Fine linea alla tedesca

Tutto fatto in casa, per scelta e sentimento. Schubert, di padre in figli, continua a innovare, puntando su competenze, capacità produttiva e organizzazione.

Nello sviluppo di nuovi progetti, la Gerhard Schubert GmbH segue il principio di combinare un software intelligente con una meccanica essenziale, puntando ovviamente a migliorare l’efficienza produttiva e la flessibilità dei sistemi dedicati al packaging primario e secondario.
A interpack abbiamo avuto modo di incontrare Gerald Schubert (che, insieme al fratello Ralf, affianca il padre Gerhard nella guida della “family company” tedesca per antonomasia, per lo meno nel mondo delle macchine per imballaggio).
E la sua frase di esordio, al nostro arrivo allo stand (“Il mercato è incredibile”) tradisce il confortante ottimismo di un imprenditore che, contando su una struttura solida e competente, sa di poter dare le risposte giuste al momento giusto.

Il vostro focus principale è sul packaging secondario. Come sta andando questo settore?
Il mercato è davvero incredibile. Io mi occupo di vendite da 25 anni e ho vissuto molti alti e bassi. Eppure, in questo momento, sono sorpreso dal picco di ordini, dalla vivacità del business e dal numero di progetti in corso, di cui riusciamo a tenere il passo grazie alla standardizzazione: standard di qualità, si intende, un concetto che ispira da sempre lo sviluppo delle macchine Schubert ma anche standard progettuali e, ancora, organizzativi. Di fatto, la nostra offerta è costruita essenzialmente su sette moduli base, oggi così flessibili e così intelligenti da consentirci massima libertà d’azione. Possiamo infatti realizzare una serie infinita di combinazioni, ed è proprio questo il motivo che gli utilizzatori apprezzano i nostri sistemi di confezionamento.
E poi la nostra tecnologia è interessante perché, in virtù della flessibilità, si adatta al pharma e al food, ma anche al cosmetico, ai dolci, ai prodotti tecnici... insomma a tutti i beni di largo consumo.
Per capire quanto conta per noi essere flessibili, dovreste venire a visitare lo stabilimento di Crailsheim: siamo l’unico costruttore di sistemi di confezionamento ad assemblare macchine come in una fabbrica automobilistica. Tempo per l’assemblaggio di una macchina base? Tre giorni, senza ovviamente attrezzature e componenti customizzati. In questo modo costruiamo in un anno circa 2.000 sub-sistemi robotizzati.

E il lead time?
Se riceviamo un ordine e la richiesta del cliente è chiara, possiamo progettare e costruire una macchina in 4 mesi, che è un buon risultato. In questo momento siamo chiamati a evadere un numero davvero elevato di commesse, e il lead time è di circa 10 mesi. Il che, da un certo punto di vista è positivo e confortante, ma è anche un fattore di criticità perché i clienti, si sa, vogliono la macchina in produzione il più velocemente possibile.  
D’altra parte, più del 90% dei componenti software e hardware che montiamo sulle nostre macchine, sono realizzati “in casa” grazie alle competenze integrate in termini di ricerca, sviluppo, ingegnerizzazione e produzione.

Cosa significa “possedere” il knowhow hardware e software, senza dover acquistare i prodotti da fornitori esterni?
Significa anzitutto garantire il cliente. E, grazie a questo approccio, non ci siamo mai trovati nella condizione di dover dire a qualcuno “non abbiamo a disposizione parti di ricambio”.  A Crailsheim, del resto, abbiamo un magazzino dedicato, grande e ben organizzato, con ricambi per oltre 8 milioni di euro, il che ci consente di dare assistenza anche a macchine che hanno magari 20-25 anni.
D’altronde, un dato vale più di ogni altro: siamo stati la prima azienda al mondo a produrre in casa i robot per le macchine di confezionamento, e ci son voluti circa 10-15 anni prima che il mercato (e i competitor) capissero il valore e il significato di questo nostro sviluppo, che invece, per noi, rappresentava già allora il futuro.

Quali i vantaggi di essere una “family company”?
Ci sentiamo più forti, siamo molto flessibili e la gente ama lavorare in Schubert, e ne è orgogliosa, perché sa di far parte di una una realtà capace di dare continuità all’impresa (nel 2016 Schubert celebra i 50 anni dalla fondazione, Ndr). Basti pensare che non abbiamo mai ridotto il personale, anche nei momenti economici più duri e a dispetto della difficoltà.
Sul fronte del mercato poi, essere una family company, oltretutto all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, significa offrire garanzie anche alle grandi società globalizzate o alle piccole imprese con cui operiamo e che hanno imparato a conoscerci: puntare ad aumentare il livello di fiducia reciproca è fondamentale, perché in fondo, sono gli “uomini” a comprare e vendere le macchine e solo gli uomini possono dar corso a rapporti personali proficui anche sul piano del business.

