Impresa: tra responsabilità e sostenibilità
Sviluppare un business più responsabile e sostenibile può avere un ritorno economico. Un contributo per fare chiarezza sulla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), meglio nota con
il termine inglese di Corporate Social Responsibility (CSR) David Gambuli
La Responsabilità Sociale d’Impresa - RSI (in inglese Corporate Social Responsibility - CSR) è un concetto condiviso, anche se ancora manca di una definizione universalmente accettata. Prova ne è che la stessa Commissione Europea l’ha definita una prima volta nel 2002, come “L’integrazione volontaria (da parte delle imprese) degli impatti sociali e ambientali delle attività aziendali, e delle interazioni con i diversi stakeholders”. Per poi, nel 2011, adottare una definizione più semplice e comprensiva: la “Corporate Social Responsibility è la responsabilità delle aziende per i loro impatti sulla società”.
Perché fare CSR?
Secondo la CSR, l’azienda non è più solo un oggetto economico che assorbe forza lavoro e genera capitale, bensì anche un soggetto che opera all’interno di uno o più società civili e ambienti. Di conseguenza, così come si impegna ad accrescere il proprio capitale economico, l’azienda si dovrebbe impegnare a migliorare le proprie performance sociali ed ambientali.
In sintesi la CSR può essere riassunta come:
1. massimizzazione della creazione di shared value per l’impresa e i suoi shareholders da un lato, così come per la società e i suoi stakeholders;
2. identificazione, riduzione, e prevenzione dei propri impatti.
Le ragioni che spingono le aziende ad attuare iniziative di CSR possono essere diverse: per alcune rappresenta un’opportunità per minimizzare i rischi reputazionali, per altre rientra tra i principi alla base dell’impresa, mentre per altre ancora può essere dettata dalla necessità di conformità giuridica. Qualunque sia il caso, è difficile negare che lo sviluppo di attività di questo tipo non sia portatore di riscontri positivi per l’azienda.
A conferma di ciò, tra i diversi studi condotti, ce n’è uno intrapreso nel 2009 da A.T. Kearney sulle aziende dedite alla CSR, e citate nel Dow Jones Sustainable Index o il Goldman Sachs SUSTAIN. Tale analisi ha evidenziato come le prestazioni finanziarie delle aziende considerate superassero quelle dei diretti competitor del 23%, testimoniando come ciò sia possibile anche in tempo di crisi.
Cosa comporta lo sviluppo della CSR?
Al momento non esistono standard che certifichino l’adempienza di pratiche di CSR, e i più concordano sul fatto che debba rimanere un’iniziativa di tipo volontario. Le ragioni sono da ricercare nella diversità di iniziative e approcci che possono essere intrapresi, anche per la soluzione di uno stesso problema, a seconda della comunità coinvolta, del tipo di settore, di cultura aziendale, etc.
Dall’altra permane la difficoltà nello stabilire parametri universali e soddisfacenti che possano indicare un indiscusso raggiungimento di uno o più “livelli di sostenibilità”.
Inutile dire quindi che le possibilità d’approccio alla CSR possono essere molteplici, per esempio prendendo come spunto i dieci principi del UN Global Compact, oppure l’ISO 26000 rilasciata dall’International Organization for Standardization. In particolare quest’ultima, che comprende una serie di linee guida, può essere considerata molto utile, poiché progettata per essere usata proprio a questo scopo da piccole e grandi imprese.
Le linee guida della ISO 26000 sulla CSR suggeriscono di avvicinarsi alla responsabilità sociale affrontando sette core subjects: gestione dell’organizzazione (organisational governance), diritti umani, rapporti e condizioni di lavoro, ambiente, corrette prassi gestionali, tematiche specifiche relative ai consumatori e il coinvolgimento e sviluppo delle comunità.
Ciò nonostante, bisogna ammettere che, iniziare prendendo in considerazione ognuno di questi temi, potrebbe non essere la via più facile.
Spesso e volentieri le aziende hanno già una o più iniziative che possono rientrare all’interno della CSR. In questi casi si può partire dal consolidare e sistematizzare tali pratiche, così come sviluppare una corretta comunicazione (in particolar modo interna). Infatti, mettere per iscritto ciò che è stata fino a quel momento una consuetudine, potrà garantire maggior tutela a tali pratiche, anche in tempi difficili e di crisi, o cambi di management. D’altro canto una comunicazione interna più intensa porta a meglio comprendere queste iniziative, sia a livello aziendale che di partner commerciali, incentivando l’adesione pratica a tali principi.
Una volta intrapresi questi primi passi, sarebbe auspicabile sviluppare indicatori per monitorare - e migliorare - le iniziative intraprese e, solo in una fase successiva, espandere la rosa di progetti svolti.
David Gambuli
Con una laurea triennale in Scienze Biologiche, e una specialistica conseguita in Danimarca in Environmental Management and Sustainability Science, ha svolto diversi tirocinii in vari paesi dell’Unione Europea, nell’ambito della Corporate Social Responsibility, di cui l’ultimo a CSR Europe a Brussels.
Pensare in un’ottica di CSR
Molti penseranno che la CSR si adatti, o sia più facilmente applicabile, ad aziende che producono beni di largo consumo, ma ciò può essere forviante. Infatti, sebbene non sia altrettanto radicata nel settore B2B - come il settore dell’automazione - non scarseggiano i casi in cui aziende intraprendano politiche di CSR per proprio credo o per anticipare trend di mercato, senza necessariamente chiamarla tale o comunicarla.
Prova ne è un documento rilasciato dalla camera di commercio americana nel 2010, il Packaging Machinery: Sustainability and Competitiveness, che dà alcuni consigli per rendere più sostenibile, e quindi competitiva, l’industria dell’automazione americana.
I punti da sviluppare
- Dar vita a una strategia sostenibile relativa alla riduzione dell’impiego di materiali da parte dei propri compratori (inclusi i materiali per l’imballaggio, prodotti accessori, energia, ed acqua).
- Trovare metodi per minimizzare e monitorare il consumo energetico dei prodotti, in vista di probabili future richieste da parte dei compratori.
- Utilizzare una metodica riconosciuta per documentare i consumi dei prodotti (Total Cost of Ownership, Life Cycle Assessment, o Overall Equipment Effectiveness).
- Cercare partner strategici per lo sviluppo del materiale da packaging, prodotti accessori, macchinari, o automazioni.
- Progettare in modo sostenibile: macchine facilmente assemblabili (e.g. contribuendo ad aumentarne il livello di flessibilità, favorendo la manutenzione e sostituzione dei pezzi)
- Riduzione o eliminazione del trasporto di vuoti (ad esempio con la collocazione degli impianti di produzione degli imballaggi vicino o in corrispondenza degli impianti di riempimento)
- Utilizzare forme più efficienti per i contenitori (per esempio, quadrata invece che tonda, per facilitare il trasporto)
- Utilizzare bio-polimeri nei macchinari.
Questi punti da soli possono non risultare particolarmente rivoluzionari in termini di business strategy. Ma riuscire a integrare con successo anche solo alcuni di questi aspetti con iniziative non strettamente legate allo sviluppo dei prodotti ma studiate per accrescere il capitale sociale (tramite azioni rivolte al personale o alla comunità in cui si opera), insieme a una buona strategia di comunicazione sulla CSR, può essere determinante sia per creare una CSR strategy, così come per far guadagnare all’azienda in competitività e capacità d’attrarre nuovi partner commerciali.