Il mercato e il confezionamento del caffè
Il consumo interno è in calo ma l’Italia resta il quarto consumatore mondiale di caffè, oltre che un forte trasformatore ed esportatore. E nel packaging crescono le cialde.
Il 75% della produzione mondiale di caffè è esportato dai paesi produttori all’estero, dunque il grosso dei consumi avviene al di fuori dei paesi di origine. I consumatori-non produttori importano caffè crudo e lo trasformano in loco in caffè tostato, per poi avviarlo ai punti vendita in grani, macinato, solubile ecc. Le importazioni, però, in molti casi non corrispondono alla domanda interna in quanto una quota significativa di caffè lavorato viene nuovamente esportata.
È il caso dell’Italia, che acquista caffè verde essenzialmente da cinque zone - Brasile, Vietnam, India, Uganda e Indonesia - lo avvia alla torrefazione e poi destina al mercato interno la quota maggiore della produzione così ottenuta, ma ne esporta una parte in crescita progressiva (+10% nel 2013, pari al 37% dell’immesso alle vendite). L’export italiano di caffè riveste, dunque, un ruolo importante e viene distribuito in prevalenza in Europa occidentale (in particolare Germania, Francia e paesi nordici) ma anche in Est Europa, Paesi Arabi e Usa.
Consumi e canali
Nel 2012 (ultimo dato disponibile) i consumi mondiali di caffè sono ammontati a 142 milioni di sacchi da 60 kg e presentano una tendenza alla crescita. L’Italia consuma circa il 4% del totale mondiale, posizionandosi al quarto posto della classifica globale, a pari merito con la Francia.
Nel nostro Paese le imprese attive nella lavorazione del caffè sono 1.112 (fonte Beverfood), ma i primi cinque gruppi rappresentano il 70% del mercato: Lavazza,Nestlè-Nescafè,Nescaffè-Nespresso; Mondelez Italia; Kimbo; Segafredo Zanetti; Illy. La concentrazione dell’offerta raggiunge il picco massimo nel comparto del caffè porzionato, dove tre operatori (Lavazza, Nestlè e Nespresso) assorbono oltre il 50% del mercato. Anche le private label della GDO esprimono una quota di mercato interessante, arrivando all’8%.
Nel 2013 il consumo interno era pari a 240.000 t, in calo del 3%: una percentuale da sommare alla contrazione dell’1,3% registrata nel 2012. Nell’anno in questione, il canale principale è stato il retail (64%), mentre il 21% del prodotto ha preso la via dei pubblici esercizi, il 7% è stato assorbito dal vending e l’8% ha riguardato il caffè monoporzionato per uffici e il caffè in cialde destinato ai privati (quest’ultimo in progressiva e continua crescita).
La produzione nazionale, però, è superiore alla domanda domestica: sono circa 360.000 le tonnellate di caffè torrefatto messo in vendita nel 2013, in crescita dell’1,4% rispetto al 2012 grazie all’andamento positivo delle esportazioni (+10%). La domanda interna, per contro, ha segnato un arretramento del 2-3%; si ricorda, al riguardo, che il caffè è un prodotto “maturo”, con un’elevata penetrazione nelle famiglie italiane, e di conseguenza il suo andamento segue il trend evolutivo generale dei consumi domestici. È peraltro importante rilevare che nel 2013, a fronte di un calo dei consumi attestato intorno al -3%, il macinato espresso ha subito una flessione del 6,4% ma, per contro, nel segmento “capsule” si registra un incremento del 19%.
I trend del packaging
Secondo elaborazioni dell’Istituto Italiano Imballaggio, le tipologie di caffè in commercio sul mercato italiano presentano questi trend:
- sensibile crescita delle cialde, la cui incidenza è passata dal 9% nel 2010 al 10,8% nel 2013. Ne ha fatto le spese essenzialmente la “confezione in poliaccoppiato flessibile da converter”, che nel 2010 rappresentava il 90% del mercato e nel 2013 è scesa al 79%;
- il confezionamento in lattina - barattolo o fustino da bar - rappresenta il 7,7% del totale;
- il sacchetto di carta, utilizzato per la vendita del caffè macinato sfuso negli appositi punti vendita, raggiunge il 2%;
- il vasetto di vetro e l’astuccio di cartoncino rappresentano lo 0,5%.
Le confezioni in poliaccoppiato flessibile da converter, che restano comunque la tipologia di packaging più diffusa, si dividono il pacchetti da 250 g (90%) e da 500 g (10%); molto presenti il multipack da due o quattro sacchetti da 250 g e il cluster da due confezioni da 250 g.
Le confezioni in lattina, invece, si dividono in unità 250 da g, per famiglie, e da 3 Kg, destinate ai bar.
A queste principali tipologie di imballaggi si devono, inoltre, aggiungere i bicchieri di plastica o cellulosa che si usano nei distributori automatici (vending) e negli uffici dotati di “macchinette” proprie.
Plinio Iascone
Istituto Italiano imballaggio