Ossessioni

La Plastic Tax occupa ormai le prime pagine dei quotidiani nazionali e la grande filiera dell’imballaggio è in fibrillazione. By Stefano Lavorini

Mala tempora currunt sed peiora parentur

 

We are in bad times but worse ones are to come

D’altronde, come ha avuto modo di far presente anche il presidente di Ucima, Enrico Aureli, intervistato sull’argomento «siamo stati costretti a rispondere a dei titoli di giornale, perché nessuno ci ha convocato per costruire un programma attorno a un tavolo, come era invece avvenuto con Industry 4.0 del ministro Calenda, quando si è tracciato un percorso di cambiamento per il settore produttivo italiano».
E aggiunge altre osservazioni, che possiamo sintetizzare nella volontà dichiarata di innovare il settore e introdurre macchinari in grado di trattare materiali eco-compatibili, in un processo che «deve avvenire non con una tassa, ma con un incentivo». Lapidario ed efficace.

Ma sono giorni, questi, in cui anche “i muti parlano”. Posso testimoniarlo per averli sentiti personalmente:
- brand owner conosciuti per aver sempre mantenuto un profilo basso in termini di comunicazione, che si affrettano a presentare nuovi obiettivi sfidanti in termini di sostenibilità del packaging, convinti ormai che continuare a tacere sia una scelta troppa rischiosa in termini di company reputation;


- produttori di materiali a base cellulosica che avanzano interessanti proposte di nuovi prodotti “più sostenibili” rispetto a quelli di plastica, consapevoli dei plus che sono in grado di offrire, ma anche - forse un po’ meno - di non poter rappresentare in toto la soluzione finale del problema, non foss’altro per la limitata disponibilità, in prospettiva, di risorse naturali derivanti da silvicoltura certificata;

- per non dire poi di rappresentanti politici, smaniosi di cavalcare l’onda green per accaparrarsi consensi popolari e che, senza avere la benché minima idea di cosa stiano dicendo - e, purtroppo, facendo - riescono solo ad agghiacciare e gettare nello sconforto un intero comparto industriale.

L’ho già scritto: la sostenibilità ambientale, economica e sociale è un imperativo severissimo, che non ammette ignoranza e strumentalizzazioni.
Un principio che ho sentito ribadire in questi giorni alla fiera Ecomondo 2019, durante la quale si è svolta, tra l’altro, la VIII edizione degli Stati Generali della Green Economy, dove si è discusso di strategie di lungo termine per contrastare il cambiamento climatico.

L’appuntamento di Rimini è anche stato, come tradizione, un palcoscenico per il sistema Conai - Consorzio Nazionale Imballaggi e l’occasione per presentare nuove soluzioni contro lo spreco.

Ne è un esempio il progetto RiVending che, grazie a un sistema circolare, vuole arrivare in breve tempo a utilizzare solo plastica riciclata per bicchierini e palette (PS) delle vending machine. Ideato da Confida, Corepla e Unionplast, il progetto prevede  entro il 2020 l’installazione di 5mila punti di raccolta posizionati accanto ai distributori automatici, così da convogliare bicchierini e palette usate a una fase di riciclo differenziato.


È stato presentato anche il Report di sostenibilità Conai, da cui emergono risultati molto interessanti conseguiti dal sistema… interessanti tanto più perché contrastano la disinformazione dilagante.

Si dettaglia infatti un beneficio diretto del valore di 995 milioni di euro in un anno:  412 milioni di materia recuperata dal riciclo, 29 milioni di energia prodotta da recupero energetico e 554 milioni di indotto economico generato. Cui si aggiunge un beneficio indiretto pari a 113 milioni di euro annui, ossia il valore economico della CO2 evitata.
E oltre ai benefici economici, si è ovviamente parlato anche di quelli ambientali: a partire dai 3 milioni e 971.000 tonnellate di CO2 non prodotta in un anno grazie al riciclo di acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro.
Un risparmio che equivale a 9.190 tratte aeree Roma-New York, andata e ritorno.

E non voglio tacere del fatto che, forti di una percentuale di imballaggi recuperati pari all’80,6% (10,7 milioni di tonnellate) nel 2018, il sistema consortile e i riciclatori indipendenti hanno praticamente già raggiunto gli obiettivi di riciclo imposti dall’Unione Europea al 2025 e sono a un passo da quelli al 2030.

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Due dati da tenere a mente
Nel 2017, l’immesso al consumo di imballaggi (nota bene: di tutti gli imballaggi) è di 13,3 milioni di tonnellate, pari all’8% del totale dei rifiuti prodotti nell’anno.
I rifiuti da imballaggio rappresentano circa il 26-28% dei rifiuti solidi urbani prodotti in un anno.

In altri termini, l’Italia non ha niente da invidiare a nessun Paese in fatto di economia circolare, ma purtroppo questo non sembra essere un’evidenza condivisa dalla nostra classe di governo.

Speriamo, una volta tanto, di essere smentiti.

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