November/December 2004




Uomo, merce, emozioni
People, products, emotions

Vita difficile per i “soliti ignoti”?
A taugh time for retail thieves?

Beverage all’italiana
Italian beverage

Il nuovo senso del mondo
The new sense of the world

Chiudere in bellezza
Closing on a positive note

M&D News







Imballaggi poliaccoppiati flessibili
Flexible polylaminate packaging

Rapporto sullo stato dell’imballaggio (3)
Report on the state of packaging (3)

F&F News






Crescita e sviluppo industriale senza confini
Industrial growth and development without borders

Un buon bilancio di numeri e idee
A good balance in numbers and ideas

I&D News







Preparati pericolosi
Dangerous substances

Nuovo Regolamento (CE) sui detergenti
New (EU) rules for detergents

Sostanze allergeniche nei prodotti alimentari
Allergens in food products

E&L News







Il coraggio di guardare avanti…
The courage to look ahead…

Packaging Links
Packaging Links

M&M News










Indagare l’interazione fra consumatore e ambiente di vendita: questo lo scopo di un seminario organizzato a Milano dalla Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM), che ha messo in campo competenze di discipline diverse per analizzare, in un quadro coerente, fattori ambientali e comportamenti d’acquisto. Ado Sattanino

Lo studio del rapporto di “azione/retroazione” fra i luoghi della vendita e i consumatori sta vivendo una nuova fase metodologica, sia per la rapidità con cui si evolve la distribuzione, sia per il graduale affinamento di discipline differenti; non più soltanto il marketing, ma anche la semiotica, la sociologia dei consumi, la psicologia ambientale, l’architettura e il design sono infatti in grado di fornire efficaci strumenti d’analisi e intervento.
Questo l’approccio che ha caratterizzato il seminario “Consumatore e punto vendita - Fattori ambientali e comportamenti di acquisto”, che si è svolto nella sede milanese della Libera Università di Lingue e Comunicazione a conclusione dello scorso anno accademico, e organizzato con il sostegno della Camera di Commercio ambrosiana. Obiettivo: proporre un metodo d’indagine multidisciplinare, capace di analizzare le attese del cliente, “leggere” in modo critico i punti di vendita, descrivere gli spazi con criteri oggettivi e un linguaggio comune, proporre infine simulazioni realistiche.
Al tavolo dei relatori si sono confrontati docenti e ricercatori IULM di discipline diverse: il moderatore Luca Pellegrini e Francesco Massara (marketing), Fabio Colacchio e Susan Ceresa (psicologia), Giampaolo Fabris (semiotica), Giovanni Pelloso e infine Alfonso Morone (design e architettura). L’incontro si è quindi chiuso con l’intervento di Francesco Gallucci (1to1lab.com), esperto di tecnologie applicate all’analisi di mercato.
Non potendo riportare, nel dettaglio, tutti gli spunti emersi durante una giornata di relazioni ampie e puntuali, riteniamo opportuno fornire una libera sintesi su alcuni argomenti di particolare interesse per i nostri lettori.

