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Una ricognizione delle diverse strategie di packaging design messe in campo
dalle multinazionali, per vincere sui mercati di un mondo sempre più grande.
Dallultimo studio Pack.Vision, realizzato per Emballage 2004 da &Loeb Innovation. E.P.
Global, local e, più di recente, glocal sono i termini attorno a cui si accentrano dubbi e possibilità dei marketer che lavorano in imprese multinazionali. Trasferiti dal prodotto allimballaggio, definiscono anche diversi approcci al packaging design, e dunque alla creazione dellaspetto dei beni di largo consumo.
Un encomiabile sforzo per chiarirne il senso, e dunque per definirne modi e condizioni di operatività reale, è stato fatto dalla società francese di consulenza &Loeb Innovation, a cui Exposium ha commissionato lo studio Pack.Vision in occasione di Emballage 2004 (Parigi, 22-26 novembre). Eccone una sintesi ragionata.
Mercato globale:
mito o realtà?
Trasmettere unilateralmente i valori propri della marca, indicandola come riferimento sovranazionale, o adattarsi alle culture locali? E quanto tenere in eventuale conto le differenze culturali? Passando poi dal terreno prescrittivo a quello descrittivo, prevale larmonizzazione, o una segmentazione sempre più fine di modelli e forme? E ancora: quali sono i Paesi/Marchi più innovativi in fatto di packaging? Come esportano le loro innovazioni? Gli imballaggi dei prodotti delle multinazionali vengono realizzati in un unico sito centrale, oppure in ciascuno dei diversi mercati di sbocco?
Ecco alcune delle domande che si pongono, in concreto, i marketer quando devono creare o ricreare un prodotto, e ogni volta che devono definirne (o ridefinirne) il packaging.
La risposta ideale, va da sé, non esiste; si individuano tuttavia molte tendenze prevalenti e storie di successo, magari diverse a seconda che si analizzino i beni di consumo di massa o di lusso. Ma che passano, comunque, attraverso la ridefinizione dei confini del mondo.
Che cosa si globalizza
Le abitudini si globalizzano: americani e giapponesi si sono avvicinati al caffè espresso e al vino rosso, e per i bambini di tutto il mondo lHappy Meal di Mc Donalds assumerà il ruolo che per gli adulti francesi di oggi gioca la madeleine di Proust. Detto altrimenti, nella nostra epoca la diffusione di prodotti e servizi è più pervasiva e capillare di quella che ridisegnò i confini ideali del mondo allepoca dei mercanti veneziani o di Napoleone.
Questo premesso, conviene però chiarire se si intenda parlare di globalizzazione delle marche e dei relativi prodotti, o di globalizzazione delle industrie che li producono e imballano.
Accade, infatti, che alcuni marchi globali svolgano ruoli molto locali o, viceversa, che più marchi locali definiscano in realtà un solo prodotto globale. Ecco che significa.
Cultura e mutazioni
Quanto poco semplice sia, nella pratica, distinguere fra locale e globale, si verifica esaminando gli aspetti più culturali (o se vogliamo etnologici) che costituiscono le merci.
Negli anni 50 la maggior parte dei prodotti e servizi di uso quotidiano è stata industrializzata in tutto il Primo Mondo (Occidente e Giappone), dando luogo a una miriade di merci particolari: le infinite varietà di birra venivano gustate in Germania e le rane in Francia, i tatami si trovavano solo in Giappone e le lenzuola nei Paesi Latini, Jonny Halliday era conosciuto in tutti i Paesi francofoni e solo lì. Oggi, invece, i giovani iniziano a mangiare con le bacchette anche in Occidente e a godersi il brunch domenicale fuori dagli Stati Uniti, per non parlare della musica leggera, che rappresenta uno dei principali veicoli di uniformazione e dialogo.
Queste contaminazioni, tuttavia, spesso prendono laspetto di mutazioni locali. Così i francesi frequentano con crescente assiduità la ristorazione rapida, però a ore fisse, quando lofferta di Mc Donalds era stata concepita per essere fruita nel corso dellintera giornata. Similmente, i latini iniziano ad adottare le comode lenzuola a sacco in uso nel Nord Europa, ma le bordano di decori o le integrano con qualche drappo supplementare.
Diversi ruoli per la marca
Stiamo, insomma, vivendo una fase di transizione, e i diversi ruoli che rivestono i prodotti di marca lo confermano.
Le marche, infatti, sono presto diventate icone di stili di vita (Marlboro docet) e, progressivamente, hanno assunto un ruolo aspirazionale che ne oltrepassa loriginale funzione di enunciazione e distinzione.
