni di cartoncino. Frasi stimolanti e d’effetto («La mente umana è come il paracadute: funziona solo quando è aperta» e ancora «A volte la fantasia serve più della conoscenza») si sono alternate ad alcune affermazioni provocatorie e un po’ troppo lapidarie: «Il marketing vede l’imballaggio come qualche cosa di creativo, l’industria come qualche cosa per riempire le discariche» oppure «La tecnologia di un imballaggio ha scarso significato per i consumatori, che non la percepiscono nemmeno...». Incisi a parte, Gidda ha tenuto a sottolineare che l’elemento focale, per una valida brand communication, è afferrare cosa vede effettivamente il consumatore quando si trova di fronte ad un marchio: egli nota l’immagine, ma passa subito oltre, e percepisce l’essenza del marchio. È perciò questa l’essenza che deve essere creata, rafforzata e trasmessa in maniera scrupolosa (la basilare differenza tra immagine ed essenza è stata resa con efficacia dalla presentazione della serie speciale Marlboro: il tradizionale pacchetto di sigarette - logo ben in vista - affiancato da alcune confezioni a edizione limitata, in cui i simboli associabili a Marlboro Team e Marlboro Country rendono lampante l’essenza).

Quando funziona un marchio?
Un marchio funziona a dovere quando, dopo aver soddisfatto le esigenze tecniche del produttore e della catena distributiva, riesce a mettersi in comunicazione diretta con il consumatore finale entrando in sintonia con la sua casa, le sue mani, la sua mente (nonostante sia molto difficile decifrare il meccanismo di un processo d’acquisto dato che, spesso l’acquirente non segue un filo logico. Un packaging di successo è quello che fa esclamare “Mi piace!”, “Lo voglio!”, e solo in un secondo tempo “Ma che cosa è?”.
Sono questi i presupposti su cui Siebert Head ha sviluppato riposizionamento e restyling della confezione di Phileas Fogg Tortillas, un imballaggio che è stato premiato con il Packaging Industry Award 2000 per la sezione creatività. Innanzi tutto una nuova ed inedita immagine per Mr. Fogg, non più arcigno e distaccato gentiluomo, ma sorridente e allegro zio che ama dare suggerimenti amichevoli al consumatore. Poi l’inusuale forma della confezione, una piramide in materiale flessibile (rivisitazione del famoso “Tetra Pak” per il latte) abbinato a un uso attento dei colori per caratterizzare le diverse tipologie di prodotti.
Valutando il progetto l’agenzia ha cercato di individuare le aree che avrebbero permesso al marchio di riacquistare la sua posizione di riferimento per l’intero settore chips.
I punti cardine su cui si è operato sono:
- gli interessi dell’azienda produttrice. La nuova confezione doveva essere razionale, doveva garantire efficienza agli impianti industriali, doveva essere facilmente stoccabile e movimentabile;
- gli interessi della catena distributiva e dei dettaglianti. La nuova confezione doveva garantire il massimo sfruttamento dall’area espositiva, e doveva essere rapidamente posizionabile sugli scaffali;
- le aspettative dei consumatori. La nuova confezione doveva essere attraente e funzionale, per indurre così il desiderio di provare e creare il bisogno di riacquistare.
I tetraedri raggruppati in un vassoio espositore di cartone direttamente scaffalabile hanno appagato a pieno le esigenze logistiche. La saldatura riprodotta a 90° su due lati adiacenti conferisce al pacchetto robustezza ed evita un’indesiderata eccessiva apertura, eliminando i rischi di caduta e spargimento del prodotto. È sicuramente una confezione di rottura rispetto ai tradizionali sacchetti per chips. Il segreto per riposizionare un marchio è tutto qui: capirne l’essenza, identificare l’equilibrio delle regole che lo contraddistinguono e andare oltre, valutando quale di queste regole possa essere infranta e quali siano invece intoccabili. Si ottiene così una confezione nuova, interessante ed efficace.

