Fil rouge. Come eravamo, come siamo
L'editoriale di Stefano Lavorini.
La storia siamo noi, canta Francesco De Gregori. La storia è un catalogo di fatti, di azioni compiute da esseri umani, e non di date e concetti astratti. La storia si racconta, si ripete: per cogliere il senso degli avvenimenti, dei sentimenti e delle idee di coloro che l’hanno agita, per guardare alla realtà con consapevolezza.
Ma la storia è anche fascinazione, come sa dimostrare nella sua semplicità “l’autobiografia semiseria” della rivista Imballaggio, che scrissi a suo tempo* per fissare nero su bianco quello che era stato e che non avrebbe potuto essere altrimenti. E che oggi, non senza stupore, mi sembra ancora attuale. A voi giudicare!
«In un periodo in cui c’è chi è disposto a mettere in piazza di tutto pur di parlare di sé, perché, mi sono detta - io che sono una rivista - non dovrei raccontarmi? Del resto, nei fatti, la mia non è una storia qualunque. Nacqui nell’aprile del 1950 in una Milano già allora vivacissima e operosa, tutta protesa nell’intento di ricostruire, e costruire. […]
A quel tempo l’editoria tecnica era tutta da inventare, non foss’altro perché proprio in quel periodo stava concretizzandosi una vera e propria tecnologia e industria dell’imballaggio. Si trattava, quindi, di dar vita a uno strumento che seguisse passo passo l’evolversi delle aziende e dei loro prodotti; un microfono per dare voce a chi aveva voglia di parlare delle “proprie” scoperte, dei propri esperimenti, in sostanza del proprio lavoro. Era un momento di grande fermento ed io stessa, che ne raccoglievo e traducevo i sintomi, ero frastornata da tutti quei cambiamenti.
Certo posso dire oggi, forte della mia esperienza, che tanti avrebbero avuto molte cose di cui riferire e di cui mettere al corrente gli “altri”, ma era un mondo più votato al fare che al parlare. Di certo differente da quello che tutti oggi viviamo. C’era una forma di “pudore”, di ritrosia nel raccontare di sé; sembra impossibile che tutto sia così velocemente cambiato. Non si viveva la sfrenata voglia di protagonismo che oggi assilla il genere umano. Il paese doveva fare grandi passi in avanti per recuperare gli anni, troppi, perduti.
Se torno a guardarmi, sfogliando le pagine dei primi fascicoli, vengo colta da un sentimento di tenerezza e sorrido tra me per certe ingenuità che ci accumunavano un po’ tutti; nel contempo stupisco nel constatare quante idee “moderne” non siano altro che una reinterpretazione di cose già viste. C’era comunque una freschezza ed un’immediatezza che oggi è venuta forse troppo meno. […]
Ricordo che la notizia di un nuovo prodotto veniva diffusa come qualcosa di “miracoloso”, di rivoluzionario, ed invero in parte lo era. Non che questo atteggiamento supponesse una visione superficiale del reale: ricordo, ad esempio, un articolo sulle nuove materie plastiche che oltre all’indicibile stupore nei confronti degli ultimi ritrovati della tecnologia, non trascurava di interrogarsi sul futuro dell’uomo. Era, tanto per cambiare, il periodo della Guerra Fredda, e con lucidità si commentava: "Questi ultimi ritrovati (le plastiche, ndr.) suggeriscono una conclusione ottimistica: è consolante, mentre il mondo pare incamminarsi verso catastrofi definitive, vedere con quanta fatica e quanto ingegno ci si preoccupi del nostro benessere a venire". […]
Cosa avrebbero detto i personaggi della nostra crescita industriale, ad uno dei tanti talk-show attuali? Pulite le mani dal grasso delle macchine, avrebbero avuto il coraggio di raccontarsi, sfoggiando l’unica, forse, cravatta del loro guardaroba? No, non c’era tempo. La popolarità poteva attendere, il lavoro no».
In conclusione, oggi come allora, resto convinto che una rivista (una volta Imballaggio, oggi ItaliaImballaggio) resti testimone fedele e attenta dell’evolversi dei tempi. Un privilegio che nessuno potrà mai negare e di cui, giustamente, andare orgogliosi.
*Per celebrare i 40 anni di Imballaggio, il testo fu pubblicato nel Supplemento al n. 418 della rivista edita da Etas Periodici (Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno Etas SpA), a dicembre 1990. Desidero ringraziare il collega Luca De Nardo che, di recente, mi ha fatto omaggio di una copia di quel volume, per me ormai perso. Lunga vita alla carta!