È forse una favola?
Alla soglia dei 100 anni, l’avvocato Bruno Segre, dopo aver elencato in un’intervista una serie di critiche puntuali e sferzanti all’attuale momento storico, conclude in modo laconico: «L’Italia resta un grande Paese. È come una bella donna volgare. E io non posso smettere di amarla»(1).
Editoriale di Stefano Lavorini
Viene da pensare che è proprio in questa sorta di ricatto sentimentale che trova limite e ragione la perseveranza di coloro che non rinunciano a pensare e a giudicare i fatti immaginando i diritti di tutti.
Anzi, a dirla tutta, ampliando la prospettiva, sembra proprio che in questo particolare “amore per la vita” si rinvigoriscano le voci di chi - seppure in tarda età - si interroga su convenzioni, mode, scomode verità e sui mutamenti che stanno sdoganando i sentimenti più inconfessabili.
Sorvoliamo per carità di patria su come in questo momento è amministrata la res publica e sul fatto che, forse, bisogna ancora “fare gli italiani”, e veniamo a materia, per così dire, più tecnica: l’Artificial Intelligence.
Volgarizzando, sembra di per sé un paradosso che animali come gli uomini, limitati per natura, abbiano la presunzione di arrivare a creare un’intelligenza superiore, ovvero perfetta. Nientemeno che Dio, insomma.
Sta di fatto che di AI si fa un gran parlare anche nel mondo del packaging, ma è in un altrove, di sicuro geografico, che ricerca e sviluppo percorrono strade sconosciute, a cavallo tra stupefacenti progressi tecnologici e interrogativi etici sempre più circostanziati.
In un suo recente articolo, a 95 anni, Henry Kissinger (sì, proprio quell’uomo che per mezzo secolo ha disegnato la scena geopolitica e diplomatica mondiale) così scrive: «L’età della ragione ha prodotto i pensieri e le azioni che hanno plasmato l’ordine del mondo contemporaneo. Ma adesso stiamo assistendo a uno sconvolgimento di quell’ordine, per mezzo dell’avvento di una nuova e ancora più travolgente rivoluzione tecnologica (rispetto all’invenzione della tecnica tipografica nel XV secolo, Ndr.), una rivoluzione di cui non abbiamo valutato le conseguenze, e il cui apice potrebbe consistere in un mondo dipendente da macchine azionate da dati e algoritmi, senza alcuna norma etica o filosofica a guidarle».
Lo scritto prosegue con un’acuta disamina delle ricadute dell’avvento di internet, in cui vede prefigurarsi alcuni degli interrogativi e delle problematiche che l’intelligenza artificiale non farà altro che acuire.
«Siamo ben oltre l’automazione così come la conosciamo: l’automazione ha a che fare con i mezzi, consegue degli obiettivi prescritti, razionalizzando e meccanizzando gli strumenti per raggiungerli; l’AI, invece, ha a che fare con il fine, stabilisce propri obiettivi. Poiché gli obiettivi sono in parte definiti da essa stessa, l’intelligenza artificiale è per sua natura instabile».
Riferendosi al software di intelligenza artificiale AlphaGo, che ha sconfitto i più forti giocatori di Go al mondo, aggiunge a proposito dell’AI: «...effettua valutazioni strategiche sul futuro basandosi sia su dati ricevuti con il codice (per esempio, le regole del gioco), sia su dati che ha raccolto in autonomia (per esempio, disputando un milione di partite)».
Kissinger ritorna così a una considerazione fondamentale: «Come gestiremo l’intelligenza artificiale, come apporteremo delle migliorie all’AI? O perlomeno, le impediremo di causare danni, fino allo scenario più terrificante, ovvero che l’AI, essendo in grado di padroneggiare certe competenze molto più rapidamente e con più precisione degli esseri umani, possa col tempo diminuire la competenza umana e la stessa condizione umana trasformandola in dati?»(2).
È evidentemente materia complessa. Meglio quindi tenere alta la guardia, indagare e vigilare sulle “rivelazioni della scienza” che stanno modificando il nostro modo di vivere e di pensare, perché è facile prendere fischi per fiaschi.
Scriveva anni addietro Roberto Calasso: […] Ancora il vecchio Platone de Le Leggi rivolgeva il pensiero a Sparta con un oscuro rimpianto: «Guardando all’organizzazione di cui discorrevamo, essa mi è sembrata bellissima. Se fosse toccata ai Greci, sarebbe stata un possesso mirabile, come ho detto, se qualcuno fosse stato capace di usarla in modo bello». Parla in queste parole l’illusione aurorale verso la tecnica: predisporre un congegno perfetto che si possa volgere verso il Bene. Ma quel congegno era fondato sulla esclusione di ogni Bene che non fosse il proprio funzionamento […] (3).
Ed era Platone!
Noi possiamo, o convenire con quanti sostengono che “la domanda non è più cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma cosa la tecnica può fare di noi” oppure credere che l’AI sia una bella favola, con tanto di morale confortante e confortevole, per cui alla fine null’altro che bene ci verrà.
A ognuno la propria scelta.
(1) Simonetta Fiori, “Siamo di fronte agli analfabeti della democrazia”, la Repubblica, 1/9/18.
(2) Henry Kissinger, “Un intelligenza da paura”, la Repubblica 22/7/18.
(3) Roberto Calasso, “Le nozze di Cadmo e Armonia”, Adelphi, pag. 281.