The Times They Are a-Changing'

“Sulla scia del grande successo riscosso dall’ultima edizione di IPACK-IMA, che ha avuto luogo lo scorso maggio, e con il passaggio di mano del pacchetto azionario della società Ipack-Ima Spa, ceduto da Centrexpo Spa a Fiera Milano Spa, giunge a conclusione il mandato di amministratore delegato di Guido Corbella…”.  
Così recita il comunicato che, il 16 luglio 2015, ha ufficializzato quanto molti già sapevano. Pochi giorni prima dell’evento, lo abbiamo incontrato: sereno e soddisfatto per un lungo tempo speso bene, ma anche - e non ne siamo sorpresi - ancora con tanta voglia di fare.  Stefano Lavorini

I tempi stanno cambiando, cantava Bob Dylan nel 1964, ed è accaduto anche quello che molti prevedevano (speravano?), ma a cui pochi credevano.
Guido Corbella, dopo quarant’anni di attività nel settore associativo e fieristico ha rimesso tutti gli incarichi.

Non si può negare che il suo lungo vissuto professionale sia costellato di intuizioni felici su evoluzione del mercato, modelli associativi, business fieristico.
Come direttore di Acimga, è stato protagonista e artefice della storia del comparto delle macchine per le arti grafiche e il converting. Ed è al suo impegno che si deve anche la nascita, nel 1984, dell’associazione dei costruttori di macchine per l’imballaggio, Ucima, di cui è stato a lungo il direttore: una coincidenza che, negli anni, ha portato a una sinergia sempre più stretta tra i due comparti. Come AD delle società fieristiche Centrexpo e Ipack-Ima ha inoltre ridisegnato il panorama delle manifestazioni dedicate al printing e al packaging in Italia e non solo, con risultati tangibili.
Volitivo e determinato, capace di visioni non convenzionali, tanto ha saputo trovare consensi e tessere accordi, anche a livello internazionale, quanto suscitare contrasti e dissensi.     
Una storia, la sua, che coincide almeno in parte con gli anni del boom italiano, con l’epopea dei grandi capitani d’industria nel settore stampa (Cerutti, Simoncini, Grignolio, Depetris, Rossini) e in quello dell’imballaggio (Taino, De Martis, Vacchi): uomini che hanno inventato e portato a livelli di eccellenza la tecnologia italiana, in un percorso fatto di intrecci sempre più fitti e proficui a livello associativo e fieristico.

Durante il nostro faccia a faccia, Corbella fa un primo bilancio e, senza remore, risponde alle nostre domande: «Considero conclusa la mia esperienza nel mondo delle fiere, avendo raggiunto gli obiettivi che mi erano stati dati. Mi riferisco anzitutto al successo dell’ultima edizione di Ipack-Ima e delle fiere collegate, grazie anche al nuovo format che è stato apprezzato da tutti gli stakeholder e, in particolare, dai visitatori.
In secondo luogo, fedele all’impegno assunto, ho contribuito a  portare il gruppo fieristico sotto la mia responsabilità in un contesto che, andando oltre i riferimenti associativi, fosse in grado di offrire solide prospettive di sviluppo: Fiera Milano Spa è infatti il più importante operatore fieristico nazionale».