Spazi “multitasking”
La teoria insegna che il mondo dei consumatori è “bipolare”. Da un lato stanno i cosiddetti “utilitaristi”: fare la spesa, per loro, è una semplice attività d’approvigionamento, e il punto vendita è solo una somma algebrica di attributi logistici e informativi. All’estremo opposto ci sono gli “edonisti”, ovvero coloro che vivono lo shopping come un’attività piacevole, per le quali il tempo dedicato a far compere ha un valore in sé.
Le ricerche condotte, tuttavia, smentiscono questa visione manichea, mettendo in evidenza che non esistono persone sempre utilitariste o sempre edoniste, piuttosto momenti in cui prevale ora l’uno ora l’altro aspetto.
Negli studi di marketing, tradizionalmente, i consumatori vengono suddivisi per rigidi profili demografici (sesso, età), sociali (reddito, istruzione, valori) e psicologici (reazione agli stimoli), eppure anche questa classificazione, da sola, non sembra sufficiente.
A tali variabili ormai consolidate, che riguardano le persone, bisogna infatti aggiungere la peculiarità dei tanti compiti diversi svolti dallo stesso individuo nell’arco della giornata: ogni “task” si distingue per il numero di alternative possibili, la difficoltà della singola decisione, il livello di urgenza, la quantità e la qualità dell’informazione disponibile.
I punti vendita, perciò, non dovrebbero limitarsi a rincorrere uno o più profili di consumatori, ma riflettere sulla propria vocazione funzionale per soddisfare meglio esigenze molto diverse fra loro (i vari “task”).
Negozi come le edicole e i discount, oppure i siti di e-commerce, per esempio, dovrebbero impegnarsi per esaudire con rapidità i desideri dei clienti (utilitarismo): le persone che si avvicinano a queste strutture, infatti, hanno già in mente di effettuare un acquisto ben preciso.
I centri commerciali, gli outlet e i supermercati dovrebbero invece mediare fra aspetti funzionali e ludici: gran parte di chi vi accede ha già le idee chiare (e non vuole essere distratto o peggio intralciato), ma non mancano parecchi curiosi che vanno trattenuti e coccolati.
I flagship store, i parchi a tema o i negozi all’interno dei musei devono invece concentrarsi sull’intrattenimento (edonismo).
In quest’ultimo caso, infatti, la gente entra con l’obiettivo di trascorrere il tempo in modo piacevole, e le attenzioni del venditore, pertanto, devono essere finalizzate a creare un bisogno di acquisto.

Equilibrio fra il “troppo” e il “poco”
Queste osservazioni confermano ulteriormente la difficoltà, per i centri commerciali, gli outlet e i supermercati, di dosare con intelligenza gli interventi finalizzati a favorire una fruizione sia utilitaristica sia edonistica.
In genere, gli addetti ai lavori intervengono su luci, colori, disposizione di merci, arredi e informazioni. Al riguardo, è stata presentata una ricerca empirica che ha misurato l’impatto di queste modifiche sul consumatore.
Quando uno spazio noto diventa più complesso e ricco di novità, veicola un carico informativo maggiore che, a sua volta, richiede all’occhio e alla mente dell’osservatore uno sforzo d’adattamento più marcato. La questione, di conseguenza, è capire sino a che punto quest’impegno rimanga sopportabile, in vista di un piacere, e quando diventi invece insostenibile.
Vediamo perciò le risposte dei consumatori presi in esame. Le persone che hanno pianificato in modo dettagliato il loro percorso per trovare a colpo sicuro una data marca o un prodotto non amano eccessivi stimoli visivi (si parla in questo caso di “adattamento utilitaristico”) e percepiscono la novità come un eccesso, un fastidioso intoppo (iperattivazione dei loro sensi). Al contrario, chi sa che può impiegare molto tempo all’interno di un supermercato, o vi entra per cercare qualche nuova idea (“adattamento edonistico”), vive l’assenza di stimoli visivi o in genere sensoriali come un’esperienza assai deludente (ipoattivazione).
Due predisposizioni e due effetti inversamente proporzionali, che confermano perché, alle strategie di rinnovamento perseguite dai distributori, non sempre corrispondano incrementi delle vendite e soddisfazione della clientela.