Lei accennava alla vostra propensione alla ricerca...
Anche in questo caso, essere proprietari di un’impresa, conta. Noi investiamo tra gli 8 e i 10 milioni in R&D ogni anno e se io fossi “semplicemente” il CEO dell’azienda, sarei probabilmente tentato di ridurre la cifra, per ottenere maggiori profitti. In Schubert, questo, ovviamente non accade.

Il ricambio generazionale sta procedendo in modo soft?
Direi, anzi, che è già compiuto: io sono entrato in azienda nel 1989, mio fratello Ralf un anno dopo ed entrambi abbiamo assunto via via sempre maggiori responsabilità al fianco di nostro padre, che peraltro continua a vivere e amare la società come una sua creatura... Non passa giorno infatti che non arrivi in azienda ma, nei fatti, siamo mio fratello ed io a tirarne le fila, sfruttando le nostre inclinazioni. Per storia e studi personali, io sono orientato alla progettazione e alle vendite, mentre Ralf è l’esperto di IT e, si sa, è fondamentale trovare l’equilibrio fra “meccanici” ed ”elettronici”… anche se l’ago della bilancia si sta spostando sempre di più verso questi ultimi.
Di fondo c’è che amiamo quello che facciamo, siamo consapevoli della nostra forza e, soprattutto, conosciamo bene quello di cui ci occupiamo. Ralf, in particolare, ha una capacità speciale nel responsabilizzare le persone, incoraggiandole a farsi parte integrante di un processo di crescita e sviluppo. È alla guida del reparto di R&D, ma anche dei reparti di progettazione e assemblaggio. Ecco perché la qualità delle risorse, in Schubert, è davvero alta.

Come siete strutturati?
Abbiamo un gruppo di 10 aziende, dove lavorano circa 1.000 persone, di cui solo 700 si occupano di costruire macchine a Crailsheim. Il fatturato complessivo, nel 2013, è stato di circa 280 milioni di euro, dove l’export conta per l’80% circa, con il mercato europeo che assorbe il 70% della produzione.  Oltreoceano, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Giappone assorbono il 30% delle vendite). Abbiamo fornito anche qualche sistema in Cina, dove stiamo sviluppando con calma il business.

Una chiara dichiarazione di ottimismo. Progetti per il futuro?
Abbiamo messo a punto una tecnologia di confezionamento secondario adeguata e innovativa e guardiamo con sempre maggior interesse al mercato del pharma, dove peraltro operiamo già da parecchi anni. Continueremo inoltre sulla strada dell’innovazione, per restare ai vertici delle tecnologie di confezionamento anche nel prossimo futuro.
Ne è un chiaro esempio la nostra proposta più recente, lo scanner 3D progettato per la visione tridimensionale, che consente di migliorare ulteriormente le prestazioni dei nostri impianti di confezionamento TLM, sia nel pick-and-place che nel controllo qualità. Il cliente ne ricava uno scarto minore dei prodotti, una portata maggiore e un miglior controllo.
Altro driver di crescita per il futuro sarà il packaging primario nell’ambito della termoformatura e del riempimento.    
 
State pensando di produrre in altri Paesi?
Alcuni nostri importanti clienti stanno producendo in Brasile, India, Cina, vuoi per motivi economici vuoi per i dazi sull’importazione (si veda il Brasile). Ma noi abbiamo automatizzato la nostra produzione a tal punto da non voler lasciare la Germania.
E poi, siamo soddisfatti di come si sta muovendo il mercato europeo che, a dispetto del giudizio di molti, presenta ancora buoni margini di crescita. 


Prototipo della macchina TLM senza control cabinet: sul nastro  sacche d’infusione .
La macchina TLM per l’inscatolamento di bombolette di aerosol: la linea comprende solo quattro moduli base, con cambio utensili automatico. Lavora con 4 formati differenti e realizza imballaggi shelf-ready in 4 dimensioni (vassoio di cartone + coperchio).  Output:  320 prodotti al minuto.

A Interpack Schubert ha esposto 4  linee TLM di confezionamento, la cui caratteristica principale è la flessibilità. In particolare, in fiera, i prodotti confezionati erano buste di infusione, bombolette, barrette di cioccolato e bottiglie.

             

 

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