La vera sfida? Superarsi
“Il presente è il limite indivisibile che separa il passato dall’avvenire” (1). Ne sembra convinto Enrico Folchini, nuovo CEO di Lameplast Group, che sta lavorando per far fare un salto di qualità all’azienda modenese, leader nella preparazione, riempimento e confezionamento di prodotti farmaceutici, dispositivi medici e cosmetici.
(1) Henri Bergson, filosofo
Il nuovo strip monodose Lameplast, presentato nel febbraio 2017 a Pharmapack: maggior spazio per la stampa e l’inserimento di informazioni.
Lameplast Group significa produzione di contenitori di plastica, monodose in strip, flaconi, contagocce (Lameplast), fornitura di macchine per il riempimento monodose (con il marchio Pentafill), ma anche servizio di produzione e riempimento conto terzi, nonché sviluppo e ricerca di prodotti farmaceutici e dispositivi medici (COC Farmaceutici) e, ovviamente, consulenza a tutto campo al servizio dei grandi marchi dell’industria cosmetica e farmaceutica.
Una realtà che, grazie all’intraprendenza e alla visione dei soci fondatori - Giovanni Ferrari, Evro Fabbri e Antonio Fontana - è sempre stata un bell’esempio di lungimiranza imprenditoriale e impegno nel creare valore economico e sociale per il territorio in cui è radicata, e con cui ha saputo condividere prospettive e sviluppi.
La stessa forza di volontà, la stessa fiducia nel futuro, nonché il legame sincero con i dipendenti, ha convinto però i tre soci a cedere, nell’aprile 2016, l’intera quota societaria ad Aksìa Group SGR SpA, società di private equity indipendente, con lo scopo di garantire continuità all’impresa.
Curiosi di capire senso e prospettive dell’operazione, abbiamo incontrato Enrico Folchini - veneto di origine ma ferrarese di adozione, uomo di provata esperienza, da 25 anni nel settore del packaging - chiamato a guidare questo “gioiello”.
Gli uomini del Board, da sinistra a destra: Marco Albasini (direttore operations COC Farmaceutici), Luca Loschi (Direttore Commerciale), Enrico Folchini (CEO), Flavio Lamoure (CFO), Luca Iulli (direttore operations Lameplast e Pentafill), Diego Bulgarelli (Direttore Lf of America).
La vendita del gruppo è stata un’operazione che non ci ha colti del tutto di sorpresa, anche perché si iscrive con coerenza nella biografia dei fondatori. A distanza di un anno, cosa è cambiato?
In premessa voglio sottolineare che Aksìa è un fondo d’investimento italiano, anzi milanese, con tre soci, che opera sul mercato dal ‘97. Questo fondo fa sì mergers & acquisitions, ma, a differenza di molti altri, anche operations, ovvero investimenti per far crescere il valore delle aziende in un periodo di circa cinque-sette anni.
Con questo approccio ha deciso di puntare sull’industria farmaceutica, perché in Italia, nonostante i tassi di crescita ridotti del mercato domestico, operano aziende solide e sane; e Aksìa lo ha fatto acquisendo Lameplast Group, una delle poche, se non l’unica, società full service integrata, che ha conoscenze e competenze che vanno dalla produzione del packaging primario al prodotto finito.
La mia avventura è iniziata il 3 ottobre 2016, dopo aver maturato un’esperienza di 25 anni in varie società multinazionali del settore: più di un decennio in Pelliconi, poi in Helvoet Pharma (ora Datwyler Sealing Solution) e infine, nel gruppo Essentra. Nel corso della mia carriera ho ricoperto diversi ruoli, da project manager a direttore ricerca e sviluppo, ad amministratore delegato executive, con esperienze interessanti a livello mondiale, anche per quanto riguarda l’acquisizione di aziende.
Sono stato scelto da Aksìa perché probabilmente ho le mie idee, una mia visione del business, tant’è che già oggi abbiamo chiarito quali siano i mezzi e le strategie da seguire. In questo senso è assai importante poter contare su una proprietà come Aksìa, con forte propensione all’investimento e alla crescita.
