L’imballaggio flessibile da converter
Dati e fatti sulla categoria di packaging più “giovane” esistente sul mercato, che gode di buona salute, salvo qualche piccolo cedimento legato essenzialmente alle prestazioni non brillanti
di qualche settore di impiego. Barbara Iascone
L’imballaggio flessibile è una tipologia di packaging moderna, che ben si sposa con le tendenze di consumo della società contemporanea: comunicativo e facile da personalizzare, offre validi motivi di interesse anche agli uffici marketing delle aziende utilizzatrici.
I poliaccoppiati destinati alla produzione degli imballaggi flessibili sono il frutto della combinazione di cellulosa, plastica, film di alluminio o metallizzazione, a seconda delle caratteristiche del prodotto da confezionare.
La loro presenza sul mercato continua a essere caratterizzata da un trend di crescita positivo, sebbene non raggiunga più i livelli sostenuti del recente passato.
Se analizziamo gli ultimi 10 anni (includendo quindi anche l’inizio della crisi economica globale), abbiamo l’evidenza di una crescita che supera il 15%, sia dal punto di vista produttivo sia sul fronte occupazionale. Quest’ultimo è motivo di giustificato orgoglio per il comparto nazionale: il numero di addetti impiegati è infatti cresciuto anche nei momenti più bui, rappresentando un fiore all’occhiello dell’intero sistema industriale italiano.
Tendenze di mercato
Grazie alla capacità di adattarsi a molteplici utilizzi, gli imballaggi flessibili sono riusciti a consolidarsi in innumerevoli settori, erodendo spazio a diversi materiali, in particolare carta e plastica. Questa loro caratteristica, insieme alla fortissima presenza in ambito food, sono le principali ragioni delle ottime performance.
Altro importante aspetto che ne ha caratterizzato lo sviluppo va cercato nella componente “export” che, in media, rappresenta il 48% della produzione. Il trend positivo dell’export non si riferisce solo all’imballaggio esportato vuoto ma anche a quello pieno.
Significativo, in questo senso, il massiccio ricorso all’imballaggio flessibile per confezionare prodotti di cui l’Italia è un buon esportatore, come caffè, pasta e prodotti da forno, pet food e prodotti ortofrutticoli di IV gamma.
Questo insieme di fattori ha fatto sì che gli imballaggi flessibili mantenessero buone posizioni di mercato anche nei momenti di congiuntura economica negativa.
A livello europeo, la Germania risulta essere il maggior produttore seguita, in alternanza, da Italia, Spagna e Inghilterra.
Secondo una recente analisi sull’area food risulta che, in Europa, circa una confezione su due è rappresentata da imballaggio flessibile.
Sulla base di un report di PCI Films Consulting, nel 2015 il valore del mercato mondiale del packaging flessibile per il food e non food (tabella 1) si aggirava intorno agli 84 miliardi di dollari (+4,5% rispetto all’anno precedente), in percentuale imputabili a Nord America (27%), Asia centrale e orientale (24%), Europa occidentale (17%), Sud est Asiatico e Oceania (17%), resto del mondo (15%).
2016: cosa è successo in Italia
Il numero di aziende operanti sul mercato italiano (78) non varia ormai da molti anni.
La produzione risulta in crescita rispetto all’anno precedente (+2,2% con 373.000 tonnellate), guidata dalla domanda interna, che chiude con un +3% rispetto al 2015. Positivo anche l’andamento delle esportazioni, anche se con un tasso di sviluppo contenuto: il 2016 chiude infatti con un +1%.
Le esportazioni rappresentano comunque una componente importante della produzione, una performance che deriva dall’alta qualità del prodotto offerto e dal servizio garantito ai clienti, sulla base delle loro necessità.
Sempre nel 2016 il fatturato ha raggiunto i 2.091 milioni di euro (+2% sul 2015). Risultano costanti le importazioni e sempre in quantità contenute (tabella 2).
Dal 2010 a oggi, la produzione è stata sostenuta da un tasso di crescita medio annuo pari al 3,5%, mentre il fatturato è di quasi il 4% medio annuo.
Materie prime per la produzione
Secondo le analisi dell’Istituto Italiano Imballaggio riferite alla suddivisione della tipologia di materiali accoppiati, il 73% dei poliaccoppiati flessibili da converter è costituito da poliaccoppiati a prevalenza plastica, il 25% risulta essere a prevalenza carta, mentre il 2% è rappresentato da quelli a prevalenza alluminio.
Continua il progressivo alleggerimento dell’imballaggio flessibile, evidenziato anche dall’esame del trend del mix delle materie prime utilizzate per la produzione di imballaggi flessibili accoppiati.
In termini di tonnellate, nel 2016 le materie prime calano complessivamente dell’1% circa. Scendendo in dettaglio, si riscontrano aumenti nell’impiego di carta e cartoncino (+3%), alluminio (+1%), polietilene e poliestere (rispettivamente +0,6% e +1,4%). In calo i restanti materiali, tra il 6% e il 4% per nylon, polipropilene e altri film plastici.
Settori d’impiego
Il food. Come si evince anche dalla tabella 3, l’area alimentare resta il principale mercato di sbocco degli imballaggi flessibili (92,2%). A influire su questa segmentazione c’è sicuramente la continua e costante crescita degli alimenti pronti all’uso, prodotti della IV e V gamma in primis, ma anche piatti pronti e prodotti surgelati.
Più in dettaglio, l’area dei prodotti da forno e della pasta assorbe il 23,5%; il 18,3% è impiegato per il confezionamento dei prodotti ortofrutticoli di IV e V gamma, mentre il 15,7% per quello dei formaggi.
A seguire, carni trasformate e salumi (7%) in progressiva crescita sia quelli provenienti dall’industria che i prodotti confezionati presso la GDO; surgelati (6,1%); caffè (4%); pet food (4,6%).
Proprio in relazione al pet food, di cui ricordiamo la crescita costante, l’imballaggio flessibile sta ormai erodendo spazio un po’ a tutti i materiali, nel confezionamento sia di prodotti secchi sia umidi.
Nella voce “altri alimenti”, con uno share del 13%, rientrano le salse, piatti pronti, gli ittici, caramelle e confetteria in generale, baby food, yogurt, spezie, olive destinate al consumo, miele, derivati del pomodoro, carni fresche bevande, condimenti, spezie, ecc.
Non food. In questo ambito, il settore della detergenza domestica evidenzia una quota del 4%. L’area si distingue per due fenomeni contingenti: la tendenza consolidata a sostituire l’astuccio in cartoncino con il sacchetto in poliaccoppiato flessibile (per contenere, ad esempio, le pastiglie per lavastoviglie) e l’orientamento del consumatore ad acquistare sempre più spesso le cosiddette “ricariche”.
Analogo atteggiamento sta influenzando anche il settore della detergenza per la persona, dove i saponi liquidi sono sempre più spesso proposti in formato ricarica.
Se guardiamo poi al settore cosmetico delle creme, l’imballaggio flessibile sta erodendo spazio ad altri packaging, perché sono sempre di più le marche che propongono confezioni monodose realizzate appunto con poliaccoppiati.
In complesso, i comparti farmaceutico e cosmesi-profumeria assorbono una quota pari al 3,8%.
Barbara Iascone
Istituto Italiano Imballaggio