Per sostenere il valore semantico oltre che industriale dell’imballaggio, è necessario averne una visione a tutto tondo. A questo proposito, le occasioni di confronto tra operatori proposte da Giflex offrono sicuri spunti di riflessione, utili a recuperare il senso di concretezza della tecnologia e del business e, al contempo, a cogliere quei motivi di novità capaci di fare la differenza sul mercato.
È il caso della relazione presentata dall’attuale presidente del CNR, Luigi Nicolais, nel corso del 27° congresso d’autunno del Gruppo Imballaggio Flessibile, un excursus sugli avanzamenti della ricerca in fatto di materiali nanocompositi e di cui proponiamo un’ampia sintesi.
Un atteggiamento divulgativo, quello adottato da Nicolais, che colpisce per semplicità e chiarezza e che, pur con espliciti riferimenti al mondo del flessibile, riesce a esprimere concetti “forti”, validi per tutti i produttori di imballaggio: l’innovazione non può più essere vista solo in chiave incrementale, ma deve essere radicale e, per renderla effettiva, è necessario un deciso cambio di rotta nell’affrontare la progettazione di un sistema di packaging. A tutto vantaggio del business e dei rapporti tra fornitori, produttori e consumatori.
Imperativo: progettare il materiale giusto
«Le ossa del corpo contengono un minerale, l’apatite, molto rigido ma fragile; ecco perché, per rendere il sistema osseo più efficiente, all’apatite la natura ha mescolato il collagene, creando così un sistema di materiali eterogeneo, dove la resistenza agli urti e la capacità di sostenere carichi più o meno elevati varia a seconda dell’età. In pratica, la natura ha “progettato” ben prima della scienza umana il materiale più adatto a una certa applicazione».
Con questo esordio, il professor Nicolais arriva subito al punto che gli sta più a cuore, perché, sostiene «oggi non esiste più “il” materiale tout court, ma è necessario - e soprattutto possibile - progettarlo ex novo. Di conseguenza, l’attività di “creazione” si sposta a monte del processo di realizzazione di un manufatto. Il che, però, suggerisce anche che non tutti i materiali sono sempre indicati a soddisfare particolari esigenze. […]
La progettazione dei materiali è un scienza nata pochi anni fa, proprio sotto la spinta della consapevolezza che utilizzare materiali on the shelf non sempre rappresenta il modo più efficace di progettare una struttura davvero capace di garantire tutti i requisiti di un determinato prodotto». […]
«I materiali nanostrutturati sono compositi di dimensioni nanometriche, ovvero di gran lunga inferiori alle dimensioni “visibili” e per questo non interagiscono in nessun modo con la lunghezza d’onda della luce: aspetto decisivo, ad esempio, per un film flessibile - sottolinea Nicolais - la cui trasparenza non viene in alcun modo influenzata. Più in generale, lo studio di questi materiali ha sostanzialmente cambiato il modo di intendere e considerare la chimica tradizionale e, oggi, la loro disponibilità ha creato una sorta di “terza dimensione” della tabella periodica degli elementi (1).
In pratica, oggi, è possibile modificare sostanzialmente comportamento e proprietà di un materiale tradizionale, fino a dar vita a plastiche trasparenti conduttive, generare superparamagnetismo, semiconduttività dei metalli, effetti super-catalici… Insomma, la progettazione del materiale a livello nanometrico permette di ottenere non “un” materiale, ma un’infinità di materiali». […]
Il mondo nuovo
Per quanto riguarda le ricadute sul mondo dell’imballaggio, il professor Nicolais parla “di un mondo nuovo che si è aperto davanti all’industria”, dato che «dal punto di vista applicativo, grazie alle nanotecnologie, è possibile ottenere materiali diversi da quelli tradizionali e con proprietà assolutamente innovative. In altri termini, siamo di fronte ai materiali “intelligenti”, in grado di rispondere a stimoli di vario genere che provengono dall’ambiente esterno».
Le possibili applicazioni in ambito alimentare, risultano al proposito, calzanti.
«Nel food, ad esempio, l’imballaggio non è più solo “il contenitore”, ma strumento che assolve a numerose funzioni: valorizza la qualità degli alimenti, proteggendone shelf life, sicurezza e igiene; diventa strumento di tracciabilità e controllo non solo del packaging ma anche del contenuto, di cui certifica la non contraffazione e la sostenibilità, anche economica. Siamo di fronte quindi ai packaging attivi e intelligenti che offrono l’opportunità di pensare a qualcosa che, in passato, non esisteva. L’abitudine diffusa di acquistare e utilizzare al meglio un film con certe proprietà - ammonisce ancora il professore - oggi è superata dalla possibilità di arricchire lo stesso materiale con funzionalità alternative, che lo trasformano in una specie di “reattore chimico”».
Dalle strutture attive e passive ai nanosistemi molecolari per cambiare il business
Le prime nanostrutture passive sono nate intorno al 2000, e hanno determinato un’accelerazione nel concetto di progettazione dei materiali; nel 2005 si sono aggiunte le nanostrutture attive fino ad arrivare ai nanosistemi molecolari (la scala dimensionale si fa dunque sempre più piccola).