Bisogna allora distinguere le marche globali di prodotti e servizi che non hanno alcun legame culturale con le popolazioni che li consumano (come ColaCola e Pepsi, ammesso che non abbiano introdotto delle variazioni poco evidenti ma molto efficaci), dalle marche globali che propongono dei prodotti locali, adattati cioè a gusti e usi nati dalla tradizione (Nescafè con tutta la sua varietà di aromi e imballaggi; Garnier che adatta soprattutto le confezioni; Lancôme che ha formulato degli sbiancanti per la pelle espressamente per gli orientali e dei prodotti per capelli solo per il mercato brasiliano).
Si noterà, allora, che più è forte il valore aspirazionale di una marca meno cambiamenti verranno introdotti, come accade tipicamente nei beni di lusso e più in generale nelle marche dal forte contenuto emozionale (Nike, Adidas, piuttosto che Nokia o Apple).
Queste presenteranno ovunque non solo la stessa offerta e identici imballaggi, ma persino le stesse boutique, magari con vetrine uguali in Avenue Montaigne a Parigi come a Madison Avenue a New York, in Knightbridge a Londra e in Omotesando a Tokyo.
Qualcosa di analogo è accaduto talvolta anche nel comparto alimentare, dove i marchi più forti sono riusciti a espandersi a livello internazionale senza troppe concessioni alle differenti culture (Häagen Dazs nei gelati premium, Lipton Ice nel tè
), e persino nei farmaci OTC (laspirina Bayer) o nei prodotti per la cura della persona (Nivea, Dove, Pampers).
Fattori e strategie
di globalizzazione
Limpetuosa crescita della grande distribuzione ha conferito allo sviluppo della marca e al processo di globalizzazione una spinta formidabile.
Tanto più i canali al dettaglio sono organizzati, strutturati e moderni, quanto più le marche possono esprimersi con forza, acquistando una dimensione fino a oggi sconosciuta. Accanto a questo primo e fondamentale fattore di globalizzazione, altri concorrono a rendere uniforme lofferta delle multinazionali. Primo fra tutti, la necessità di contenere i costi di produzione (anche del packaging) realizzando tutte le opportune economie di scala, ossia ricorrendo alluso dello stesso progetto, alla semplificazione di forme e volumi, alla riduzione del numero di colori e del peso del materiale, oltre che degli strati che costituiscono limballaggio complessivo. Cambiano, però, i modi di sfruttare queste opportunità, e ciò ha generato diversi schemi organizzativi, i quali influenzano a loro volta il modo di concepire e proporre i prodotti. Lorganizzazione tradizionale di una multinazionale prevede una Ricerca&Sviluppo, un marketing centrale, unorganizzazione industriale indipendente e delle filiali che mettono in campo, con maggiore o minore libertà, le politiche di prodotto e commercializzazione. A metà degli anni 90 ha fatto la sua comparsa la nozione di category management, dove uno staff mondiale genera un marchio, relativo a un determinato segmento di mercato, in partnership con staff locali la cui missione è prettamente commerciale.
Si tratta di una nozione prossima a quella di trade marketing, che esprime ladattamento dellofferta a dei circuiti distributivi locali con i quali costruire un rapporto privilegiato (con possibili ricadute di ritorno sulla supply chain e sul packaging, soprattutto in termini di formati singoli e multipack).
Un altro modello organizzativo, tipico di LOréal, è quello dei megabrand generati da un marketing internazionale e, nella maggior parte dei casi, affidati alle filiali che possiedono un proprio marketing locale e definiscono liberamente le proprie strategie commerciali. Infine, altre grandi imprese, come per esempio Nestlè, Kelloggs o Danone, procedono invece per collezione di esperienze positive: il prodotto che ha avuto successo su un mercato viene preso in considerazione dagli staff che operano in altri Paesi, e che decideranno se lanciarlo nelle proprie aree di riferimento con le confezioni, i marchi e i formati ritenuti più adatti.
Ciò che spinge
e ciò che Frena
Tutto considerato, si potrebbe dunque concludere che la globalizzazione costituisce unevoluzione ineluttabile del nostro universo tecnologico.
Tuttavia, il vissuto reale delle industrie e dei consumatori introduce molte varianti, dalle conseguenze talvolta importanti sul prodotto e sul suo imballaggio.I professionisti del marketing e del packaging design individuano, a breve e medio termine, 5 grandi famiglie di eventi socio-culurali che influenzano radicalmente le modalità di consumo: il rapporto con la salute, con le cose (ergonomia), con le origini, con il senso del piacere e con gli altri. Le direzioni che assumono, e come si esprimono, spingono ora verso una globalizzazione dellimballaggio ora verso un approccio più locale alla progettazione.
