Aggiornamenti sul Regolamento packaging
Novità importanti in commissione ambiente del Parlamento Europeo (ENVI) che ha votato una serie di emendamenti al testo del PPWR - Packaging and Packaging Waste Regulation. Al momento di andare in stampa con il fascicolo di Novembre/Dicembre di ItaliaImballaggio, abbiamo chiesto una prima opinione a caldo a Francesca Siciliano Stevens, a capo della segretaria generale di Europen, l’associazione europea che rappresenta la catena del valore dell’industria del confezionamento.
Maria Costanza Candi, Luciana Guidotti
In attesa del voto dell’Assemblea plenaria, previsto a Strasburgo nella settimana parlamentare compresa il 20 e il 23 novembre, quello che emerge dagli emendamenti votati dalla Commissione Ambiente a fine ottobre è la chiara indicazione di una posizione ideologica, che mette in secondo piano le funzionalità degli imballaggi anche in assenza di metodologie di misura dell’impatto ambientale come il Life Cycle Assesment - LCA, che permetterebbero di definire in modo puntuale cosa sia sostenibile e cosa no.
D’altro canto si stanno anche creando condizioni per un sostanziale indebolimento del mercato unico, del commercio e della libera circolazione delle merci. Protagonisti di questa evoluzione sono gli Stati Membri che stanno spingendo per soluzioni vicine allo stato dell’arte nei rispettivi paesi, senza tenere in considerazione la centralità del mercato unico e i vantaggi dell’armonizzazione per gli investimenti.
La geografia delle posizioni
«Il quadro si è delineato a livello di sistemi paese» esordisce Stevens. «Se guardiamo al Consiglio, emerge come alcuni stati spingano per avere più flessibilità, come nel caso di Francia, Germania e Austria, che puntano a elevare i target di riutilizzo e sono in generale contrari allo strumento legislativo del regolamento, perché potrebbe imporre un’armonizzazione a loro avviso eccessiva. Quanto all’Italia, l’attenzione è concentrata sulla centralità dei sistemi di riciclo, in cui il nostro paese eccelle accanto a pochi altri, come ad esempio il Belgio. A parte queste eccezioni, infatti, raccolta differenziata e riciclo funzionano poco e male negli altri paesi europei, redendo complesso il percorso verso l’auspicata economia circolare».
La geografia delle posizioni vede anche assi diversi, come, ad esempio, quello tra Italia e Finlandia, preoccupate per l’impatto che l’opposizione al monouso avrebbe sia sulla filiera della plastica, su cui l’Italia vanta un primato industriale, che su quella della carta di cui il paese scandinavo è tra i produttori leader.
Francia, Germania e Austria sono invece molto concentrate sul riuso a prescindere dagli impatti ambientali e climatici, mentre la Spagna pare non aver ancora definito una sua posizione netta, a dispetto di una filiera agroalimentare che andrebbe in grave crisi se il regolamento passasse con gli orientamenti attuali.
Poco riciclo, molte barriere
Secondo Europen, la mancata implementazione di efficaci politiche di riciclo in tutti i paesi UE si prospetta come un grave errore sia sul piano ambientale che su quello del rafforzamento del mercato unico, e rappresenta un impedimento importante per l’industria, costretta ad assumersi extra costi per adeguarsi alle singole normative nazionali.
«Guardando ai target di riciclo medi, dove l’Italia e pochi altri sono in linea con gli obiettivi - prosegue Stevens - il dato è ancor più preoccupante. La maggiore flessibilità, richiesta in maniera insistente da parte dei governi nazionali in materia di gestione dei rifiuti, va infatti contro l’implementazione dell’economia circolare perché non rafforza gli obblighi di raccolta differenziata, necessari per gli investimenti in infrastrutture di raccolta, separazione e riciclo a livello europeo. Due aspetti essenziali per procedere verso l’auspicata indipendenza strategica dei materiali e il mercato unico armonizzato per i materiali secondari.
Un esempio emblematico è dato dalla plastica: gli obiettivi di contenuto minimo riciclato, che si applicheranno sia al packaging che alle parti in plastica, richiederanno ingenti investimenti in infrastrutture per assicurare i volumi di materiale riciclato necessari a soddisfare gli obblighi di legge o rischiare di aumentare ulteriormente la dipendenza strategica dell’UE in materia di approvvigionamento di materie prime, secondarie e non. Senza parlare della dirimente questione legata al riciclo chimico, in merito al quale la metodologia per definire il contributo in termini di materiale riciclato è oggetto di discussione all’interno della direttiva SUP, dove si prevede vengano definiti i termini sia per il riciclo chimico che meccanico. Si tratta di un tema al centro del secondo decreto attuativo relativo all’obbligo del 30% di riciclato nel PET entro il 2030, che condizionerà a cascata anche la metodologia di calcolo di contenuto riciclato in plastica per gli altri obiettivi definiti nel PPWR».
