Direttiva UE sulla plastica: Tempo di fare chiarezza

Roma, 17 aprile. Convegno a Palazzo Giustiniani sulla Direttiva UE relativa alla plastica monouso. Le preoccupazioni emerse nell'incontro promosso dal movimento Fare Ambiente, che ha riunito le associazioni di categoria, i consorzi, i rappresentanti delle istituzioni e il mondo scientifico: a rischio non solo il comparto dove l’Italia è leader europea ma anche l’indotto, dalle acque minerali alla distribuzione automatica.

Lo stop alla plastica monouso a partire dal 2021 disposto dalla Direttiva UE ha lasciato aperti numerosi dubbi e sollevato non poche preoccupazioni da parte dell’industria italiana di settore, pesantemente penalizzata dalle nuove misure. Come impatteranno queste norme, se dovessero rimanere tali, sul tessuto produttivo del Paese?

La risposta è arrivata durante il convegno del 17 aprile scorso “Direttiva Ue sulla plastica - facciamo chiarezza”, organizzato dal movimento ecologista europeo Fare Ambiente insieme a 7 associazioni di categoria e consorzi tra cui Unionplast (Federazione Italiana Gomma Plastica), Corepla (Consorzio Nazionale per la raccolta e il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), Confida (Associazione Italiana Distribuzione Automatica).

Il messaggio è stato chiaro: con l’entrata in vigore della normativa, rischierebbero la chiusura trenta aziende italiane della filiera della plastica (produttori di piatti, bicchieri, posate, cannucce e mescolatori) che danno impiego complessivamente a 3.000 addetti.

L’allarme, rivolto alle istituzioni e ai politici in sala tra cui il sottosegretario all’Ambiente Vannia Gava, il presidente della commissione Industria Gianni Pietro Girotto, l’europarlamentare Lara Comi e la deputata Maria Stella Gelmini, non ha tralasciato perplessità sulla reale efficacia delle nuove misure Ue.

«La nuova normativa - ha spiegato Vincenzo Pepe, Presidente di Fare Ambiente - non inciderà, se non in minima parte, sul problema ambientale. Infatti il 90% della plastica presente negli oceani proviene da dieci fiumi extra-europei, come dimostrano i dati del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (Unep) mentre i rischi produttivi e occupazionali per le imprese italiane sono alti».

Il movimento ecologista ha puntato il dito anche sulle possibili conseguenze per la sicurezza alimentare: «Si pensi ad esempio a piatti e bicchieri di plastica usati negli ospedali. Vietarne l’uso potrebbe portare rischi per la salute dei consumatori». La tesi è confermata anche dallo studio del prof. David Mc Dowell dell’Università dell’Ulster e presidente in carica del comitato consultivo britannico per la sicurezza alimentare, che ha «provato il collegamento tra il bando dei prodotti monouso in plastica e l’aumento della diffusione di batteri come escherichia coli, campylobacter, listeria, norovirus e altri virus che causano gastroenteriti acute».

Plastica monouso: l’Italia è leader

«I produttori di articoli monouso in plastica sono praticamente tutti italiani e rappresentano comunque solo lo 0,6% della plastica prodotta in Europa» ha ricordato Marco Omboni, Presidente di Pro.Mo Federazione Gomma Plastica. «Bandire la plastica monouso produrrebbe gravi danni imprenditoriali e occupazionali per le nostre imprese. Il problema della dispersione dei prodotti monouso nell’ambiente è un problema di educazione, e la maleducazione non distingue tra un materiale e l’altro. Occorre quindi potenziare il riciclo, in cui l’Italia è virtuosa, nell’ottica dell’economia circolare e dare tempo alle imprese per sperimentare nuovi materiali favorendole con incentivi fiscali».

A rischio anche l’indotto 

Un’errata applicazione della direttiva UE rischia di mettere in crisi altri settori economici, in cui l’Italia è protagonista, dalle acque minerali alla distribuzione automatica. Il primo comparto ha un giro d’affari di 3 miliardi di euro, comprende 246 marche italiane e 126 imbottigliatori che esportano in oltre 100 Paesi del mondo. La distribuzione automatica di cibi e bevande, dove l’acqua è il secondo prodotto più venduto, fattura 3 miliardi di euro con 3.000 aziende di gestione dei distributori che occupano 33.000 dipendenti. «La distribuzione automatica - spiega Massimo Trapletti, Presidente di Confida,  Associazione Italiana Distribuzione Automatica - opera al 97% all’interno di edifici chiusi (aziende, ospedali, scuole e università) dove è attiva la raccolta differenziata della plastica. Quindi la possibilità che la plastica utilizzata nel nostro settore venga dispersa nell’ambiente è inesistente. Inoltre il vending è il primo settore che sperimenta un progetto, chiamato RiVending, di riciclo della plastica di bicchieri e palette del caffè che viene reintrodotta in produzione per produrre nuovi prodotti».

Oceani di plastica: chi inquina?

La normativa europea si applicherà negli Stati membri, ma la plastica che inquina gli oceani proviene in realtà (lo dice uno studio delle Nazioni Unite) da corsi d’acqua situati in Asia, Africa e Sud America. In particolare si tratta dei fiumi Yangtze, Xi e Huanpu in Cina, del Gange in India, dell'Oyono al confine tra Camerun e Nigeria, di Brantas e Solo in Indonesia, del Rio delle Amazzoni, per lo più in Brasile, del Pasig nelle Filippine e dell'Irrawaddy in Birmania.

Un monito al Plastic Free “fai da te”

La campagna “Plastic free” ha spinto numerose amministrazioni locali, anche grazie al favore mediatico, a dar vita e norme che non sempre sono in accordo con quelle europee e che rischiano, a detta degli imprenditori del settore, di creare confusione per i cittadini e gli operatori commerciali.

«Il 47% dei provvedimenti analizzati include erroneamente i bicchieri tra i prodotti monouso in plastica da abolire e ancora il 52% vuole eliminare anche le bottiglie d’acqua quando la Direttiva UE richiede invece nuovi requisiti di fabbricazione» ha notificato l’avvocato Andrea Netti, titolare dello studio ADR, esperto di diritto amministrativo. Tutto ciò rischia di causare una serie infinita di ricorsi che intaseranno la giustizia amministrativa.

Le proposte di “Fare Ambiente”
Il movimento ecologista europeo ha elaborato un manifesto di otto punti per ripensare la normativa.
  1. Analisi dell’impatto economico e sulla sicurezza alimentare della Direttiva in Italia.
  2. No ai decreti! Una tematica così importante necessita del passaggio parlamentare.
  3. Ascolto delle Associazioni d’impresa da parte del Ministero dell’Ambiente e delle Commissioni parlamentari competenti in materia.
  4. Potenziamento e perfezionamento della raccolta differenziata e riciclo nell’ottica di un’economia circolare.
  5. Più impianti e tecnologie per il riciclo.
  6. Meccanismi premiali per l’uso delle materie prime seconde: un credito d’imposta per i prodotti contenenti plastica riciclato.
  7. Campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla raccolta differenziata.
  8. Annullamento delle ordinanze ”plastic free” delle Amministrazioni locali italiane in contrasto con la Direttiva Europea nell’ottica dell’armonizzazione delle normative del nostro Paese.

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