Verso la globalizzazione
Badging significa supremazia del logo sul marchio. Apple, Nike e Mc Donalds ne offrono esempi eclatanti e mostrano quanto un simbolo forte favorisca la riconoscibilità immediata di un prodotto, per strada come sullo scaffale del negozio. La potenza dei simboli è provata anche dal ruolo giocato nelle dinamiche di gruppo (non solo giovanile), dove vengono assunti come elemento di identificazione e appartenenza. Un fenomeno che si rispecchia, mutatis mutandis, nei cambiamenti del testo scritto generati dalla diffusione degli SMS (anche in Giappone, giocando coi caratteri katakana).
LAltro diventa forza trainante del desiderio, o magari lAltrove: nello spazio e nel tempo. Così, non solo lOccidente guarda a Oriente, cercando ispirazione nelle culture tradizionali e moderne di Giappone, India e Cina, ma in Oriente ci si guarda a vicenda, alla ricerca di valori alternativi alletica individualista e libertaria dellOvest. Parimenti, prende fiato il ritorno allautentico e la tradizione diventa esotismo: in Giappone le giovani donne riscoprono il kimono, in Occidente impazzano il vintage e i prodotti della nonna, le specialità regionali spopolano ovunque. Naturalmente, nei Paesi emergenti sono invece le manifestazioni più clamorose del consumismo ad essere vissute come esotiche, e vengono rifiutati i materiali e le icone semplici che ricordano una storia di povertà.
Emozione motore di innovazione. Il design e packaging agiscono su altre sfere cognitive rispetto alla comunicazione, permettendo diverse modalità di rapporto con il prodotto. Per questo lindustria di marca è alla ricerca di emozioni globali, che sostanzino la duplice dimensione del marchio, quella identitaria e quella immaginaria. Qui il packaging gioca un ruolo fondamentale, come mostrano le storie di molti profumi, e un compito analogo viene svolto dallallestimento del punto vendita, capace di narrare storie e far vivere esperienze.
Più attenzione alla funzionalità. Ikea vale per tutti: dopo lubriacatura di immagine del recente passato, il suo successo basato sulla praticità diventa emblema della riscoperta concretezza.
E poiché il senso di funzionalità segue levoluzione della società, ecco linvecchiamento della popolazione influenzare lergonomia, lapertura e laccessibilitò delle confezioni e, analogamente, il diffondersi dellobesità incentiva la proposta di porzioni di alimenti sempre più ridotte... Così il packaging diventa luminescente, intelligente, si modifica per agevolare lapertura, si raffredda o riscalda da sé a seconda del bisogno, magari si mangia...
Stessa sicurezza per tutti. In una società consumista i rischi legati al consumo sono inaccettabili. Infatti, le leggi e le norme di tutela proliferano, e il packaging diventa fondamentale ausilio di sicurezza, garantendo integrità della chiusura, aperture a prova di bambino, modalità di erogazione controllata, maggiore ergonomia
Verso la localizzazione
Parallelamente, il consumatore ricerca prodotti sempre più specifici, rifiutando la globalizzazione estrema delle marche. Ecco i principali fattori che agiscono nella direzione di una localizzazione.
Una crescente dicotomia fra branding e packaging, che costringe a una differenziare il secondo, soprattutto in termini di formati: i succhi di frutta freschi da 2 litri in America e i pack miniaturizzati in Giappone.
Per raggiungere tutti i target di consumo i grandi gruppi devono integrare lofferta globale con dei marchi locali, recuperando i contenuti fisici ed emozionali perduti. In questo modo si evita anche di dover gestire le molteplici lingue del packaging internazionale; inoltre, le imprese più potenti correggono la propria identità imperialista.
Il consumo di massa genera il proprio contrario, ossia il bisogno di unicità. Per questo i cicli di vita dei prodotti sono sempre più ridotti e lindustria dellimballaggio vive allinsegna delle tirature brevi.
È il trionfo delle serie limitate, del tailor made e delle-commerce. Quanto ai prodotti, assistiamo allinfinito proliferare delle varianti, magari differenziate solo nel colore del packaging, come quella lattina di caffè giapponese blu, rossa o arancione, da scegliere a propria preferenza.
In tutto il mondo cresce il favore per i luoghi di consumo concepiti come occasioni di incontro ed esperienza sensoriale (Aveda e Origins, Lego e Sony). Le confezioni dei prodotti che vi vengono smerciati hanno unimmagine debole (non deve sovrapporsi a quella del negozio) ma sono dotati di grande efficacia funzionale in termini di ergonomia, trasportabilità, capacità di conservare il contenuto alla temperatura ideale, ecc.