Proteggere il mercato unico per rafforzare le politiche di sostenibilità
Secondo Europen, lo scopo primario del Regolamento è rappresentato dalla necessità di fornire all’industria strumenti adeguati per governare i processi a livello europeo, in un contesto politico dove l’obiettivo di armonizzazione della Commissione, fissato nel 1994 con la Packaging and Packaging Waste Directive (PPWD) è sotto attacco per mano degli interessi locali dei singoli stati che discutono oggi il PPWR, naturale evoluzione della Direttiva.
«Europen è in costante mobilitazione per opporsi alla tendenza degli Stati Membri nell’imporre vincoli al mercato unico. Riteniamo infatti preoccupante che si perda di vista un obiettivo così importante e chiave di volta per investimenti, innovazione ed economia circolare. Ecco perché riteniamo che l’industria debba essere compatta su questi temi, auspicando e imponendo che la normativa non venga condizionata da interessi nazionali ma sia guidata da un regolamento europeo unico e condiviso che, pur rispettando tempi e specificità, vada nella direzione dell’armonizzazione del mercato».
Al voto!
In Commissione ambiente il voto ha confermato la tendenza a decisioni ideologiche, con emendamenti passati per pochissimi voti in un contesto che conferma quanto delineato da Francesca Stevens.
«Guardando all’articolo 6, alcuni emendamenti approvati sono migliorativi; è stata infatti inserita maggiore chiarezza sulle tempistiche di riciclabilità su larga scala, per prevenire eventuali ritardi della Commissione sui decreti attuativi. Lo scontro si è invece verificato sugli articoli 26 e 22 allegato 5, in riferimento a riutilizzo e divieti dove si è assistito a un acceso dibattito tra l’ala cosiddetta “verde” del Parlamento e quella conservatrice. La cosa allarmante è, ancora una volta, a livello di mercato unico, dove vediamo da una parte segnali negativi con obiettivi target di riutilizzo sempre maggiori, dall’altro l’apertura a variazioni unilaterali da parte degli Stati Membri, che sono così liberi di costruire una barriera tecnica per la libera circolazione dei beni. Pensiamo ad esempio all’obbligo di porre in etichetta l’adesione ai vari consorzi nazionali - analoghi a CONAI -, con evidenti differenze di accesso imposte dai singoli mercati nazionali».
La crescente disomogeneità sembra generare un’ortodossia ambientale che, di fatto, limita il mercato nonostante i tentativi di armonizzarlo con un regolamento specifico, che oggi Stati Membri e gruppi di interesse stanno svilendo con richieste differenziate all’operatore economico. Il tutto a danno della libera circolazione di beni e servizi. Il carattere ideologico di alcune proposte, emerge inoltre da divieti arbitrari imposti contro determinati formati di imballaggi.
«I divieti proposti dalla Commissione europea nell’allegato V sono arbitrari e non giustificati da evidenza scientifica» prosegue Stevens. «Questa tendenza si è acuita durante il voto in Commissione Ambiente quando, ad esempio nell’allegato V, sono stati introdotti ulteriori divieti, per esempio sull’uso del film per proteggere i bagagli in aeroporto o sulle confezioni usate dalle lavanderie, senza che su questi sia stata effettuata alcuna valutazione di impatto. Quanto agli obiettivi di riuso, continua a mancare una vera connessione con le metodologie di valutazione dell’impatto ambientale come l’LCA, che metterebbe in discussione la sostenibilità del modello su diversi mercati e permetterebbe di prevedere esenzioni e compensazioni in caso di comportamenti virtuosi di imprese e Stati. Mancanza di scientificità e spazio agli interessi nazionali, in sintesi, stanno mettendo sempre più a rischio i pilastri del mercato unico e favorendo l’unilateralità».
Proporremo ulteriori approfondimenti sul tema nei prossimi fascicoli della rivista, alla luce delle decisioni prese dall’Assemblea plenaria di novembre.
Il 24 ottobre, la Commissione Ambiente del parlamento Europeo ha adottato una posizione sul cosiddetto Regolamento packaging con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astenuti.
Tra le proposte spiccano:
- il bando alla vendita di borse di plastica di spessore inferiore ai 15 micron salvo alcune eccezioni di natura igienica e per ridurre lo spreco alimentare;
- la riduzione dei rifiuti in plastica includendo packaging e componenti, con un timing che prevede: 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 and 20% entro il 2040;
- l’inserimento di una percentuale di riciclato nelle parti in plastica che compongono il packaging con target previsti tra il 2030 e il 2040;
- la definizione di target e criteri di sostenibilità per le bio-plastiche da parte della Commissione entro il 2025;
- la definizione dei concetti di riuso e refill, incluso un numero minimo di utilizzi e l’imposizione per i settori HORECA e take away di permettere ai consumatori l’uso di contenitori propri;
- il bando ai cosiddetti “forever chemicals” se a contatto con gli alimenti: sostanze perfluoroalchiliche” (PFAS) e Bisfeonolo A;
- l’obiettivo di raccolta differenziata fissato al 90% entro il 2029 in tutta l’Unione Europea;
- -a richiesta alla Commissione di fissare requisiti di riciclabilità più stringenti per gli imballaggi;
- assimilazione ai produttori dei fornitori di servizi online con i relativi obblighi.