"Germania in crisi: dall'energia all'export, ecco come rialzarsi"

La guerra russo-ucraina, da una parte, e le tensioni Cina-Occidente, dall’altra, hanno indebolito la Germania, al punto che il Fmi ci dice che nel 2023 il Pil teutonico si è contratto dello 0,3% e nel 2024 dello 0,2%. La stessa istituzione internazionale prevede però uno +0,3% quest’anno e addirittura +1,1% nel 2026. L'analisi dell'ad di Porsche Consulting Josef Nierling.

Generoso Verrusio

Josef Nierling, ad di Porsche Consulting
Josef Nierling, ad di Porsche Consulting

Che cos’è che non va in Germania?
«Il Paese è anestetizzato e un po’ depresso. Pesano l’incertezza politica e le tensioni geopolitiche internazionali. Il consumatore finale non spende, preferisce rifugiarsi nel risparmio, con l’effetto che il mercato interno è in ambasce tanto quanto l’export. A ciò si aggiunga che anche i tedeschi hanno un problema di semplificazione e sburocratizzazione, di invecchiamento della popolazione e di mismatch tra sistema scolastico-educativo e mondo del lavoro».

I settori tradizionali di spinta della locomotiva, dunque, non compensano più?
«Direi di no, automotive, chimica e acciaio sono in una fase di tumultuoso cambiamento. Gli alti costi energetici non più sopportabili li stanno costringendo a una rivisitazione del modello industriale. Ma c’è una cosa, soprattutto, che vorrei sottolineare…».

Prego.
«Il tema energetico oggi è un problema anche per l’industria tedesca ma nasconde quello che è il vero vulnus del suo sistema produttivo: la perdita di competitività. La Germania necessita, come d’altro canto l’Italia, di uno spostamento massiccio di capitali verso l’innovazione».

Italia e Germania più vicine nella sfortuna.
«Parlare di singoli Paesi, in un sistema multipolare e globalizzato, ha poco senso. Preferisco fare riferimento all’Europa. Come europei dovremmo salvaguardare di più i nostri interessi commerciali. Con ciò non penso che la guerra dei dazi, così come sembra intenzionato a fare Trump, sia la strada maestra. Credo invece che occorra stringere nuovi accordi commerciali, creare le condizioni fiscali per attrarre investimenti e spingere l’acceleratore sulla digitalizzazione delle nostre aziende».

E i costruttori di macchine per il packaging, come possono attrezzarsi per queste sfide?
«Partiamo da un presupposto: il settore dell’automazione delle macchine per il packaging, specie nella fascia premium, è un’eccellenza delle manifatture tedesca e italiana che non teme rivali. Quello che consiglio loro, comunque, è di approfittare di questa congiuntura per razionalizzare la struttura di supply chain e incrementare le operazioni di fusione e acquisizione. Le attese di crescita del Pil mondiale sono intorno al 3% sia per il 2024 sia per il 2025, ciò significa che basterà diversificare i mercati, banalmente coprirne di nuovi. Il nord America rimane un mercato strategico, vero, ma non vedrei male una penetrazione più convinta verso Paesi come Giappone, Corea, India e in generale tutto il sud-est asiatico».

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