Voglio la scatola delle scarpe!
Nick Meyer, graphic designer di fama internazionale e socio fondatore di PDA (Pan European Brand Design Association) ha aperto nuovi orizzonti creativi con una relazione dal curioso titolo “Con o senza la scatola delle scarpe?”.
La riflessione prende origine dalla sentenza di un magistrato tedesco che ha giudicato non punibili i consumatori che aprono le confezioni in un punto vendita, per osservarne direttamente il contenuto. Non punibili, perché la scatola non ha alcun valore. Lo stesso principio sembrano affermare i gentilissimi commessi dei negozi di scarpe che, dopo ogni acquisto, chiedono al cliente “Vuole la scatola?” e nel 90% dei casi si sentono rispondere “No, grazie!”.
Il graphic designer deve dunque riuscire a cambiare questa tendenza e rendere la scatola così attraente da spingere il cliente a volerla, portarla a casa e mostrarla agli amici quasi fosse un bene di lusso.
Un supermercato tedesco di medie dimensioni offre di norma 15 mila articoli, un discount ne espone 5 mila circa. Le modalità d’acquisto rispecchiano quanto in precedenza indicato da Dalgleish. Ecco quindi un’altra regola per il packaging designer: “L’imballaggio progettato deve avere la stessa efficacia di uno spot di dieci secondi”.
La confezione deve essere inconfondibile, deve esaltare, entusiasmare, convincere e soprattutto farsi ricordare. Il prodotto contenuto vincola l’imballaggio. Il consumatore sa che una bottiglia conterrà un fluido, un barattolo metallico una conserva sterile. L’imballaggio a sua volta contribuisce a creare il marchio, che è spesso riconosciuto in funzione della sola shape, indipendentemente dalle iscrizioni (è superfluo citare come esempio Coca Cola). Si acquistano quindi delle immagini memorizzate.

Buoni consigli
Dovere del designer è interpretare con gusto e fantasia le caratteristiche distintive del prodotto da confezionare per differenziarlo dai concorrenti in maniera convincente e definitiva. Lo spazio cui va ovviamente dedicata maggiore attenzione è il lato frontale dell’involucro. Altri elementi distintivi saranno nell’ordine, shape, size, colore, materiale, tecnologia, font e linguaggio utilizzati.
Per comprendere come ciò sia importante basta domandarsi se prodotti come Ritter Sport o Toblerone avrebbero lo stesso successo qualora fossero trasformati in comuni tavolette da 100 g, diventando così meno riconoscibili rispetto ai concorrenti. Un ultimo avvertimento: spesso i designer sono contattati solo al termine del processo di sviluppo di un nuovo prodotto, quando le caratteristiche distintive sono ormai tracciate. Sarebbe molto più costruttivo un approccio diverso, un coinvolgimento precoce per dar modo alla loro creatività di esprimersi compiutamente.

Ricordi e realtà
Giovanni Caprara (giornalista del Corriere della Sera) ha ricordato come i primi veri approcci con il cartoncino risalgano all’infanzia. Un cartoncino su cui disegnare, da colorare o da cui ritagliare le prime figure geometriche e il cui ricordo è associato alle prime importanti esperienze tattili e olfattive. Ma oggi, questo materiale è entrato di fatto in un “ciclo virtuoso”, come ha sottolineato Carlo Montalbetti (direttore generale di Comieco). Dal suo punto di osservazione, l’adesione alla raccolta differenziata «è un buon indicatore del crescente senso civico degli italiani». Inoltre, grazie all’adeguamento tecnologico che ha consentito una progressiva e ottimale riduzione dei materiali da imballaggio (rispettando così le regole della prevenzione quali/quantitativa) il cartoncino rientra a pieno titolo in quella rosa di confezioni da “manuale”, realizzate con la prospettiva dell’ottimizzazione. Montalbetti ha anche ricordato che il processo di miglioramento degli imballaggi sarà fondamentalmente dettato dalla necessità delle consegne a domicilio (esigenze di maggior protezione dei prodotti, imballaggi mono materiale per facilitare le operazioni di recupero e valorizzazione post consumo) e in questo senso l’e-commerce non rappresenta una minaccia per il mondo del packaging, piuttosto offre importanti stimoli alla ricerca di soluzioni d’imballaggio evolute.