«Questi avanzamenti determinano la possibilità di incrementare proprietà barriera, durabilità, resistenza a temperature e umidità, ma anche di incorporare componenti attivi, e acquisire con sensori tutti i cambiamenti che ricorrono nella vita di un packaging, registrandoli. E ancora, consentono di modificare polimeri e i biopolimeri, di impiegare enzimi, di utilizzare la biotecnologia e anche di trasformare la stampa in un elemento di monitoraggio del comportamento dell’imballaggio». […]
Non ultimo, insiste Nicolais «gli sviluppi della ricerca saranno determinanti anche sul piano del business: introducendo nuovi motivi di interesse, potranno infatti influire sulla qualità dei rapporti tra i fornitori di imballaggio e i loro clienti, fino a modificare il ruolo del packaging, sempre più centrale e insostituibile anche nel rapporto tra produttori e consumatori».
Ecco perché, avverte ancora Nicolais «nel packaging, l’innovazione non deve più essere solo incrementale, ma radicale. Il che comporta il cambio di mentalità con cui affrontare la progettazione di un sistema di packaging. L’innovazione dei materiali richiede infatti un approccio, per certi versi, a rebour, che parte cioè dalle esigenze reali di conservazione per poi risalire alla progettazione del materiale (il cosiddetto reverse engineering, Ndr)». […]
Digressioni (di sostanza) sul mercato globale
La necessità di una shelf life più lunga, imposta dalla progressiva globalizzazione, è espressione a sua volta di cambiamenti intervenuti in tutti i contesti produttivi, tecnologici e di mercato.
Infatti, la competizione non avviene più a livello regionale o nazionale, ma a livello globale con tutte le problematiche che ne derivano, non ultima quella di un costo del lavoro molto differente da zona a zona. «In Italia ed Europa - precisa Nicolais - è dunque necessario lavorare sempre più e meglio non tanto ad abbassare il prezzo di un prodotto, quanto per arricchirlo con l’innovazione, innalzandone il valore e gli aspetti competitivi, e trasformarlo così nell’espressione di un sapere originale, non ancora condiviso da tutti, e dunque più prezioso. Il che potrebbe fornire una “barriera” alla concorrenza globale, una sorta di viatico alla leadership».
In conclusione
«Ciò che si risulta chiaro - ammonisce il professor Nicolais - è che il cambiamento richiede ancora una volta l’interazione tra saperi positivi, la condivisione di conoscenze tra il trasformatore e il progettista del materiale, tra i biochimici e gli esperti di settori diversi, così da ottenere materiali progettati ad hoc per una specifica applicazione».
Con buona pace del progresso e del successo di mercato. |
• La nanotecnologia già consente di creare biopolimeri e polimeri biodegradabili, o di migliorare le prestazioni di quelli esistenti. In questo senso, l’aggiunta di enzimi può determinare cambiamenti importanti, contribuendo a formare biopolimeri che potranno essere la base di nuovi e più efficienti materiali da imballaggio (6).
• Coating di dimensioni nanometriche sono: gli ossidi di silicio e alluminio, il carbone amorfo per applicazioni plasma, i coating organici polimerizzati ad alta temperatura, i coating con strati organici e inorganici con la possibilità di inglobare antimicrobici.
• Bionanocompositi antimicrobici, come le nanoparticelle di argento, riducono la possibilità di crescita di agenti microbici.
Lo smart packaging: attivo e intelligente
Il suo obiettivo è limitare e monitorare il deterioramento microbiologico, fisico e chimico degli alimenti confezionati.
L’active packaging è in grado di agire in modo interattivo con i processi di invecchiamento e degradazione del prodotto conservato, per esempio attraverso il controllo dello spazio di testa (regolando l’aumento o la diminuzione dell’ossigeno), esaltando alcune proprietà sensoriali senza però alterare la qualità complessiva del prodotto, incrementandone la sicurezza.
Con l’intelligent packaging è possibile monitorare nel tempo la storia termica e la concentrazione di sostanze, al fine di segnalare condizioni di conservazione e distribuzione inadeguate.
• Sono stati messi a punto nanosensori biodegradabili per monitorare temperatura e umidità, nanosensori elettrochimici per individuare l’etilene, indicatori di gas basati su inchiostri intelligenti, identificatori di prodotti e sistemi anticontraffazione (codici a barre nanometrici), etichette attive con alimentazione incorporata, film plastici autoriparanti (in cui sono utilizzate delle capacità di reazione a livello molecolare o codici a barre anticontraffazione nanometrici che utilizzano il DNA e che consentono di misurare elementi patogeni).
• I biosensori individuano, registrano, e trasmettono informazioni relative a reazioni biochimiche. Essi consistono in un biorecettore, che riconosce uno specifico analita, e in un trasduttore, che converte i segnali biochimici in risposte elettriche quantificabili. Il biorecettore è in materiale biologico od organico (antigene, enzima, ormone, microbo, acido nucleico). Il trasduttore può assumere varie forme (ottico, elettrochimico) a seconda dei parametri da misurare.
Alcuni esempi di biosensori in commercio:
- nanoparticelle fluorescenti con anticorpi per l’individuazione di sostanze chimiche che indicano il deterioramento dell’alimento o la presenza di patogeni e batteri;
- DNA Biochips che consentono di individuare patogeni. Si basano su nanotubi di carbonio ricoperti con DNA per creare nanosensori. Il nanotubo di carbonio funziona da trasmettitore mentre ogni singolo DNA funziona da sensore;
- facendo aderire anticorpi della enterotossina stafilococcica B su polidimetilsilossano si ottengono biosensori con una sensibilità pari a B 0.5 ng/mL;
- nanovescicole sviluppate per individuare Escherichia coli 0157:H7, Salmonella spp., Listeria monocytogenes e proteine allergeniche.
• Intelligent packaging per la visualizzazione e l’immagazzinamento dati.
- È in commercio un inchiostro basato su DNA che permette di misurare le variazioni, per esempio, nel vino (7).
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