CtP: una nuova tecnologia

“Il segreto è nella chimica”, ovvero nella formulazione bicomponente primer+inchiostro che crea sulla lastra (analogica) una maschera opaca su cui riprodurre il lavoro. È l'innovativo processo alla base del CtP della DigiFlex, illustrato nel corso di una vivace open house del rappresentante italiano BeeGraphic.

La sola tecnologia alternativa al laser. Così è stato presentato il CtP inkjet Flexojet 1725 della DigiFlex, destinato al settore delle etichette e del packaging flessibile, durante l'evento che si è svolto dal 22 al 24 maggio presso la scuola di Arti Grafiche San Zeno di Verona. Lo ha organizzato Goliardo Butti, CEO di BeeGraphic e rappresentante della DigiFlex per Italia, San Marino, Vaticano e Canton Ticino, strutturato in 5 sessioni di conferenze e demo live per poter dialogare con agio con gli ospiti (un'ottantina di operatori del Norditalia, e al Sud si replica nei prossimi mesi).
Sotto i riflettori la macchina, ovviamente, e i suoi vantaggi illustrati da Hezy Rotman, CEO della società israeliana, a Verona insieme al referente europeo Gianpaolo Zani e al “super tecnico” Dror Shiler. Caratteristiche salienti: costi e tempi di lavorazione drasticamente ridotti, massima qualità, operatività semplice e immediata, creazione di impianti per tutti i tipi di stampa. E il mercato risponde. In Italia, dove il sistema DigiFlex è stato introdotto da poco, sono già stati venduti due Flexojet 1725, e l'interesse è molto alto.

Economie e qualità. L'enfasi è stata posta sul valore di innovazione della tecnologia DigiFlex. L'azienda, che ha sede nel cuore della “digital valley” israeliana - un fazzoletto di terra dove si trovano Kodak e HP, Avt e Landa... - su questo sviluppo ha investito 3 anni di lavoro e 3 milioni di dollari, scommettendo sui benefici che procura agli utilizzatori. Anzitutto in termini di prezzo - ha sottolineato Rotman - quantificato in “un buon 40% in meno rispetto a un CtP laser”. Ma anche, e più propriamente, di costo generale di gestione, anche grazie al fatto che Flexojet 1725 usa lastre analogiche (di qualsiasi marca), dunque più economiche di quelle digitali, che il suo ciclo produttivo richiede meno tempo e meno inchiostro, e che la macchina occupa il 10% di spazio in meno.
Rotman, e più tardi Shiler, hanno inoltre richiamato l'attenzione sulla facilità d'uso del Flexojet 1725: «Una volta acquisita la manualità, davvero minima, necessaria a posizionare lastra e primer sul tavolo di lavoro, basta schiacciare un bottone, e anche l'impostazione dei parametri dal monitor è semplicissima».
Infine, l'argomento capitale della qualità. Il CtP della DigiFlex è stato lanciato a drupa 2012 ed è già installato in 67 aziende di tutto il mondo con feed back  positivi e documentato. Alla base degli ottimi risultati di stampa, dovuti in buona parte al punto a testa piatta dalla “spalla” (FlatDot) forte e ben strutturata, che garantisce una riproduzione estremamente precisa, supporta meglio le tirature lunghe e ottiene una maggiore uniformità delle ombre e delle luci, con una risoluzione di 2880 x 1440 dpi e lineature fino a 220 lpi.

Questione di chimica. Flexojet è un CtP a getto d'inchiostro: una tecnologia dai molti vantaggi, hanno sottolineato sia Butti sia Rotman, adottata anche nelle applicazioni più innovative: dalla stampa 3D ai circuiti elettronici (e ormai si stampano anche i display) fino alla biomedicina, che rappresentano mercati dalle potenzialità altissime. Secondo stime Smithers Pira, a livello globale lo sviluppo dell'inkjet cresce dai 33,4 miliardi di dollari del 2011 ai 67,3 previsti per il 2017.
Su questa base si innesta l'aspetto più originale del progetto DigiFlex, ovvero l'impiego di un nuovo sistema brevettato primer+inchiostro, che crea direttamente sulla lastra, tramite apposito software, un film su cui si riproduce il lavoro. La reazione chimica tra i due componenti crea una goccia di inchiostro dalla consistenza particolare, che cade sulla lastra senza espandersi, creando punti estremamente precisi; inoltre, inibisce l'azione dell'ossigeno durante l'esposizione UV, generando il flat dot. Più robusto e meno soggetto alle variazioni di pressione (tipiche, ad esempio, nella flexo), il punto piatto riproduce meglio tutti i dettagli di tratto e di colore, riduce il consumo di inchiostro, agevola gli avviamenti e limita l'usura delle forme di stampa.
Con questo sistema, sottolineano in BeeGraphic, si elimina il film negativo, ottenendo una lastra digitale di qualità superiore senza dover investire nell'assai più costosa tecnologia laser. Una volta creata l'immagine, inoltre, lo sviluppo non cambia dando vita, nel complesso, a un ciclo di preparazione, sia in avviamento sia in rifacimento, più breve ed economico (anche in termini di manutenzione), che permette di migliorare il servizio al cliente.
 

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