Sviluppo e ricerca di prodotti pharma e dispositivi medici alla COC Farmaceutici.
Una crescita per via interna, ma anche per acquisizioni esterne? Con quali obiettivi?
In quarant’anni di cose ne sono successe, come provano i 45 milioni di fatturato consolidato del gruppo nel 2016; ebbene, nei prossimi sei, sette anni, intendiamo replicare questo percorso. Questo è il mio personale obiettivo: già per l’anno in corso stimiamo una crescita sia in termini di fatturato che di Ebitda...
Non posso entrare nei dettagli, ma l’intenzione è di uscire al di fuori dei confini dell’Europa, puntando a una maggiore internazionalizzazione delle attività.
Ma non solo. Abbiamo definito diversi business model, a partire da quello per il mercato italiano ed europeo, che punta - in continuità con l’operato di Giovanni Ferrari - a riportare il gruppo Lameplast ai livelli di dinamismo di qualche anno fa.
Diverso il discorso che riguarda la presenza di Lameplast negli USA, che impone di portare le produzioni direttamente su quel mercato (ad oggi marginalmente servito dall’Italia), a prescindere dal “fenomeno Trump”.
Fermo restando che Lameplast è riconosciuta per la qualità, per il servizio e per la disponibilità, vogliamo essere sempre più un punto di riferimento per i nostri clienti. E per questo dobbiamo fare più innovazione, proponendo con sistematicità nuove idee e prodotti. Con questo obiettivo in testa, abbiamo articolato meglio l’azienda, creando una funzione “sviluppo prodotto” a sé stante, che riporta direttamente a me.
Produzione di contenitori di plastica e monodose in strip alla Lameplast.
Si tratta quindi di un vero centro di R&D, che non si occupa solo di personalizzazione del prodotto?
Ovviamente ci sono i clienti che esprimono specifiche richieste a cui dobbiamo essere in grado di dare risposte efficaci, ma è un tipo di innovazione che nasce dalla reazione a una sollecitazione. Personalmente ritengo però fondamentale mettere in campo uno sviluppo proattivo del prodotto, offrendo così al mercato soluzioni sempre originali, anticipando i bisogni.
A fine 2016 i monodose rappresentavano il 60% della produzione Lameplast; non a caso siamo leader in Italia, ma per mantenere le quote di mercato oggi dobbiamo assolutamente rinnovare e rinvigorire questo packaging, lavorando sulle caratteristiche dei materiali e su diverse possibilità di utilizzo finale dei contenitori.
Per crescere, quindi, è necessario intercettare e interpretare le esigenze emergenti, ma anche presidiare meglio mercati dove siamo presenti ancora in modo marginale, in Europa e nel mondo.
In concreto, ci sono novità?
A febbraio 2017 abbiamo presentato alla fiera Pharmapack di Parigi un nuovo strip monodose, che offre un maggior spazio per la stampa e l’inserimento di informazioni sul prodotto.
In Europa e negli Usa le normative richiedono, infatti, la presenza di informazioni relative al prodotto su ogni singolo contenitore, in aggiunta a quelle comunemente indicate sulla confezione secondaria e/o sui foglietti illustrativi. È un modo per aumentare la sicurezza del prodotto, rendendolo sempre riconoscibile.
Abbiamo così sviluppato un sistema di chiusura brevettato ad ampia area personalizzabile su entrambi i lati del tappo, in grado di ospitare dati come la composizione, la posologia, la data di scadenza e/o altre indicazioni d’uso, utilizzando stampa tampografica o ink-jet, Datamatrix, QR code, etichette, tasselli in rilievo, scrittura Braille, senza compromettere la praticità e semplicità d’uso del sistema di erogazione monodose e senza il rischio di interferire con il contenuto stesso.
Tra i principali vantaggi, la massima protezione del prodotto, in quanto non ci sono rischi di migrazione di inchiostro o adesivo attraverso la plastica, nonché una riduzione del 20% dell’ingombro rispetto a contenitori aventi pari capacità.