Un vissuto da scoprire
Per indagare più in profondità in che modo la motivazione all’acquisto influisca sul sistema di aspettative del consumatore, e quindi sulla modalità di esplorazione e giudizio dell’ambiente di vendita, è stato condotto un esperimento su un campione di 67 studenti della IULM (16 maschi e 51 femmine).
A queste persone è stato sottoposto un questionario a domande aperte, con la richiesta di ricreare un luogo di consumo a loro scelta con l’immaginazione e la memoria, pensando a due momenti differenti di fruizione: acquisti programmati, in un tempo limite, e uno shopping libero. Un primo dato riguarda le variabili ambientali ricordate/rivissute dal consumatore.
Per quanto concerne gli acquisti programmati, solo un terzo delle persone intervistate si è soffermato su oggetti dell’arredamento e pareti; un numero davvero esiguo ha ricordato il pavimento e nessuno l’esterno dell’edificio.
Molto differenti i numeri relativi allo shopping: circa tre quarti del campione ricordano bene l’arredamento, una buona metà le pareti, alcuni i pavimenti, e più d’uno l’esterno.
La seconda osservazione entra nel merito del rapporto fra il sé e l’ambiente: in occasione di acquisti programmati prevale nettamente la descrizione egocentrica (“ho scelto così, sono andato là…”), mentre per quanto riguarda lo shopping libero la maggior parte si esprime con un racconto decentrato, focalizzato sull’ambiente circostante. In altri termini, chi passeggia liberamente fra vetrine o scaffali ha una predisposizione a notare un maggior numero di variabili non strettamente legate all’acquisto, mentre chi esegue un compito programmato ricorda gli aspetti più funzionali e il proprio modo di agire, considerato razionale.
L’indicazione per gli operatori, pertanto, è quella di trovare un equilibrio dinamico fra rispetto degli schemi e inserimento di alcuni elementi di novità, che siano però assimilabili alle griglie concettuali del consumatore.

Misurare il desiderio (nascosto)
Nessuno ha nascosto quanto sia complicato, in realtà, definire quella giusta via di mezzo capace di soddisfare i diversi attegiamenti. Per determinare, infatti, occorre prima misurare, ed è proprio quest’ultima operazione a presentare le maggiori difficoltà.
Il punto è che si può stimare solo ciò che è palese, mentre gli esperti concordano sul fatto che ben il 70% delle nostre scelte è determinato dall’inconscio.
Le tecniche tradizionali, di conseguenza, riescono a misurare solo il 30% del comportamento del consumatore, eppure su questa percentuale esigua si sono costruite intere campagne di comunicazione e promozione. Sarebbe molto importante, invece, riuscire a stimare il coinvolgimento emotivo del consumatore.
Per esplorare questi aspetti inconsci, sono state sviluppate alcune tecniche d’analisi ad hoc. Quelle citate durante il seminario consistono in simulazioni e test con proiezioni dello scaffale su uno schermo gigante, ma ve ne sono altre che prevedono l’impiego di telecamere che studiano i flussi nello spazio e la distanza delle persone dagli oggetti; la vicinanza, è intuitivo, implica un reale interesse e addirittura un coinvolgimento emotivo.
Non mancano inoltre metodologie più sofisticate: il radio-tracking del carrello, per ricostruire i percorsi e addirittura lo “stile di guida”; la video-oculografia (o eye-tracking) per conoscere la posizione dell’occhio (che cosa guardiamo) e misurare la dilatazione della pupilla (segno di interesse e di emozione); il bio feedback, ossia l’impiego di sensori che rilevano il battito cardiaco; infine, l’avveniristico elmetto in grado di eseguire un encefalogramma durante lo shopping.
Un approccio certamente meno invasivo, e anche più ludico, può essere la creazione di un negozio virtuale, uguale a quello reale, in cui navigare liberamente con il mouse. A questo proposito, una simulazione (organizzata con il sostegno di Coop) ha evidenziato come le persone passino il 56% del tempo in appena il 20% dello spazio, preferendo stare nelle aree “aperte” a scapito dei corridoi fra gli scaffali, spesso poco caratterizzati.
In conclusione: gli strumenti per un’indagine multidisciplinare di questo aspetto della vita di tutti giorni non mancano.
Sta agli operatori calarli nello specifico, per far sì che l’esperienza del consumo diventi un “valore” da condividere in un momento di consapevolezza sociale.