Operano in direzione di una progressiva scomparsa del packaging anche altri fenomeni, fra cui la rimonta, tipicamente nella Comunità Europea, di quellorgoglio regionale che sostiene lacquisto dei prodotti nostrani. Magari venduti nel cartoccio di carta da zucchero.
La sostenibilità ambientale degli atti di produzione e di consumo sembra, a tuttoggi, più praticata dallindustria (costretta da leggi sempre più severe) che dal consumatore. Tuttavia, la comparsa sulle confezioni dei simboli di eco-compatibilità sta alimentando una coscienza collettiva più verde e connotando latto di consumo come manifestazione civica.
Con tutto un corteo di contraddizioni: laffermarsi dello slogan meno imballaggio e la progressiva domanda di confezioni monodose; la decisa opzione per il riciclo e il plebiscito a favore delle materie plastiche, grandi consumatrici di energia fossile
In conclusione
I packaging e i design universali sembrano di là da venire: un loro avvento significherebbe uniformità di aspirazioni, valori e gusti in tutti gli individui.
Ma non solo: oggi più che mai si afferma la tendenza a usare i prodotti, e i loro imballaggi, per esprimere la propria appartenenza a un determinato gruppo/cultura. Tanto che lagenzia di design Fitch è arrivata a proporre una confezione rivestita di velcro, che i consumatori di ciascun Paese possono leggere seguendo una propria gerarchia delle informazioni. Provocazione o preveggenza?
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The new sense of the world
A reconnaissance of the different packaging design strategies fielded by the multinationals to win on markets of an ever larger world. From the latest Pack.Vision study, compiled for Emballage 2004 by &Loeb Innovation. E.P.
Global, local and more recently, glocal are terms around which the doubts and possibilities of marketeers who work in multinational concerns centre. Transferred from the product to the packaging, they also define given approaches to packaging design, and hence to the creation of the appearance of fast moving consumer goods.
An admirable effort to clarify the meaning and to define modes and conditions of real working has been made by the French consultancy concern &Loeb Innovation, from which Exposium has commissioned the Pack.Vision study in the occasion of Emballage 2004 (Paris 22nd to 29th November). Here follows a reasoned synthesis.
Global market:
myth or reality?
Should one unilaterally transmit ones own value of the brand, indicating it as a supranational reference, or adapt to local cultures? How much should one consider the cultural differences? Going from a prescribed terrain to a described terrain, does harmonisation or an ever finer segmentation of models and forms prevail? And again: which are the most innovatory countries/brands in terms of packaging? How do they export their innovations? Are the packaging of the multinationals products carried out in a single, central site, or in each of the outlet markets? These are some of the questions that marketeers pose themselves when they have to create or recreate a product, and every time they have to define (or redefine) its packaging.
It goes without saying that there is no such thing as the ideal answer: however, there are many prevailing trends and success stories, that are different depending on whether one is analysing mass consumption or luxury goods. But that at any rate go by way of the redefinition of the the confines of the world.
What gets globalised
Habits are globalised: Americans and Japanese have become acquainted with caffé espresso and red wine, and for children throughout the world a Happy Meal at Mc Donalds takes on the role that the madeleine by Proust plays for the French adults of today. Said in other words, in our era the diffusion of products and services is more pervasive and capillary then when the ideal confines of the world were redrawn at the time of the Venetian merchants or that of Napoleon.
Having said this, one ought to though clarify whether we are speaking of the globalisation of the brands and their relative products, or the globalisation of the concerns that produce and pack the same. It is the case that some global brands play roles that are very local or viceversa, that several local brands in actual fact define a single global product. This is what the term means.
Culture and mutations
The difficulty of distinguishing between local and global is seen when examining the most cultural (or should we say ethnological) aspects that constitute goods.
In the fifties most of the products and services in daily use were industrialised in the First World (the West and Japan), giving rise to a host of particular goods: yet the infinite varieties of beer were only tasted in Germany and frogs in France, tatami were only to be found in Japan and sheets in Latin Countries, Jonny Halliday was known in all French speaking countries, and only there.
Now in turn young people also begin to eat using chopsticks in the West and enjoy Sunday brunch outside the USA, not to speak of pop music, that represents one of the main vehicles of uniformity and dialogue. These contaminations all the same often take on the appearance of local mutations. Thus the French evermore frequently go to fast food restaurants, though at set times, this when Mc Donalds offer has been conceived throughout the entire day. Similarly the latins are beginning to adopt the convenient sheet bags used in northern Europe, but they decorate their edges or add additional drapery.
Different roles
for the brand
We are, that is, going through a period of transition, and the different roles that brand products cover confirm this. The brands in fact soon became icons of lifestyles (Marlboro docet) having progressively taken on an aspirational role that goes beyond the original function of enunciation and distinction.
