Homo faber fortunae suae (nessuno escluso)

di Stefano Lavorini. “Guai se le sedie non si trasformano in panchine”.

Una bella metafora su cui riflettere perché mette in evidenza come solo le panchine possano essere il luogo dove uno (magari anziano) possa dare consigli a un altro (magari giovane), e viceversa.

L’ho sentita pronunciare, ormai più di un anno fa, dal magnifico rettore della LIUC - Università Cattaneo, Federico Visconti, in occasione di un incontro organizzato da Gipea(1).
E che le modalità di trasmissione delle conoscenze, considerando l’imprescindibile necessità di investire sui giovani, sia tema caro a Visconti non può meravigliare, per il suo ruolo ma anche ben sapendo la perseveranza con cui in tanti anni si è occupato di passaggio generazionale nelle PMI.

Ne ha scritto assai, non ultimo nel libro “Family up! Il giovane imprenditore tra continuità e cambiamento”(2), in cui sono descritte 15 storie di laureati in LIUC che hanno fatto crescere le aziende di famiglia.
Leggiamo a pagina 196: «Le fonti di energia imprenditoriale hanno un comune denominatore: l’ambizione a lasciare il segno. Guardando avanti cosa sosterrà le motivazioni degli imprenditori? […] Per come li conosco, mi giocherei la passione, la dedizione, il coraggio del mestiere. Al fondo, il senso di responsabilità che li anima e le prospettive di lungo periodo a cui guardano. Per dirla con le parole di un amico imprenditore: «Se fai questo mestiere, il tuo lavoro è ricercare le condizioni per crearlo, anche a beneficio degli altri». […] Molti imprenditori sono già proiettati verso “l’ambizione 4.0”. Lo fanno generando progetti più complessi che in passato, sperimentando nuove strade gestionali e, non ultimo, mettendo sul tavolo capitali freschi».

Concordo con quanto scrive il professore, anche perché mi sostengono non pochi riscontri raccolti sul campo.

D’altronde, in Italia - direi nonostante tutto -  è ancora viva la “passione” del fare impresa, che va di pari passo con un modello aziendale proprietario e familiare.

È vero, però, che il mondo sta cambiando e che per rimanere competitivi in un mercato globale, crescere, sia a livello di volumi che di cultura imprenditoriale, sia ormai un imperativo. Come fare questo passo senza snaturarsi?
L’ho chiesto, proprio di recente a un imprenditore, Michal Sobieski, di “soli” trent’anni, a margine dell’intervista che potete leggere su questo numero della rivista a pagina 38. Ebbene, queste le sue parole.

«Probabilmente sono un romantico, considerando la mia età, ma spesso penso con nostalgia al passato, soprattutto per quanto riguarda i valori e la passione che un tempo si mettevano nel fare impresa. Tuttavia occorre comprendere il decorso di una transizione storica inevitabile che - ci piaccia o no - interessa l’intero scenario economico. Anche il mercato del packaging oggi è proiettato in una dimenzione più ampia, che ha portato all’accorpamento dei player, a discapito delle piccole realtà. I clienti sono sempre di più multinazionali, che spesso stentano a riconoscere come fornitori le aziende familiari di piccole o medie dimensioni, anche qualora siano in grado di offrire qualità elevata, servizio e tecnologia a un prezzo competitivo».

E alla mia osservazione che, in definitiva, la scelta si riduce a crescere o vendere, così mi ha risposto: «Esatto. Occorre capirlo in tempo, anzi in anticipo, per non rimanere fuori dai giochi. Nel 2015 avevamo un “gioiello” di azienda (la Cosmografica Albertini, Ndr.), con un’offerta competitiva, un fatturato di quasi dieci milioni di euro e margini elevati, quasi tutti reinvestiti.
Ma abbiamo capito che non potevamo “sederci sugli allori” perché trascorsi pochi anni non ci avrebbero più considerati credibili, a causa della nostra dimensione. Io e mia sorella abbiamo avuto un ruolo determinante nel portare queste riflessioni all’attenzione di mio padre (Emilio Albertini, Ndr.), che le ha condivise e ha deciso di scommettere su un futuro diverso, fidandosi di noi. Di certo, il fattore anagrafico ci ha aiutato a capire, prima di altri, la necessità di questo passaggio».

Concludo, tornando a Visconti che, in un suo articolo dal titolo “Il coraggio di cambiare”(3), principiava ricordando un motto di Sant’Agostino… “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Sdegno per le cose come sono, coraggio per cambiarle”.

Bellissimi figli che, aggiungo io, vorremmo sempre procedessero insieme, a prescindere da censo e professione.

(1) XXXIV Convegno Tecnico GIPEA - 29 Novembre 2017 - Università LIUC Castellanza (VA)

(2) “Family up! Il giovane imprenditore tra continuità e cambiamento”, Valentina Lazzarotti, Federico Visconti. Guerini Next, Milano, 2017

(3) La Prealpina, 28 novembre 2017

 

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