Caselli: “Ortofrutta a rischio export, riduzione dei consumi e spreco alimentare senza packaging in plastica”
La presidente di Areflh: “Ritengo ci siano gli estremi per un’impugnazione delle restrizioni all’imballaggio ortofrutticolo, in varie sedi”
Presidente di Areflh, l’associazione che riunisce le Regioni europee produttrici di ortofrutta e le maggiori organizzazioni di produttori del settore rappresentanti circa il 50% dell’ortofrutta europea, Simona Caselli ha un quadro molto ampio dell’impatto del PPWR sulle produzioni di ortofrutta e fresh food, con una prospettiva internazionale che permette di delineare rischi e opportunità di una legislazione che presenta alcune ombre per il settore.
«Dopo la conclusione dei Triloghi, l’ortofrutta è tra i settore più colpiti dalle decisioni legate al PPWR» afferma Caselli. «L’impatto è soprattutto sull’export, che rischia di subire danni significativi dovuti alla frammentazione del Mercato Unico, ma anche sullo spreco alimentare e la vita dei prodotti a scaffale. Il focus per il settore è l’allegato 5, da cui il Parlamento aveva opportunamente escluso l’ortofrutta, rimasto invece immutato in ogni fase dell’iter del Consiglio e dei Triloghi, dove si stabilisce il divieto all’imballaggio in plastica, generico, che quindi esclude anche l’utilizzo di quella compostabile, per l’ortofrutta sotto il chilo e mezzo di peso.
Il trasporto presenta problematiche elevate perché cartone e legno non garantiscono la stessa conservabilità, con inevitabili conseguenze per la sicurezza alimentare, la qualità e la conservazione del prodotto. E le possibili deroghe nazionali al divieto non aiutano certo il comparto, perché di fatto generano differenze sostanziali da paese a paese, anche all’interno del Mercato Unico, dove verranno richieste infinite varietà di formati, facendo impazzire le aziende esportatrici. Sappiamo che la plastica è parte di un problema ambientale da gestire, ed è giusto che il Regolamento ne preveda la riduzione, ma avendo sistemi di recupero adeguati per evitarne la dispersione, in ambito ortofrutticolo è una tecnologia che riduce lo spreco alimentare e non presenta attualmente alternative altrettanto efficaci. Dal primo testo, che imponeva perfino di vendere il prodotto solo sfuso entro il chilo e mezzo, sono stati fatti progressi. Non va dimenticato che il packaging non è solo pratico, ma anche indispensabile per conservare il prodotto, per conoscerne l’origine, le modalità di coltivazione, comunicarne le qualità nutrizionali sia in chiave marketing che di informazione al consumatore. Un Qr code limitato alla sola cassetta non è certo la soluzione per informare correttamente il consumatore e l’uso di legno e cartone non è risolutivo, soprattutto per l’ortofrutta che si sposta all’interno del Mercato Unico, dove alcuni packaging in plastica sono imprescindibili per garantire una adeguata qualità del prodotto a destinazione. In alternativa sono state proposte retine di cellulosa o cassette di cartone riutilizzabili: tutte soluzioni che presentano rischi di conservazione, integrità del prodotto e microbiologici evidenti. L’idea di inserire le plastiche compostabili o composite come possibile soluzione era ottima, ma nell’allegato 5 non vengono menzionate, mentre la Commissione si riserva di osservare lo sviluppo tecnologico dei nuovi materiali per valutare l’effettiva sostenibilità. Un tema diverso è il prodotto lavorato, come l’insalata in busta o le verdure precotte, il cui imballaggio non è mai stato in discussione per ovvie ragioni igieniche.
Ha quindi vinto un’impostazione inspiegabilmente punitiva per la sola ortofrutta, più legata a visioni della ENVI che della AGRI, che privilegia la soluzione già adottata qualche anno fa in Francia, Paese che produce in prevalenza per il mercato interno e ha un export di settore percentualmente minore di quello italiano e di altri paesi del Mediterraneo. Peraltro, le conseguenze della legge francese dopo tre anni di applicazione sono molto preoccupanti visto che, con imballaggi in cartone che riducono la visibilità del prodotto, i consumi di ortofrutta sono calati di oltre il 20%, con gravi conseguenze, non solo di mercato, ma anche di equilibrio delle diete. Sebbene questo dato sia evidente, non se ne è tenuto conto e in generale è mancata, a mio avviso, la capacità e la volontà di dialogare con le componenti della produzione ortofrutticola ascoltandone le istanze.
Penso che servirebbe riscrivere l’allegato 5, includendo almeno la plastica compostabile e composita, e permettendo deroghe ai divieti per prodotti specifici come, ad esempio, i pomodori pachino, le mele o per un prodotto difficilissimo da gestire come le pere, sulla base di una lista comune europea definita da EFSA in base a criteri scientifici.
L’Italia è tra i leader europei nell’export ortofrutticolo: il fatto che ogni stato membro possa definire deroghe ai divieti di imballaggio in plastica su proprie liste di prodotti è un gravissimo problema, perché lo stesso prodotto potrebbe avere un packaging diverso a seconda del paese di destinazione, cui gli esportatori dovrebbero adattarsi. Una situazione ingestibile e assurda, in palese violazione del principio di unicità del mercato interno UE. Tra i produttori più coinvolti ci sono i paesi del mediterraneo come Italia, Grecia e Spagna e, per il nord Europa, i Belgi e gli Olandesi; questi ultimi, che fanno anche trading, potrebbero trovarsi a ricevere prodotti da paesi extra UE, sballarli e re-imballarli in base al mercato di destinazione finale, con enormi costi aggiuntivi e consumi di materiale.
Infine, ritengo ci siano gli estremi per un’impugnazione delle restrizioni all’imballaggio ortofrutticolo, in varie sedi. Il PPWR è stato infatti proposto come regolamento di mercato, non come regolamento ambientale; in questo secondo caso le deroghe nazionali sarebbero ammissibili, ma sui regolamenti di mercato non sono ammessi interventi nazionali che frammentano il Mercato Unico, uno dei Pilastri dell’Unione.»