One should thus distinguish the global brands of products and services that have no cultural link with the populations that consume them (like CocaCola and Pepsi, notwithstanding that they might have introduced hardly perceivable yet very effective variations), from the global brands that offer local products, suited that is to the taste and uses born out of tradition (Nescafé with all its varieties of flavours and packaging; Garnier that aboveall suits its packs; Lancôme that has formulated skin whiteners expressly for orientals and hair products purely for the Brasilian market).
One hence notes that the stronger the aspirational value of a brand is, the less changes are introduced, like what for example happens typically in the luxury goods and more in general in the brands with a strong emotional content (Nike, Adidas or rather Nokia or Apple). These not only present the same offer and the identical packaging everywhere, but even the same boutiques, even with show windows that are the same in Avenue Montaigne in Paris as they are in Madison Avenue in New York, Knightbridge in London or Omotesando in Tokyo.
Something similar has happened in the food sector, where the strongest brands have been able to expand on an international level without too many concessions to different cultures (Häagen Dazs in premium icecreams, Lipton Ice with tea), and even in OTC pharmaceuticals (Bayers aspirin) or in personal care products (Nivea, Dove, Pampers).
Globalisation factors and strategies
The headstrong growth of broadscale distribution has given brand development and the process of globalisation a formidable thrust.
The more organised, structured and modern the retail channels have become, the more the brands can express themselves with force, taking on hitherto unknown dimensions. Aside this first and fundamental factor of globalisation, others concur in making the offer of the multinationals uniform. First among all, the need to contain production costs (of packaging as well) making all the feasible economies of scale, or that is resorting to using the same project, to simplification of shapes and volumes, to reducing the number of colors and the weight of materials, as well as the layers that go to make up the overall packaging. However the ways of exploiting these opportunities are changing, and this has generated different organizational patterns, that in turn influence the way the products are conceived and proposed. Traditionally the organisation of a multinational requires an R&D centre, central marketing, an independent industrial organization and branches that field, with greater or lesser freedom, the product and marketing policies. Halfway through the nineties though the notion of category management made its appearance, where a world staff generates a brand, relative to a given market segment, in partnership with local staff whose mission is purely commercial. This is a notion close to trade marketing, that entails the adaptation of the offer to the local distribution circuits with which a privileged relationship is set up (with possible return effects on the supply chain and on packaging, aboveall in terms of single formats and multipacks). Another organizational model, typical of LOréal, is that of the megabrand generated by an international marketing department and, in most cases, entrusted to the branches that have their own local marketing sections and that freely define their own commercial strategies. Lastly, other large concerns, like for example Nestlè, Kelloggs or Danone proceed by collection of positive experiences: the product that has been successful on the market is taken into consideration by the staff that work in other countries, and that decide to launch it in their own area of reference with the packs, the brands and the formats considered the most suited for that area.
What acts as a thrust
and what acts as a brake
All things considered, one could hence conclude that globalisation stands as an inevitable evolution of our technological universe.
All the same, the actual experience of concerns and consumers introduces a lot of variants, at times having important consequences on the product and on the packaging.
The marketing and packaging design professionals in the short to medium term identify 5 large families of socio cultural events that radically influence the modes of consumption: ones relation with health, with things (ergonomics), with ones origins, with ones sense of pleasure and with others. The directions they take, and how they are expressed, in one instance thrust towards a globalisation of packaging and in the other towards a more local approach to design.
Towards globalisation
Badging means the ascendancy of the logo over the brand. Apple, Nike and Mc Donalds are striking examples and show how a strong symbol means a product is instantly recognisable, on the street as well as on the shelves of a store. The power of the symbol is also proved by the role it plays in group dynamics (not just among the young), where it serves as an element of identity and belonging.
It is a phenomenon which is mirrored, mutatis mutandis, in changes to the written word generated by the diffusion of text messaging (in Japan too, playing with katakana characters)
The Other, or perhaps Elsewhere, is becoming a driving force of desire: in space and time. Therefore, not only does the West look to the East, seeking inspiration in the traditional and modern cultures of Japan, India and China, but in the East they look to each other, seeking alternative values to the individualistic and libertarian ethics of the West. Likewise, the return to authenticity is gaining momentum, while tradition is turning into a form of exoticism: in Japan young women are rediscovering the kimono, in the West they are going crazy for vintage and products Grandma used to make, regional specialities are big everywhere. Naturally, in emergent countries it is the most sensational displays of consumerism which are seen as exotic, and simple materials and icons which recall a history of poverty are rejected.
Emotion as mainspring of innovation. Design and packaging act on cognitive spheres other than advertising, allowing different kinds of relationships with the product.