People, products, emotions
To study the interaction between the consumer and sales environments: this was the aim of a seminar organised in Milan by the Libera Universita di Lingue e Comunicazione (IULM), which invited various authorities from different disciplines to analyse and present a clear picture of environmental factors and buying habits. Ado Sattanino

The study of the relationship of action/retroaction between salespoints and consumers is experiencing a new methodological phase, due both to the speed at which distribution evolves and the evolvement of different disciplines; no longer just marketing, but semiotics, the sociology of consumption, environmental psychology, architecture and design are, in fact, able to provide efficient tools for analysis and intervention. This was the theme of the seminar “Consumer and sales point- Environmental factors and buying habits”, held in Milan at the “Free University of Languages and Communication” at the close of the last academic year, organised with the support of the Milan Chamber of Commerce. Objective: to propose a multidisciplinary method of study, able to analyse customer expectations, “read” sales points critically, describe spaces using objective criteria and a common language and, finally, propose true to life simulations.
At the speakers’ table were IULM professors and researchers from different disciplines: chairman Luca Pellegrini and Francesco Massara (marketing), Fabio Colacchio and Susan Ceresa (psychology), Giampaolo Fabris (semiotics), Giovanni Pelloso and, finally, Alfonso Morone (design and architecture).
The seminar closed with a paper from Francesco Gallucci (1to1lab.com), expert in applied technologies for market analysis. Unable to give an exhaustive report of every one of the ideas which emerged during a day of lengthy and elaborate papers, we provide a loose summary of some of the topics which might be of special interest to our readers.

Multitasking space
The theory teaches us that the world of consumers is “bipolar”. On one hand there are the so-called “utilitarians”: for whom shopping means simply stocking up on supplies, and to whom the salespoint is merely an algebraic sum of logistic and informative attributes.
At the other extreme there are the “hedonists”, for whom shopping is a pleasurable activity and for whom time dedicated to making purchases is valuable in itself.
However, research carried out contradicts this Manichaean vision, emphasising that there is no such thing as a pure utilitarian or a pure hedonist, but times when one attitude predominates over another. Traditionally, in marketing studies, consumers are subdivided into rigid categories- demographic (sex, age), social (income, education, values) and psychological (reaction to stimuli), and yet this classification does not seem sufficient by itself. These now consolidated variables, regarding the people themselves, need to be supplemented by a study of the idiosyncrasy of the many different tasks carried out by the same individual during the day: each “task” can be distinguished by the number of possible alternatives, the difficulty of the individual decision, the level of urgency, the quantity and quality of information available.
So, salespoints should not be content with chasing after one or more consumer profiles, but reflect on their functional vocation in order to better satisfy needs which may differ a great deal from one another (the various “tasks”).
Shops like newsagents and discount stores, or e-commerce web-sites, for example, should make it their business to speedily grant customers’ wishes (utilitarianism): the people who approach these structures in fact already have an idea of what exactly they are going to buy.
Shopping centres, outlets and supermarkets should instead mediate between the functional and the glossy: the majority of those who enter already have clear ideas (and do not wish to be distracted or, worse, hindered), but there is no lack of curious people who should be waylaid and pandered to. Flagship stores, theme parks or museum shops should instead concentrate on entertainment (hedonism). Indeed, in the latter case, people enter with the aim of spending their time pleasantly and sales assistants should therefore be most concerned with creating a need for purchase.

Balance between
too much and too little

These observations further confirm the difficulty shopping centres, outlets and supermarkets have in intelligently calculating investments aimed at favouring utilitarian and hedonistic use.
Generally, operators work on lighting, colors, layout of merchandise, decor and information. Some empirical research calculating the impact of these modifications on the consumer was presented in this regard. When a wellknown space becomes more elaborate and crammed with new details, it provides a vehicle for more data which, in turn, requires of the eye and mind of the observer a much greater effort of adjustment. Consequently, the question is to understand to what extent this effort is bearable, in view of its aim being to give pleasure, and when, on the other hand, it becomes intolerable.
Therefore, we will look at the answers of consumers surveyed. People who planned their trip meticulously in order to be sure of finding a given brand or product, do not care for excessive visual stimuli (in this case the term is “utilitarian adjustment”) and perceive novelty as excess, an annoying hindrance (hyper-activation of their senses). On the contrary, those who know they have more time to spend in a supermarket, or those who enter in search of new ideas (“hedonistic adjustment”) experience the absence of visual or sensorial stimuli as somewhat disappointing (hypo-activation). Two inversely proportional proclivities and results which anyway confirm why renewal projects pursued by distributors are not always rewarded with increases in sales and customer satisfaction.