Ma cosa pensano gli italiani?
Federico Galimberti (responsabile Abacus per il comparto new business), ha illustrato i dati raccolti con una ricerca mirata a valutare le opinioni degli italiani in materia d’imballaggi di carta e cartone e di raccolta differenziata. Sono state realizzate mille interviste a persone scelte in un pannel generico di laureati e diplomati (gruppo uno); ad esse si è aggiunto un pannel più specifico (gruppo due) formato da duecento artigiani e duecento commercianti. Alcune domande erano formulate con possibilità di risposta aperta, altre con risposte pilotate (scelta tra più soluzioni indicate).
Secondo questa ricerca, i principali problemi ambientali in Italia derivano dall’inquinamento (citato dal 55 % degli intervistati); il 26% del primo gruppo ha fatto riferimento specifico allo smaltimento dei rifiuti (anche d’imballaggio) ma la percentuale sale al 36% nel gruppo due, costituito da persone la cui attività implica un contatto quotidiano con questo problema. Il 66% di artigiani e commercianti considera lo smaltimento dei rifiuti un problema “molto grave”, la maggioranza degli appartenenti al gruppo uno lo ha invece definito “abbastanza grave”.
L’industria guida la classificata dei settori più inquinanti, con la seguente ripartizione: chimica, materie plastiche, gomma, siderurgia, automobili, meccanica, tessile, cartaria, elettronica. Per quanto riguarda l’eco-compatibilità dei materiali sono stati elencati, in ordine decrescente: legno, carta, vetro, metallo, plastica.
Nonostante ciò l’84% degli intervistati ritiene che anche la carta crei preoccupazioni ambientali (legate all’abbattimento delle foreste, all’inquinamento delle acque, allo smaltimento di scarti di lavorazione, all’elevato consumo d’energia elettrica).
Per quanto concerne la raccolta differenziata il 94% del campione scelto si dichiara disponibile a collaborare attivamente. Richieste più specifiche sono state formulate ad artigiani e commercianti, ad esempio quali siano i materiali più usati nello svolgimento delle loro attività. I risultati: carta, plastica, legno, vetro, metalli.
Il 70% risponde di consegnare la carta usata e separata dagli altri rifiuti alla raccolta organizzata dal Comune, il 25% ad aziende private, il 5% la smaltisce in altro modo. Importanti le indicazioni d’atteggiamenti rispetto alla raccolta: non pesa molto, crea nuovi posti di lavoro, è un gesto di civiltà, fa sentire utili a favore dell’ambiente, ma anche qualche “non serve” ed “è fastidiosa”.
Tutti in ogni caso esprimono il desiderio di maggiori informazioni e soprattutto vorrebbero essere rassicurati e conoscere com’è effettivamente impiegato ciò che è raccolto.

In conclusione
“Istituzionale” la chiusura dell’incontro, affidata a Emanuele Piovano (presidente Assografici) che ha riportato qualche dato sul settore cartotecnico nel nostro Paese, puntando l’attenzione su alcuni fattori (ormai endemici) del comparto: una moltitudine di società di piccole dimensioni, che operano in un mercato sostanzialmente maturo, compresso a monte dai fornitori di materia prima e a valle dai clienti. In una situazione del genere, i fattori da tenere sotto controllo sono essenzialmente: le fonti di approvvigionamento (fortemente concentrate), i possibili sostituti del cartoncino (primi fra tutti i materiali flessibili, oggi molto competitivi e tecnologicamente avanzati), i clienti. In relazione a questi ultimi una recente indagine ha dimostrato che il 53% degli attuali o potenziali clienti per il settore cartotecnico ha già provveduto a “contrarre” il proprio parco fornitori, concentrando gli acquisti presso un numero limitato di fonti qualificate; il 15% ha intenzione di operare a breve in questo senso e il rimanente 32% non intende per ora modificare la propria strategia operativa. Pertanto anche per il settore cartotecnico Italiano si auspica un massiccio ricorso alla fusione e concentrazione di risorse, per poter acquisire maggior competitività sia sul mercato interno sia nel settore export.
Una mattina densa e ben spesa in un convegno sicuramente interessante, dunque, che ha pienamente raggiunto l’obiettivo di fornire elementi per un’ampia riflessione.

Maria Zemira Nociti

Nota: le immagini sono riprese da Packaging Prototypes, edizione italiana a cura di Progetto Editrice.
Per ulteriori informazioni sulla giornata Punto.Carton organizzata da Pro Carton Italia e sulle finalità dell’associazione Pro Carton Europe rimandiamo agli interventi pubblicati su ItaliaImballaggio, fascicoli 7-8, 9, 10 e 11-12.

Note: photos taken from Packaging Prototypes, Italian edition by Progetto Editrice
For further information on the Punto.Carton day organised by Pro Carton Italia and the aims of the Pro Carton Europe association, see the articles published on ItaliaImballaggio, issues 7-8, 9, 10 and 11-12.