Quali sono stati i fattori significativi che hanno caratterizzato i suoi tanti anni di “militanza” in campo fieristico?
Penso soprattutto che siamo stati capaci di capire in anticipo l’importanza di disegnare le fiere guardando al mercato, ovvero ai visitatori e non agli espositori. Un esempio su tutti è l’articolazione per business community di Ipack-Ima, già vecchia di alcuni anni.
Coerentemente, ed è una cosa di cui sono particolarmente orgoglioso, abbiamo lavorato per portare alla presidenza delle nostre manifestazioni figure che potremmo definire “visitatori di eccellenza”: Alberto Bauli, Paolo Barilla, Marco Pedroni per Ipack-Ima, Simona Michelotti per Converflex, Sergio Dompé per Pharmintech, Francesco Pugliese per Fruit Innovation.
Questo focus sui visitatori ci ha guidato nel tempo a realizzare fiere verticali, molto specializzate: Converflex, tecnologie per la stampa e la trasformazione dell’imballaggio e, a seguire, Pharmintech, process e packaging farmaceutico, per arrivare alle  verticali del fresco Meat-Tech e Dairytech.
Altro punto qualificante è stata la creazione di una struttura operativa dedicata alla promozione e gestione delle fiere: è su queste basi che nell’80 viene fondata Centrexpo, connotata da subito come società fieristica partecipata non solo dall’associazione dei costruttori di macchine (Acimga 80%), ma anche da quella degli stampatori (Assografici 20%).

Lei è stato dal 1974 direttore di Acimga e poi, dalla nascita e per lungo tempo, di Ucima. Come e perché si è realizzata questa contemporaneità?
Grazie alla lungimiranza di alcuni presidenti di Acimga, nell’81 abbiamo concretizzato il nostro interesse per il settore del packaging, progettando la prima edizione di Converflex.
Con la consapevolezza che si trattasse di un settore in forte sviluppo, nell’84 abbiamo organizzato a Mosca Upak-Italia, col risultato, anche in virtù del successo ottenuto, di avvicinarci ai costruttori di macchine per l’imballaggio, allora costituiti in un Gruppo all’interno di Anima. Possiamo dire che, proprio da quell’evento, ha preso le mosse Ucima in forma di associazione indipendente, anche grazie all’accordo di joint venture con Acimga: le associazioni mantenevano la propria identità, indipendenza e i propri organi direttivi, ma la struttura operativa, direttore compreso, era condivisa.
Abbiamo così creato un modello di “contiguità di mercato”, inizialmente ostacolato da Confindustria, che però ha funzionato bene e a lungo: in 22 anni ha infatti permesso di sviluppare una forte sinergia tra il settore della stampa (che, con la crisi dei costruttori italiani di macchine offset, stava peraltro spostandosi verso la stampa su imballaggi, Ndr) e il mondo del packaging. Sinergia che, in campo fieristico, si è tradotta, nel 1992, in una nuova manifestazione focalizzata sul confezionamento (Packintec) e poi, grazie alle risorse autonome di Centrexpo (utili accantonati negli anni derivanti dall’organizzazione di Gec e Grafitalia, Ndr) nell’acquisizione graduale della società Ipack-Ima e della fiera omonima. Tra i tanti dettagli di quegli anni, ricordo il fatto che, nell’87, Acimga abbia ceduto a Ucima il 10% delle quote di Centrexpo, sancendone così lo status di società fieristica di riferimento per entrambi i comparti.

Come vede il ruolo attuale delle associazioni in ambito fieristico?
Nel Dopoguerra, le associazioni di categoria hanno ben presto compreso l’importanza delle manifestazioni fieristiche di settore, e hanno svolto un’azione determinante nel fare nascere i primi eventi alternativi alle “campionarie”.
In quest’ultimo ventennio, complice la crisi di rappresentanza, in molti hanno smesso di vedere l’attività fieristica come business a se stante, riducendolo a semplice fonte di sostentamento dell’attività associativa. Inoltre, una visione troppo legata al mondo produttivo italiano, ha fatto per lungo tempo da freno all’internazionalizzazione delle manifestazioni, ostacolando la presenza di espositori stranieri.
Oggi il mondo fieristico è altamente competitivo e questo impone una visione manageriale diversa da quella necessaria a gestire un’associazione, legata inevitabilmente più a logiche politiche che di marketing. Ciò, sia chiaro, non osta tout court al fatto che un’associazione possa essere anche un valido organizzatore di fiere, a patto di saper e voler gestire tale attività, assumendosi i rischi di impresa correlati.
Sull’altro versante, gli organizzatori di fiere, ovviamente, si devono rendere conto che i veri stakeholder sono i visitatori e gli espositori, e sempre meno le organizzazioni di rappresentanza, evitando quindi di disperdere risorse che non siano finalizzate a favorire l’incontro di domanda e offerta.
In questo contesto Acimga ha sempre rappresentato un’eccezione, perché ha interpretato le fiere come area di business da gestire non nell’ottica associativa, ma in modo imprenditoriale. E questo grazie a una lunga serie di presidenti/industriali che hanno portato all’interno dell’associazione un vero spirito d’impresa, e che hanno voluto reinvestire i proventi generati dall’organizzazione delle fiere in questa attività.