This is the reason why the brand industry is in search of global emotions, which substantiate the dual dimension of the brand: identity and imagery. Here, packaging plays a fundamental role, as the history of many perfumes shows, and an analogous task is performed by the decor of retail outlets, able to create stories and generate experiences.
Greater attention to functionality. Just think of Ikea: after the recent infatuation with image, its success, founded on practicality is emblematic of a newly found pragmatism. And since the sense of functionality heeds evolutions in society, so the ageing population influences the ergonomics of packaging and how easy it is to open and handle. Likewise, the spread of obesity prompts the offer of smaller and smaller food portions
So, packaging becomes luminescent, intelligent, modified to make it easy to open, cooling or heating itself as required, perhaps eating itself
Equal safety for all. In a consumer society risks linked to consumption are unacceptable. Indeed, laws and safety regulations proliferate, and packaging becomes fundamentally a safety device , guaranteeing the product hasnt been tampered with, that it is child proof, that it dispenses just the right amount, that it is more ergonomic
Towards localisation
At the same time, the consumer looks for increasingly specific products, rebuffing the extreme globalisation of brands. Here are the principal factors which influence localisation.
An increasing dichotomy between branding and packaging, which forces the latter to differentiate, above all in terms of formats: 2 litre packs of fresh fruit juice in America and miniature packs in Japan.
In order to reach every consumer target the big players have to integrate the global offer with local brands, salvaging long-lost physical and emotional contents. In this way they also avoid having to deal with the multiple languages of international packaging. Moreover, larger companies can amend their imperialist identity.
Mass consumption generates its opposite, that is the need for uniqueness. This is why the life cycles of products are increasingly short and why limited editions is now the packaging industrys motto. It is the triumph of the limited series, the tailor-made and e-commerce. As for the products, we are witnessing an endless proliferation of variants, perhaps only differentiated by the colour of the packaging, like that Japanese blue, red or orange can of coffee- you choose the one you like best.
All over the world there is a growing preference for sales outlets conceived as places to meet and partake in sensorial experiences (Aveda and Origins, Lego and Sony).
The packaging of products sold here have a weak image (they mustnt clash with the store) but are equipped with a great deal of functional efficiency in terms of ergonomics, transportability, ability to preserve the contents at the ideal temperature, etc..
Other phenomena are also contributing to the gradual disappearance of packaging. These include the comeback, typically in the European Community, of that regional pride which supports the purchase of home-grown products. Perhaps sold in sugar paper bags.
Environmental sustainability of manufacturing and consumption have appeared, until now anyway, to be more pursued by industry (constrained by increasingly strict laws) than by consumers. However, the appearance on packaging of eco-friendly symbols is fuelling a greener collective awareness and connoting the act of consumption as a demonstration of public-spiritedness. With a whole cavalcade of contradictions: the winning slogan less packaging and the increasing demand for single portions; the firm decision to recycle and the unanimous support for plastic materials, heavy consumers of fossil energy
To conclude
Universal packaging and design still seem to be a thing of the future: an advent of the same would mean uniformity of aspirations, values and tastes in all individuals.
But not only that: today more than ever there is a tendency to use products and their packaging to express ones own belonging to a given group/culture.
To the point where the Fitch design agency has started proposing a pack covered in velcro, that the consumers of each country can read following their own information hierarchy. Provocation or foresight?
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Piccola geografia del glocal
Tracciando una mappa del packaging globale si evidenziano diverse aree, con caratteristiche e zone di influenza diverse:
Stati Uniti - Privilegiano innanzitutto il mercato interno e propongono ovunque gli stessi prodotti, concepiti come universali e contraddistinti da marchi dal forte contenuto emozionale. Le peculiarità delle diverse aree di sbocco vengono gestite con lofferta di servizi addizionali e prezzi competitivi (con un forte rischio di uniformità).
Europa continentale - Sul piano simbolico la zona dellEuro ha accelerato la propria integrazione, tanto che pochi Paesi (Spagna, Italia, Germania e Francia) progettano il packaging per tutti. Stessa dinamica nei Paesi dellEst, che si sentono rappresentati dalla Polonia, e del Nord, che si riferiscono invece alla Gran Bretagna.
Francia - Nel contesto europeo, la Francia continua a sviluppare unofferta di packaging molto sofisticata, soprattutto per i prodotti di bellezza, sostenuta da una distribuzione allavanguardia. Insieme al Belgio, viene spesso scelta anche come mercato di transizione e di test per nuovi prodotti alimentari, in vista di ulteriori espansioni nel continente.