Carton: points of view

Communication experts, creative designers, technicians and users compared, to add another piece to the “intellectual” added value of this packaging material.
Maria Zemira Nociti

During the “The pack makes room for itself” conference (during the Punto.Carton day organised by Pro Carton Italia in Milan on 16th October last year), the innumerable potential uses of carton packaging were looked at in detail. Carton, this medium for creativity, tool for brand communication and eco-compatible material. Many people took part in the meeting: packaging designers, image makers, sociologists and technicians, who, at different levels, contributed to the success of this meeting. Here’s a rundown of the most stimulating speeches.

Time, style and content
In addition to illustrating the structure and objectives of Pro Carton, Richard Dalgleish (Managing Director of Pro Carton Europe) was charged with the task of opening the day’s work. He started by making an interesting parallel between what is required of a conference speaker (so that his speech is effective) and what is required of a pack so that it can attract the consumer’s attention and entice him/her to buy it: both are faced with the question of time, style and content. For a speaker, it’s absolutely essential he respects the time assigned him, he must give a certain rhythm and appropriate styles to his presentation to hold the audience’s attention, the content must reflect an interest shared with the others attending the meeting. Likewise, when a customer enters a sales outlet, he only has a certain amount of time, is attracted by the style of presentation adopted for the goods on show and wants to be sure that he’s buying what he really needs. Moreover, it’s been proved that, 70% of the time, the decision to buy is made directly then and there in the shop, regardless of what the customer might have written earlier in a shopping list, and that the average time taken to decide is extremely short, less than eight seconds, during which the customer changes his mind at least four times.

Functional, evocative, creative
An interesting example of how the right pack can not only help a brand establish itself, but even stimulate new consumption habits was given by Paolo Santini (Marketing Manager for the Autogrill Group, Spizzico and Burger King brands).
“Fast and Good: new applications for carton”, the title of his speech, that drew from the process of modernising the Spizzico chain a brilliant case history, showing how simple and well designed carton supports helped make all the difference.
Over the space of the last five years, they have gone from the concept of “Fast Food” (often associated with the consumption of quick but nutritionally poor snacks) to the idea of “Fast and Good”. The trend for an increase in the number of meals consumed away from the home continues to strengthen and this is matched by a progressive reduction in the amount of time dedicated to buying and preparing food. The time actually spent consuming the food remains the same, however, and where possible in a cheerful and welcoming atmosphere. All this leads to the transformation of the concept “Fast” into that of “Quick Service Restaurant”. Also health aspects have an increasingly importance in the choices made by the consumer, starting from the assumption that “I am what I eat”, today’s consumer demands greater quality and care in the preparation of the food served. Hence the slogan “Fast and Good”, the basis for the modernising of the Spizzico brand.

Evolution
Spizzico was set up in 1989 with a very limited offer: pizza and cola. Its relaunch has been gradual, passing through several stages: first, the engineering of the kitchens has made it possible to extend the range of products on offer, introducing “finger food” eaten without the use of cutlery, just fingers. Its arrival allowed for the presentation of a series of diversified menus. Then several complementary services were developed (videowalls, playnets, birthday parties to involve new customer brackets). The desire to change was communicated by the redesign of the logo and rationalising of the lay-out of the sales outlets. Decisive for the success of the entire operation was the extension of the role attributed to the carton supports used to serve the portions. These are not just functional items, but evocative, creative elements. The practicality of normal supports (plates and glasses) cannot be denied, and is confirmed by the continual increase in consumption, now touching on fifty-five million items a year. But carton, for Spizzico, means a whole lot more.
It acted as an evocative means during the launch of a new product - the “Arancini” (rice croquettes) - that, presented in the containers traditionally reserved for nuggets, was immediately associated by the customer with the category of chicken bites and as such ordered and consumed.
And finally, creativity. No support comes close to carton in terms of graphic results and the possibility to get different forms, sometimes highly unusual, at relatively low cost.
A good example of this is the paper cup, used not just for soft drinks, but also French fries.
A perfectly shown logo, an original and unmistakable shape, the possibility to assume the product in comfort, while at the same time avoiding spills and drips on the tray have all offered an added value, much appreciated by customers.