An experience to explore
To study in more depth in what way purchasing motivation influences the system of expectations and acts on the means of exploration and evaluation of sales environments, an experiment was carried out on a sample of 67 IULM students (16 males and 51 females). They were given a questionnaire with open ended questions, and asked to recreate a sales point of their choice through imagination and memory, envisaging two different types of shopping trip: planned purchases, with a limited amount of time available, and free shopping.
An initial figure regards environmental variables recalled/re-experienced by the consumer.
As far as planned purchases are concerned, only a third of those interviewed lingered on furnishings and decor: a negligible number remembered the floor and not one person recalled the outside of the building. The numbers relating to free shopping were very different: approximately three quarters of the sample recall the furnishings, a good 50% recall the walls, some remember the floor, and more than one remember the outside of the store. The second observation concerns the relationship between self and environment: when purchases are planned an egocentric description clearly predominates (“I chose that, I went there..”) while, as far as free shopping is concerned, the majority gave an off-centre account, focussing on the surrounding environment. In other words, those who wander freely between windows or shelves are predisposed to note a greater number of variables, not strictly linked to the purchase, while those who plan their purchase recall the more functional aspects and their own actions, held to be rational.
The advice for operators therefore is to find a dynamic balance between respect for traditional layouts and the addition of some new elements, which may however be assimilated onto the consumers’ conceptual grid.

Measuring (hidden) desire
Nobody attempted to hide how complicated it actually is to define that middle path able to satisfy various patterns of behaviour.
In fact, measurements have to be taken to determine this, and this is precisely what causes the most problems. The point is that one can only measure what is visible while experts agree that as many as 70% of our choices are determined by the subconscious. Traditional techniques consequently succeed in measuring only 30% of consumer behaviour, and yet on this tiny percentage hinge whole advertising and promotional campaigns.
It would be far better to estimate the consumer’s emotional involvement, if this were possible.
To explore these subconscious aspects, some ad hoc analysing techniques have been developed. Those mentioned during the course of the seminar consist in simulations and tests with projections of shelves onto a large screen, but there are others which envisage the use of cameras to study the flux in space and the distance of people from objects; closeness notionally implies real interest and even emotional involvement.
Moreover, there is no lack of more sophisticated methodologies: radio-tracking the trolley, to reconstruct trajectories and even driving styles, eye-tracking to detect the position of the eye (what we look at) and measure pupil dilation (sign of interest and emotion); bio-feedback, or the use of sensors to detect heart beat; finally, a futuristic helmet able to perform an encephalogram while you are shopping.
A certainly less invasive and more playful approach might be the creation of a virtual shop, just like a real shop, where you are free to browse with a mouse.
To this end, a simulation (organised with the support of the Coop) highlighted how people spend 56% of their time in just 20% of the space, preferring to stay in open areas to the detriment of aisles between shelves, often poorly differentiated. In conclusion: there is no lack of instruments for a multidisciplinary study of this aspect of our daily lives. It is the job of the operators to fine-tune them so that the consumer experience becomes a “value” to share in an moment of social awareness.




Individui e società
Anche se non esiste lo “shopping” in astratto (ci sono infatti tanti modi di acquistare quante sono le persone), è comunque possibile individuare alcune macro-tendenze che sembrano descrivere il rapporto fra i luoghi della distribuzione e i consumatori, quale che sia il loro atteggiamento. Il semiologo Giampaolo Fabris ne ha individuate otto.