Oggi però, anche parlando di fiere, non si può prescindere dai cambiamenti del quadro competitivo globale. Ormai per tutti il mercato è il mondo…
Sono convinto che il partner più efficace per accompagnare le aziende nel processo di internazionalizzazione sia proprio l’organizzatore di fiere; è infatti l’interlocutore in grado di valutare e scegliere, nei vari paesi, le manifestazioni di maggior interesse, organizzare la presenza delle aziende durante gli eventi, garantendo - cosa importante - la partecipazione di realtà dell’intera filiera e non soltanto dei competitor.
Un partner capace anche di inventare manifestazioni nei mercati più promettenti (nello specifico il riferimento è a Upak-Italia, East Afripack, alla partnership con l’americana PMMI e alla rappresentanzain Italia delle fiere PackExpo, Ndr).
Ma non solo. Come abbiamo fatto nel recente passato, l’organizzatore di fiere può promuovere e offrire il supporto operativo alla nascita di reti di impresa, che aggregando su progetti comuni aziende complementari, sembra essere la formula organizzativa più vicina alla cultura degli imprenditori italiani.

Centrexpo e Ipack-Ima sono depositarie di un patrimonio di conoscenze e di esperienze pluridecennali in campo fieristico. Cosa cambierà, secondo lei, con il nuovo assetto proprietario?  
Centrexpo e Ipack-Ima costituiscono il gruppo, nel campo della meccanica strumentale, più diversificato per numero di fiere, con il maggior numero di metri quadrati venduti e con buona capacità innovativa e progettuale. Auspico che Fiera Milano decida di consolidare le attività storiche e soprattutto di sviluppare al meglio tutte le iniziative che sono state realizzate di recente, investendo nelle start-up East Afripack, Meat-Tech, Dairytech, Fruit Innovation.
D’altronde, Fiera Milano con l’acquisizione del “patrimonio” Ipack-Ima sembra confermare la scelta strategica di essere sempre più organizzatore di fiere in proprio. Oggi, infatti, i quartieri fieristici che ospitano esclusivamente manifestazioni, o sono inserito in un contesto di tipo anglosassone che fa divieto a chi gestisce la pubblic utility di organizzare anche eventi, oppure si trovano a scontare una posizione di debolezza. Il modello tedesco è storicamente quello vincente e tra i fattori di successo c’è anche il fatto che il fatturato dei grandi enti fieristici è riconducibile per la maggior parte a manifestazioni organizzate in proprio, e solo marginalmente a quelle ospitate. Ma per seguire questa strada ci vogliono conoscenze, ovvero uomini.  Spero, quindi, che vengano valorizzate le peculiarità di una realtà che ha sempre avuto come fattore di successo la velocità di reazione ai mutamenti del mercato e una grande creatività nel proporre nuovi modelli. La struttura attuale ha competenze diffuse, sia per quanto riguarda lo specifico settoriale sia in relazione al business fieristico. Non offrire alle persone prospettive di continuità sarebbe un’imperdonabile dispersione di risorse. Da parte mia, sono grato ai miei collaboratori per il prezioso supporto che ha reso possibile raggiungere tanti, importanti e “impensabili” traguardi».

 

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