Gran Bretagna - La sua tipicità, al limite dellisolamento culturale, è tanto nota da essere oggetto di motti di spirito. Ma in materia di packaging fa scuola, con unexpertise tipografica, una coerenza editoriale, un rispetto delle specialità tecniche che impressionano molto i creativi del continente. Nello sviluppo delle agenzie britanniche, che continuano a fare tendenza, giocano un ruolo importante anche le insegne della grande distribuzione, che nel packaging dei prodotti a marchio proprio effettuano grandi investimenti.
Giappone - Rappresenta il paese dei sogni per tutta la filiera del packaging, per la sua creatività permanente, lingenosità delle soluzioni e la qualità delle realizzazioni. Inoltre, è il paese dei regali (le ricorrenze sono moltissime), della cura della conservazione (lo impone il clima umido), del grande artigianato e degli impietosi test di qualità (il che lo rende uno sbocco naturale per i prodotti di alta gamma).
Il principio Kaizen del miglioramento continuo sta al packaging come il Kado alla disposizione dei fiori e il Sado alla preparazione del tè. In questo contesto tutto ha significato: la presenza come lassenza, il colore e il materiale, rigorosamente ispirati ai canoni del kawaii (il grazioso).
E la mancanza di spazio vi gioca un ruolo di rilievo, condizionando lo sviluppo della distribuzione e, di conseguenza, anche dellimballaggio.
Oggi il Giappone esprime con forza anche la necessità di adattare le proprie proposte alla sensibilità occidentale, più letteraria e meno simbolica, per affermarsi sugli altri mercati del Primo Mondo. Per contro, la cultura giapponese di consumo sta attualmente generando delle vere correnti di influenza formale in molti altri Paesi asiatici.
Il resto del mondo - In materia di design, Corea, Cina e Taiwan stanno progressivamente sviluppando una loro autonomia. Le grandi agenzie occidentali se ne assicurano il monitoraggio tramite gli uffici di Hong Kong e Singapore, che costituiscono la piattaforma migliore verso il Sud-Est asiatico, la Malesia e lIndonesia.
Spostando lo sguardo, vediamo che nel packaging la parte di Gran Bretagna asiatica viene svolta dallAustralia, mentre in Sudamerica, India e Russia il design è ancora prevalentemente importato dallOccidente, anche se vanno progressivamente sviluppandosi delle culture locali specifiche.
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Small glocal geography
Tracing out a map of global packaging one can see different areas, with different characteristics and areas of influence:
United States - They aboveall favor the domestic market and propose the same products everywhere, conceived as universal and featuring brands with a strong emotional content. The peculiarity of the different outlet areas is redressed by the offer of additional services and competitive prices (with a strong risk of uniformity).
Continental Europe - On a symbolic level the Euro zone has speeded up its own integration, to the point where a few countries (Spain, Italy, Germany, France) design the packaging for everyone. The same trend features in the eastern European countries, that feel themselves represented by Poland, and in the North, who in turn look to the UK.
France - In the European context France continues to develop a very sophisticated packaging offer, aboveall for beauty products, supported by a leading edge distribution. Along with Belgium it is often chosen as a transition and test market for new food products, this in view of further expansions throughout the continent.
Great Britain - Its typicality, at the limit of cultural isolation, is so well known as even to be the source of witticism.
But in the packaging field the UK stands as an example, with its typographical expertise, publishing coherence, and a respect for the technical specialities that impresses the creatives on the continent a lot. With their huge investments in own brand packaging the large broadscale distribution concerns play an important role In the development of British agencies, that though still set the trends.
Japan - It stands as the dreamland for the entire packaging chain, because of its permanent creativity, the ingenious solutions and the quality of the workmanship. As well as that it is the land of gifts (there are many anniversaries), of care and preservation (a must due to the damp climate), of great craftsmanship and merciless quality tests (that makes it an ideal outlet for top range products).
The Kaizen principle of continuous improvement is to packaging what Kado is to flower dressing and Sado to preparing tea.
In this context everything has a meaning: presence as absence, the color and the material rigorously inspired by the canons of kawaii (gracefulness). Lack of space is a key feature, conditioning the development for the distribution and consequently that of packaging. Today Japan also forcefully expresses the need to suit its offer to western sensitivity, more literal and less symbolic, this so as to succeed on other First World markets.
What is more the Japanese culture of consumption is currently generating real currents of formal influence in many other Asiatic countries.
The rest of the world - On the subject of design, Korea, China and Taiwan are progressively developing their own independence. The large world agencies are monitoring them through their Hong Kong and Singapore offices, that constitute the best platform towards Southeast Asia, Malaysia and Indonesia.