The secret in repositioning a brand
Satkar Gidda (Marketing Director at Siebert Head, the London consulting agency specialising in branding design) illustrated the strategies needed to maximise brand communication via carton packs. Stimulating, effective phrases (“The human mind is like a parachute: it works when open” and again “At times imagination is more useful than knowledge”) were alternated with a few provocative statements, at times a bit too sententious: “Marketing sees packaging as something creative, industry as something to fill the land-fill sites” or “The technology of a packaging has little meaning for consumers, who don’t even notice it...”. Comments apart, Gidda set out to stress that the focus for valid brand communication is to grasp what the consumer actually sees when faced with a brand: he notes the image, but immediately goes beyond and perceives the essence of the brand. Thus, it is this essence that must be created, strengthened and got over scrupulously (the basic difference between image and essence was clearly illustrated with the presentation of the special series of Marlboro: the traditional cigarette packet - with the logo easily visible - flanked by a few limited edition packets, where the symbols that can be associated with Marlboro Team and Marlboro Country instantly make the essence obvious).

When does a brand work?
A brand works properly when, after satisfying the technical needs of the producer and the distribution chain, it manages to communicate directly with the end consumer, suiting his home, his hands, his mind (even though it’s extremely hard to decipher the mechanism of a purchase process given that the buyer often doesn’t follow a logical chain of thought). Successful packaging is packaging that makes one say “I love it!”, “I want it!”, and only later “But what is it?”.
These are the presuppositions Siebert Head used as a basis for developing the repositioning and restyling of the Phileas Fogg Tortillas pack, a packaging solution that has won the Packaging Industry Award 2000 - creativity section. First of all, for the new, unprecedented image for Mr. Fogg, no longer a forbidding, detached gentleman, but a smiling, cheerful uncle figure who loves to give friendly advice to consumers. Then the unusual form of the pack, a pyramid made from flexible material (a variation on the famous “Tetra Pak” for milk) combined with careful use of colours to characterise the different product types.
When studying the project, the agency wanted to identify areas that would allow the brand to regain its benchmark position for the entire chips sector.
The mainstays of this approach are:
- the interests of the producer. The new pack had to be rational, capable of guaranteeing efficiency for the industrial plant and easy to store and handle;
- the interests of the distribution chain and the retailers. The new pack had to guarantee maximum exploitation of the display area and be quick to place on the shelves;
- the expectations of consumers. The new pack had to be attractive and practical, to tempt the consumer to try the product and to create the need to buy.
The “Tetrapacks” grouped together on a cardboard display tray that’s immediately ready for the shelf has fully meet all logistic needs. The seams at 90° on two adjacent sides gives the pack strength and avoids unwanted excessive opening, thus eliminating the risk of the product falling and spilling. Definitely a breakaway from traditional chip bags. The secret for repositioning a brand is precisely this: understand the essence, identify the right balance between the rules distinguishing this and go beyond, assessing which of these rules can be broken and which, on the other hand, must be respected at all cost. The result is a new, interesting and effective pack.

I want the shoe box!
Nick Meyer, the internationally renowned graphic designer and founding partner of the PDA (Pan European Brand Design Association) opened new creative horizons with his speech with a curious title “With or without the shoe box?”.
This reflection originates from a ruling by a German judge who decided that consumers who open the packs in a sales outlet in order to view the product directly are not liable to punishment. This because the box has no value. The same principle seems to be applied by those charming sales assistants in shoe shops who, after each purchase, ask the customer “Do you want the box?” and 90% of the time, the consumer replies “No, thanks!”.
The graphic designer must, therefore, manage to change this trend and make the box so attractive that the customer desires it, wants to take it home and show it to his/her friends as though it were a luxury item.
A medium-sized German supermarket normally offers 15 thousand items, a discount store five thousand or thereabouts. The buying methods reflect what Dalgleish said earlier. So here’s another rule for the packaging designer: “The designed packaging must have the same effectiveness as a 10-second TV spot”.
The pack must be unmistakable, must extol the product, generate enthusiasm, convince and, above all else, call to mind. The product contained in the pack obviously imposes restrictions on this. The consumer knows that a bottle will contain a fluid, a metal tin a sterile preserve. The packaging also helps create the brand, which is often only recognisable due to the shape alone, regardless of the writing on it (needless to say Coca Cola is the perfect example). Thus people buy stored images.

Useful advice
The task of the designer is to interpret with taste and imagination the distinctive features of the product to be contained in order to make it stand out from the rest in a convincing and definite manner. Most attention obviously is given to the front of the pack. Other distinctive elements will be the order, shape, size, color, material, technology, font and language used.
To understand the importance of this, just ask oneself if products such as Ritter Sport or Toblerone would have had the same success if normal 100 g bars of chocolate, thus becoming less recognisable compared to the competition. One last warning: often designers are only contacted at the end of the new product development process, when the salient features have already been decided. A different approach would be far more constructive, with early involvement to give them room to express their creativity properly.

