Affanni estivi: il cattivo Rodomonte

In questo mese di agosto ne sono successe di cose che hanno suscitato vive emozioni e inquietudini. Come una volta…
Editoriale di Stefano Lavorini

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Tania Giordano. Collage e bozzetti per la mostra “ I furiosinnamorati”, museo di Arte Contemporanea di Palazzo Riso, Palermo, 2016. 

Come quando Ludovico Ariosto, nel grande poema l’Orlando furioso, si fa straordinario cantore della materia cavalleresca e, sul filo di una straordinaria fantasia, immagina un universo inaudito, ricco di favole meravigliose. Innumerevoli storie che, con tempestività, vengono abbandonate e riprese - non sempre - ordendo la grande tela dell’opera.

Della trama contorta in mille peripezie, delle gesta del paladino Orlando che, per amore della pagana Angelica - amore ovviamente non corrisposto - muove i passi sulla strada della furia e della follia, non vale la pena di tentare un riassunto.
Ma così come il principale personaggio femminile, motore iniziale della vicenda, si fa protagonista inconsapevole di un femminismo, che rivendica il diritto di decidere del proprio destino e di non piegarsi a essere inerme preda delle brame dei contendenti, al pari i baldi e prodi cavalieri erranti, secondo l’epica cavalleresca, corrispondono, guardando ai nostri tempi, a riusciti uomini di successo negli affari, nella vita sociale... nella politica.

Insomma, anche in questa cronaca gli elementi di attualità di certo non difettano...

Va però aggiunto che il lieto fine, che arride alla coppia Ruggiero-Bradamente, non abbraccia la figura dell’unico eroe totalmente negativo della storia, ovvero Rodomonte.
Cavaliere al pari dei migliori paladini per forza, è autore di malefatte di ogni genere: Ariosto lo descrive come un attaccabrighe superbo e arrogante, senza rispetto per alcun valore.
Sfortunato con le donne - Doralice gli preferisce il suo pari grado Mandricardo, e Isabella si fa uccidere da lui, piuttosto che acconsentire a diventarne l’amante - ha la peggio combattendo con il “furioso” Orlando.
Rodomonte, però, riappare nel finale con l’obiettivo di rovinare il lieto epilogo del poema, quando sono ormai imbandite le mense per celebrare le nozze della coppia del destino.
Ma è solo un brivido che rimanda appena il trionfo inevitabile del bene:

«Alle squallide ripe d’Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa».

È una storia d’altri tempi in fondo, ripeto.
Eppure basterebbe un po’ di fantasia, un po’ di orecchio, sostituendo magari i nomi dei protagonisti, per farne venir fuori un caso di attualità.
Con un nuovo epilogo? Chissà?
 

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