Come detto, credo molto nello sviluppo prodotto, ma la stessa cosa vale anche per COC, ovvero per l’azienda farmaceutica del gruppo: in questo momento abbiamo in cantiere quattro progetti mirati a modificare la forma farmaceutica di alcuni prodotti - da solidi a liquidi, ad esempio - così da estendere possibilità di utilizzo e valorizzare i plus dei nostri contenitori.
Il lavoro è stato avviato a inizio 2017, e contiamo di presentare i primi risultati già a metà del 2018.
Ma non è tutto. Fino ad oggi la costruzione di macchine per il riempimento (leggi Pentafill) è sempre stata considerata al servizio della diffusione del monodose; quest’attività è destinata a crescere di importanza, prova ne è che a breve lanceremo una macchina molto innovativa, che completerà la gamma attuale, pensata nello specifico per il riempimento dei contenitori monodose in ambiente sterile. Sia chiaro, non intendiamo metterci in concorrenza con i big del settore, ma concentrarci su una fascia di mercato che necessita di livelli produttivi medio bassi. In altri termini, vogliamo offrire un’opportunità in più a tutte le aziende di limitate dimensioni, con prodotti ad alto valore aggiunto, anche nel caso non desiderino esternalizzare il riempimento.
Per concretizzare questo “nuovo corso” è cambiato qualcosa in termini di organizzazione? Sono stati fatti interventi sugli organici?
Prima del mio arrivo, Lameplast era un treno che correva forte; la mia sfida è di farlo andare ancora più veloce. Ho quindi deciso che fosse opportuno accentrare alcune funzioni: è il caso delle attività di finanza e controllo che, per Lameplast e COC, erano separate. Interventi non facili, che cambiano le regole del gioco. E per questa ragione ho chiamato a collaborare una persona di fiducia, Flavio Lamoure, con cui ho lavorato in passato, conseguendo bei risultati.
Ho anche creato un board gestionale interno, composto da cinque persone, oltre a me: Marco Albasini (direttore operations COC Farmaceutici), Luca Loschi (direttore commerciale), Flavio Lamoure (direttore finanziario), Luca Iulli (direttore operations Lameplast e Pentafill), Diego Bulgarelli (Direttore Lf of America).
In particolare, a livello commerciale, siamo sempre più focalizzati sul business development, ragion per cui ora abbiamo persone che si occupano dell’attività corrente e altre che hanno il compito di sviluppare le nuove attività. A ognuno il proprio compito.
Ci sono poi due project manager, uno che segue tutte le attività di Lameplast, quindi packaging e macchinari, e l’altro specializzato sull’attività di COC.
Nessuna novità, infine, per quanto riguarda il numero degli addetti. Al personale abbiamo chiesto esplicitamente di collaborare quanto più possibile al cambiamento.
Ci sono peraltro ragioni di efficienza da consolidare, in particolare per quanto riguarda la produzione di packaging, cambiando la cultura del manufacturing. Sia chiaro: intendo aumentare l’efficienza produttiva non per ridurre il personale, ma per essere più competitivi sul mercato e aumentare il business.
Nel complesso, mi sembra che ci siano i presupposti per garantire quella continuità d’impresa che è sempre stato l’obiettivo primario dei fondatori.
Come detto, l’acquisizione del gruppo da parte di Aksìa porta con sé la necessità di una crescita da realizzare nell’ambito di un limite temporale di pochi anni. In quest’ottica, sarò ben felice di dare tutto me stesso, convinto però che le cose da soli non si possano fare; serve una comunione di attività, di conoscenze, di condivisione, di obiettivi perché non è mai uno che fa l’azienda.
Chi ha il “timone in mano” conta nella misura in cui tiene in considerazione le persone che contano.
Deve saper assumere i giusti rischi, tenendo presente che i tempi del mercato sono sempre più veloci: è utopia pensare di fare scelte sicure al 100%.
In realtà se si vuole essere primi e avere un vantaggio rispetto alla concorrenza, bisogna fare in fretta, non solo innovazione di prodotto ma anche di servizio. Sempre più in fretta!