Memories and reality
Giovanni Caprara (journalist at the Corriere della Sera) reminded everyone how one’s first real approach to the use of carton dates back to one’s infancy.
Board on which to draw, colour or cut out basic geometric figures, and thus memories are linked to one’s first important tactile and olfactory experiences. But today, this material has entered a “virtuous cycle “, as Carlo Montalbetti (General Manager of Comieco) pointed out. From his point of view, adhesion to separated waste collection schemes “is a good indicator of the growing sense of community in Italians”. Moreover, thanks to improved technology allowing for constant and optimal reductions in packaging materials (thus complying with qualitative/quantative prevention rules), carton is definitely one of those materials used for “copybook” packs, created with optimisation a priority. Montalbetti also recalled that the process of improving packaging will be essentially dictated by the needs of home delivery (the need for greater product protection, single-material packaging to make recovery and exploitation after consumption easier) and here e-commerce shouldn’t be seen as a threat for the world of packaging, but rather it offers an important stimulus for the search for evolved packaging solutions.

But what do the Italians think?
Federico Galimberti (New Business Manager at Abacus) illustrated the data collected during a specific study aimed at assessing the opinions of the Italian public in terms of paper and cardboard packaging materials and waste collection schemes. A thousand people were interviewed, chosen from a generic panel of university and high-school graduates (group one); added to which was a more specific panel (group two) consisting of two hundred craftsmen and two hundred merchants. Some of the questions allowed for open answers, others were guided (choice of several set answers).
According to this study, the main environmental problems in Italy derive from pollution (mentioned by 55 % of those interviewed). 26% of the first group specifically mentioned the disposal of waste (including packaging), but this percentage rises to 36% in group two, formed of people whose activities imply daily contact with this problem. 66% of craftsmen and merchants consider the disposal of waste a “very serious” problem, while the majority of those in group one consider it “quite serious”.
Industry heads the list of the most polluting sectors, split as follows: chemicals, plastics, rubber, metallurgy, car manufacturing, mechanical firms, textile, paper and electronics.
With regard to the eco-compatibility of materials, the list in decreasing order of importance is: wood, paper, glass, metal, plastic.
Having said this, however, some 84% of all those interviewed believe that paper has a certain environment impact (linked to the cutting down of forests, water pollution, disposal of by-products and the high amount of electricity needed).
As to waste collection schemes, 94% of the sample said they were willing to take part actively in these. More specific questions were put to craftsmen and merchants, for example which materials do they use most for their work.
The results: paper, plastic, wood, glass, metal.
70% answered that they deliver used paper, separated from other waste, to recycling schemes organised by the local municipality, 25% to private firms and 5% dispose of it in another way. The findings as to how collection of waste is viewed are very interesting: it doesn’t create extra problems, it generates new jobs, it’s a civil gesture, it makes one feel useful in protecting the environment, though some people answered “it serves no purpose” and “it’s a pain”.
Everyone, in any case, expressed the desire for greater information and, above all, would like to receive reassurance and know just how effectively collected materials are used.

To sum up
“Institutional” was the closing speech, given by Emanuele Piovano (chairman of Assografici) who provided a few data on the paper converting industry in Italy, drawing the attention to certain factors (now endemic) characterising this sector: a large number of small firms operating in what is a basically mature market, squeezed between raw material suppliers above and customers below. In such a situation, the factors that need to be monitored are essentially: purchasing sources (highly concentrated), possible alternatives to carton (especially flexible materials, today very competitive and technologically advanced) and the customers.
With regard to the latter, a recent survey showed that 53% of current and potential customers in the paper converting sector have already tried to “shrink” their number of suppliers, concentrating their purchases from a limited number of qualified vendors and another 15% fully intend to do so in the near future, while the remaining 32% have no intention at present to change their operating strategy.
Thus one can expect a considerable amount of mergers and concentration of resources in the Italian paper converting industry too, in order to gain a better competitive edge both in Italy and on export markets.
An intense morning, time well spent, in a definitely interesting meeting, therefore, that easily met the goal of providing plenty of subjects for much reflection.

Maria Zemira Nociti