Coffee&tea

Focus su mercato e tipologie di confezionamento di caffè e tè, prodotti che afferiscono alla grande area “bevande”.

Con caffè e tè si intendono due tipologie di bevande che possono essere consumate fredde e/o calde, non come semplici prodotti dissetanti, piuttosto come parte integrante di rituali legati a una pausa corroborante (il caffè) o a un momento di relax (in particolar modo, tè e infusi).

I mercati di riferimento Il caffè
L’industria italiana del caffè è tra le più brillanti dell’area Food&Beverage: in Europa, il nostro Paese risulta secondo solo alla Germania, sia per quanto riguarda la produzione che l’esportazione.
Quando parliamo di produzione italiana, e di conseguenza anche di esportazione, ci riferiamo solo al caffè torrefatto dato che, in assenza di piantagioni autoctone, importiamo caffè verde dai paesi produttori, per poi lavorarlo e miscelarlo in Italia.
Il processo di torrefazione prevede la tostatura e la macinatura dei chicchi di caffè verde importati, ed è questa attività che contraddistingue l’Italia nel processo produttivo del caffè.
Con circa 950 aziende attive in questo ambito, la principale caratteristica della nostra produzione è quella di saper miscelare al meglio i grani provenienti da aree geografiche differenti.
Nel 2017 la produzione italiana di caffè ha raggiunto i 4,1 miliardi di euro, per un totale di circa 546.000 t, con un tasso di crescita sul 2016 del 5% circa sia per quanto riguarda il valore che il volume.
Secondo prime stime, nel 2018 la produzione dovrebbe essere cresciuta intorno al 4%, superando le 560.000 t.
Per quanto riguarda il commercio estero, nel 2017 sono state importate oltre 570.000 di caffè verde, pari a circa 1,38 miliardi di euro.
Se consideriamo anche le importazioni minori, caffè torrefatto, caffè solubile e preparati a base di caffè, le tonnellate arrivano a 585.000, con un prezzo medio di circa 2,71 euro, in crescita di circa il 7%.
Oltre la metà delle nostre importazioni provengono da Brasile e Vietnam, cui seguono India, Uganda, Indonesia e Colombia.
Le prime valutazioni relative al 2018 ci mostrano una crescita a volume di importazioni di caffè verde pari al 6%, ma in parallelo si registra un calo dell’8% circa a valore.
Le esportazioni riguardano in prevalenza il caffè torrefatto. Il 38% circa della produzione italiana viene esportato: nel 2017, il caffè torrefatto esportato ha raggiunto le 209.000 t (valore pari a circa 1,4 mld di euro).
Negli ultimi 10 anni le esportazioni di caffè torrefatto sono più che raddoppiate, a conferma della crescente domanda estera dell’espresso italiano.
I principali sbocchi dell’export nazionale sono i paesi europei (60% circa), cui seguono Stati Uniti, Australia e Russia.
Per il 2018 le esportazioni di caffè torrefatto dovrebbero chiudersi con un +5,7% a volume e un calo dello 0,5% a valore.

I consumi apparenti (import di caffè verde - esportazioni totali escluso il movimento scorte) risultano in calo del 5% nel 2017, ma in crescita del 7% nel 2018.
Quando però si parla di consumi di caffè, analizzando i dati in peso è necessario tener presente alcuni fattori. Prima di tutto va considerato il fatto che il caffè tostato e macinato pesa un 20% in meno rispetto a quello verde in grani, passando quindi da 351 t/000 a 280.
In secondo luogo, di queste, circa l’84% è destinato alla preparazione della bevanda, sia essa consumata in casa che fuori casa, mentre il restante 16% è destinato a un uso industriale, vale a dire alla preparazione di prodotti come gelati, yogurt, bibite, dessert, ecc.
Calcoli alla mano le tonnellate di caffè confezionato consumato in Italia nel 2017 risultano essere 235.870.
Per quanto riguarda la quota non destinata all’uso industriale, che viene consumata direttamente come bevanda, circa il 65% è destinata ad un consumo domestico (compreso quello in cialde presso gli uffici), il restante 35% è coperto dal consumo Horeca + Vending (distributori automatici non cialde).
Un’ulteriore suddivisione circa i consumi di caffè è quella che ne prende in considerazione le diverse tipologie: del caffè destinato al consumo domestico, il 90% è rappresentato dal macinato, il 6,7% dai grani e il 3,3% da quello solubile.
Il tè (e gli infusi)
Anche nel caso del tè, quando si parla di produzione, parliamo in prevalenza di prodotto importato sfuso e confezionato poi in Italia, in bustine o in barattoli. Per quanto riguarda i tè da infusione, nel 2018, in Italia sono state acquistate circa 157 milioni di confezioni (comprese camomilla, malva, ecc.) per un valore totale di 303 milioni di euro.
I quantitativi di tè e infusi consumati sono cresciuti del 4,7% rispetto al 2017, con una crescita a valore del 5%. In questo ambito il tè conferma il suo primato di categoria, con consumi stabili rispetto al 2017.
I protagonisti assoluti del trend di crescita sono gli infusi, il cui tasso di sviluppo a volume, nel 2018, risulta essere di oltre il 15%.
In Italia il consumo di tè non riguarda però solo quello da infusione; un’importantissima fetta di mercato è quella riferita al consumo della bevanda fredda confezionata, spesso acquistata in sostituzione di altre bibite sia piatte che carbonate o di succhi di frutta.