1) Centralità - Il tempo dedicato allo shopping aumenta, anche perché quest’attività è percepita come un divertimento. Il centro commerciale, con i suoi spazi curati e l’immagine coerente (e rassicurante), è uno dei luoghi preferiti.
2) Fedeltà - Un tempo il consumatore era fedele a una marca, mentre oggi preferisce sperimentare prodotti diversi, e non per disamoramento ma per maggiore autonomia di giudizio. Al contrario, la fedeltà al punto vendita cresce.
3) Servizio - Pensare al punto vendita solo come al luogo dove fare la spesa è riduttivo: sempre più spesso il consumo e l’acquisto avvengono negli stessi spazi. C’è però ancora molto da fare, per esempio nella definizione di “cluster” di bisogni: esporre la merce pensando alle esigenze del compratore favorisce le vendite di impulso. Per esempio, chi ha in mente di concedersi un aperitivo può essere indotto a comprare olive o salatini, se questi sono esposti a fianco di una bottiglia di buon vino.
4) Comunicazione - Il punto vendita è diventato una sorta di “ipertesto”, dove la merce dialoga con il potenziale acquirente. Nelle strategie di promozione si punta infatti a coinvolgere tutti e cinque i sensi.
5) Comunità - Non solo i centri commerciali sono un indiscutibile luogo di aggregazione, ma anche i negozi specializzati ribadiscono il proprio ruolo nel definire l’appartenenza di un acquirente a una determinata “tribù”.
6) Esperienza - Il consumo è un’esperienza estetica totalizzante, quasi disgiunta dal bene acquistato. La metafora è quella del teatro, del racconto di una storia (e sul concetto di “spazio narrativo” ha concordato anche l’architetto Morone). A questo proposito, si assiste un graduale passaggio di posizioni dal consumatore “orientato al prodotto” (il fatidico funzionalista che rappresenta ancora la maggioranza, 45,9%) e da quello “brand oriented” (più attento alle implicazioni simboliche di una scelta, 33,6%) a quello “orientato all’esperienza”, al proprio benessere (solo il 20,5%, ma la parte più dinamica del mercato).
7) Creazione - Tramontato il tradizionale spazio “flagship”, in cui le idee calavano dall’alto, il punto vendita è diventato anche una fucina dove nascono nuovi linguaggi e stili riconoscibili.
8) Credibilità - Da studiare, infine, il successo delle private label. Preferiti in passato per la loro convenienza, i prodotti a marchio proprio dimostrano carattere e capacità di differenziarsi.



Individuals and society
Even though there is no such thing as shopping in the abstract (indeed there are as many ways to make a purchase as there are people), we may however detect some macro-trends which appear to describe the relationship between sales points and consumers, whatever their attitude. Semiologist Giampaolo Fabris has found eight.

1) Centrality - The time dedicated to shopping increases, partly because this activity is perceived as fun. The shopping centre, with its immaculate spaces and orderly (and reassuring) image is one of the favourite places.
2) Loyalty - Once consumers were loyal to a brand, while nowadays they prefer to experiment with different products, not because they are disaffected but because they have more freedom to choose. On the contrary, loyalty to salespoints is increasing.
3) Service - Conceiving of a salespoint as a place where the only thing you can do is shop is limiting: more and more often people both buy and consume in the same spaces.
There is, however, still a great deal to be done, towards a definition of need “clusters” for instance: displaying merchandise with buyers’ needs in mind favors impulse buys. For example, if someone is thinking about having an aperitif they may be induced to buy olives or savoury snacks, if they are displayed next to a bottle of good wine.
4) Communication - The sales point has become a kind of “hypertext”, where goods communicate with the potential buyer. In promotional strategies the aim is to involve all five senses.
5) Community - Not only are shopping centres unquestionably a place of aggregation, but specialist shops also confirm their role in defining the buyer as belonging to a certain “tribe”.
6) Experience - Consumption is an all-engaging aesthetic experience, almost unconnected with the purchase. The metaphor is theatrical, involving the telling of a story (and architect Morone agrees on the concept of “narrative space”). In this regard, we see a gradual shift in position of the “product oriented” consumer (the fatal functionalist who still represents the majority, 45.9%) and the “brand-oriented” consumer (more attentive to the symbolic implications of a choice, 33.6%) to the “experience-oriented” consumer, concerned with his well-being (only 20.5%, but the most dynamic share of the market).
7) Creation - Now that the traditional “flagship” space, in which ideas were dropped from above, is on the wane, the salespoint has become a hotbed of new identifiable idioms and styles.
8) Credibility - Finally, private labels require some investigation. Once chosen for their good value, own brand products may show character and an ability to stand out from the crowd.