Shifting ones gaze, we see that in packaging the part of the Asian Great Britain is played by Australia, while in South America, India and Russia design is mainly imported from the West, even if specifically local cultures are progressively developing.
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Lavorare glocale
Per gestire delle problematiche globali occorre disporre di una buona organizzazione locale. Ecco che significa glocal in termini organizzativi e di orientamento nelle agenzie di packaging design e presso i produttori di imballaggi.
Nelle agenzie il fantasma dei grandi centri mondiali del design, apparso a metà degli anni 90, si è dissolto. Gli sopravvivono solo due o tre grandi realtà americane, sostenute da altrettanti circuiti pubblicitari internazionali. Ciò che invece ha influenzato la struttura delle agenzia di packaging design è unoperatività che parte dai valori distintivi di una marca e impiega strumenti concettuali sempre più sofisticati.
Le agenzie anglosassoni, in particolare, sono spesso dotate di strutture interne per le ricerche sui consumi, in grado di agire localmente in tutto il mondo e di seguire lintera catena di sviluppo-realizzazione del packaging. Inoltre, di frequente le realtà più importanti collaborano con il marketing delle imprese di marca nella creazione dei prodotti. Si evidenza, al riguardo, la crescente tendenza dellindustria a delegare allesterno lo sviluppo del prodotto e del packaging.
Negli altri Paesi europei lapproccio alla progettazione è più culturale, fondato sulla padronanza del mestiere e sulla profonda conoscenza delle singole società, tanto che le grandi agenzie non esitano a inviare i designer in missione in giro per il mondo.
Il Giappone fa caso a sé perché nella catena di progettazione compare unoriginale figura di intermediario, che la completa e che costituisce, di fatto, unulteriore barriera (accanto ai dazi, alla lingua, ecc.) alla competizione diretta, sul territorio nazionale, di concorrenti stranieri.
Lindustria dellimballaggio svolge, di fatto, un importante ruolo di stimolo al cambiamento e di aggiornamento tecnologico e, anche se le marche restano il primo motore di innovazione, la capacità di risposta dei fornitori di packaging è sempre più rapida. Ciò nonostante, ancoroggi, essi vengono giudicati più in base allefficienza della loro catena di fornitura che alla bontà intrinseca dellofferta, e questo anche perché le grandi industrie di marca si approvigionano tramite centrali dacquisto di portata continentale.
Così, a differenza dei creativi che privilegiano i nuclei di piccola taglia modello carrozzeria italiana, i produttori di imballaggi dispongono di centri tecnici, ricerca e sviluppo in grado di mettere a punto offerte globali e di produrle localmente. Nel mezzo si colloca una nuova tendenza, definita trans-locale, della cui validità testimonia il successo del Nespresso Nestlè: lo sviluppo dei nuovi packaging di prodotti globali è affidato a delle équipe sovranazionali complete, organizzate come piccole associazioni di imprenditori.
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Working glocal
To tackle global problems you need a good local organization. This in organizational terms and in terms of orientation of the packaging design agencies and with packaging producers is what the term glocal means.
In the agencies the spectre of the great world design centres that loomed in the mid nineties has disappeared. Only two or three of these large American concerns have in fact survived, supported as they are by sizeable international advertising circuits. What has though influenced the structure of the packaging design agencies is a way of working that starts off from the distinctive values of a brand and that uses evermore sophisticated conceptual tools. The British agencies in particular often have internal structures for carrying out research on consumption, capable of acting locally throughout the world and seeing to the entire chain of supply-completion of packaging. As well as that, the more important concerns frequently cooperate with the marketing departments of the brand companies in creating products. On this count industry show a growing trend towards outsourcing of product and packaging development. In the other European countries the design approach is more cultural, founded on ones mastery of the trade and on a deep knowledge of the single societies, to the point where the large agencies do not hesitate to send their designers in mission around the world. Japan is a case apart because their design chain features an original figure, the intermediary, that acts as a link-up with the same and in fact stands as another barrier (aside taxes, the language, etc.) to direct competition by foreign companies in Japan.
The packaging industry in actual fact carries out an important role in stimulating change and technological updating and, even if the brands are the prime motor of innovation, the response capacity of the packaging suppliers has speeded up considerably.
Despite this, even today they are still judged on the basis of the efficiency of their supply chain rather than on the intrinsic quality of their offer, and this too because the huge brand concerns procure by turning to purchasing centres of continental scope. Thus, as opposed to the creatives that prefer small centres, the packaging producers have technical and R&D centres capable of putting together global offers while producing locally. Amidst all this one has a new trend, defined as trans-local, the success of Nestlès Nespresso bearing witness to the validity of the same: the development of new packaging of global products is entrusted to complete supranational teams, organized like small associations of entrepreneurs.
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