In Italia, il tè freddo rappresenta la bevanda liscia più bevuta - seconda solo alla Coca Cola - con un consumo pro-capite di oltre 9 litri/annui, uno tra i valori più alti a livello europeo.
Oltre ai tradizionali gusti fruttati, si sono ben affermati anche il tè verde (che ha ormai raggiunto il 9% circa dei volumi totali) e il tè freddo deteinato (quest’ultimo veicolato soprattutto sul target ragazzi).
Secondo l’elaborazione dei dati dell’Istituto Italiano Imballaggio, nel 2018, dopo una crescita del 2% che aveva sostenuto il trend delle bibite piatte, i consumi di tè freddo si sono assestati intorno ai 548 milioni di litri (+0,5%). In base all’analisi di settore non risultano importazioni di questa bibita, mentre continuano a crescere le esportazioni che, nel 2018, sono cresciute di oltre il 15%. L’importanza di questo mercato nel nostro Paese è testimoniata anche dagli investimenti che Coca Cola ha attivato in tal senso, puntando molto sulla nuova linea di prodotti Fuzetea, nata per sopperire ai cali delle bibite carbonate e in sostituzione del marchio Nestea, tornato in capo al gruppo Nestlè. Leader indiscusso dell’area resta comunque Ferrero, con il marchio Estathè.

Confezionamento Il packaging del caffè
Sono circa 24.170 le tonnellate di packaging utilizzate in un anno per il settore caffè, destinato alla preparazione della bevanda: il valore comprende sia la parte destinata al settore Horeca (bar e ristorazione) sia quella consumata in ambito domestico (compreso le capsule utilizzate sia in casa che in ufficio). Tradotto in valore, raggiungiamo all’incirca i 140 mln di euro.
Vediamo quindi in dettaglio la suddivisione del prodotto confezionato, analizzata per tipologia di imballaggio:
- l’85% è confezionato in sacchetti poliaccppiati flessibili, con capacità variabili tra i 250 g e i 3 kg, questi ultimi destinati all’Horeca;
- l’8% è imputabile ai barattoli di acciaio, che presentano le stessa capacità dei contenitori poliaccoppiati;
- il 4% è rappresentato dal caffè monoporzione confezionato in capsule di alluminio o cialde, realizzate in plastica o in carta;
- il restante 3%, fondamentalmente caffè solubile, è confezionato in prevalenza in sacchetti di carta (2,4%) o in vasetti di vetro (0,5%);
- gli astucci in cartoncino concorrono per lo 0,1%.
Nell’ambito del caffè monoporzionato, le capsule in alluminio sono il segmento che cresce di più: nel 2016 (ultimi dati disponibili) hanno registrato un +11% a fronte di una flessione delle capsule di plastica e delle cialde di carta.
Negli ultimi anni si sta promuovendo l’impiego di capsule realizzate in materiale biodegradabile, e questo per ovviare al problema della riciclabilità delle capsule realizzate in qualsiasi altro materiale: questa tipologia di imballo, ormai molto diffusa, non può di fatto essere separata dal prodotto dopo l’utilizzo, e quindi non può essere nemmeno smaltita come gli altri imballaggi, rientrando nel ciclo di raccolta del materiale di riferimento.
Aprendo una finestra sul solo settore Horeca, troviamo che l’85% è rappresentato dagli imballaggi flessibili poliaccoppiati, l’8% dal sacco in carta e il 7% dalla latta in acciaio. Tutte le confezioni hanno una capacità superiore a 1 kg.

Il packaging del tè
Il mix del packaging relativo a tè e infusi va distinto, a seconda che si parli del prodotto destinato all’infusione oppure della bevanda confezionata.
Nel primo caso si parla di confezionamento in singole bustine oppure di prodotto sfuso, dove le singole bustine sono raccolte in scatole di cartoncino (con una media di 20 bustine da 2 g per scatola); nel caso del prodotto sfuso, il 70% circa è confezionato in scatole di cartoncino e il 30% in barattoli di acciaio.

Parlando della bevanda confezionata, il mix del packaging è decisamente più vario.
Il confezionamento in bottiglia in PET risulta essere il più diffuso (71%), con formati che vanno dai 50 cl a 1,5 l.
A seguire troviamo il bicchierino in PS, formato 20 cl, con il 17%, seguito dalla lattina in alluminio da 33 cl (6,5%), brik (3%) e cheerpack (2,4%). Quest’ultimo, in particolare, negli ultimi 5 anni sta erodendo quote di mercato sia al bicchierino in PS e al brik.
Chiude la bottiglietta di vetro di capacità 50 cl con uno 0,1%. In base alle prime analisi, la bottiglia di vetro dovrebbe, nei prossimi anni, aumentare di qualche punto percentuale la proprio posizione grazie al lancio in ambito horeca della bottiglietta in vetro per Estathè.
Nel 2018 sono state circa 27.900 le tonnellate di imballaggi utilizzate per confezionare la bevanda tè, per un valore di circa 170 milioni di euro.

Barbara Iascone
Istituto Italiano Imballaggio

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