Sostenibilità in Lavazza: un percorso senza soste
La storia di Lavazza, produttore mondiale di caffè e uno dei leader di settore, è permeata da un articolato concetto di sostenibilità, che va oltre la soluzione “semplice” per guardare alla complessità del tema. Riprendiamo il discorso con Francesca Squillace, che fa il punto su normative e modalità di consumo.
Maria Costanza Candi
In un’intervista rilasciata qualche tempo fa a ItaliaImballaggio da Francesca Squillace, packaging e materials director in Lavazza, ci parlava delle prospettive dell’azienda sul fronte R&D, tema su cui torniamo oggi per scoprire lo stato dell’arte alla luce del percorso aziendale e delle recenti evoluzioni normative, prime fra tutti l’approvazione del PPWR con il suo impatto sul packaging in generale e sul monouso in particolare.
«Sulla roadmap del packaging abbiamo definito i sustainable goals - esordisce Squillace - punti importanti per Lavazza che, dopo aver raggiunto il 76% di packaging riciclabile nel 2023, mira a un packaging riciclabile e compostabile al 100% entro il 2025. Un obiettivo che monitoriamo attraverso dei KPI pensati per incidere sulla carbon footprint, con interventi in particolare su packaging design, riduzione della mass ratio, incremento dell’indice di circolarità e miglioramento della riciclabilità. Il percorso è partito nel 2020 con la prospettiva del 2025, anticipando di fatto la legislazione del PPWR, che ha il 2030 come principale orizzonte temporale».
Il valore di regole condivise
Per Lavazza, insomma, i target di riciclabilità, uso di contenuto riciclato e riuso del packaging fissati dalla recente normativa europea erano già realtà con anni di anticipo. «Tra le misure adottate - prosegue Francesca Squillace - abbiamo incluso criteri di eco-design con prospettiva al 2027, lo scouting di nuovi materiali ad alta barriera, soluzioni riciclabili e il revamping delle linee di produzione, su cui ne abbiamo testato l’impatto e la macchinabilità. Per un grande end user come Lavazza, il cui prodotto non può essere correttamente conservato senza elevate qualità di barriera del packaging, il PPWR ha dunque un impatto importante, come sottolinea ancora Squillace».
«Una legislazione comune è un passo necessario per uniformare le politiche dei diversi Paesi, oggi estremamente frammentate e guidate da criteri e logiche totalmente diverse tra loro, che rendono complesso il business e inefficaci le azioni a favore della sostenibilità. Pensiamo anche solo un attimo ai “numeri”: in Italia, la presenza del 50% di carta in un imballaggio, ne definisce il canale di smaltimento, mentre in Germania questa percentuale sale al 95%. Il che dimostra quanto una legislazione condivisa sia essenziale per fornire ai produttori i giusti riferimenti. Se guardiamo al caffè, ad esempio, il packaging a base carta alta barriera è un’opzione difficilmente realizzabile dato che, oggi, è complesso ottenere una struttura a base carta che garantisca la protezione dalla permeabilità di ossigeno e acqua e sia allo stesso tempo facilmente riciclabile su larga scala. Armonizzare è quindi necessario, ma lo è altrettanto, per il legislatore, valutare con i produttori di imballaggio quale sia lo stato dell’arte e la disponibilità di prodotti e materiali che permettano di rispettare effettivamente criteri così stringenti».
Sostenibilità ambientale, ma anche economica e produttiva
Va ricordato che la sostenibilità è un concetto complesso che guarda sì all’ambiente, ma anche a economia e società. Questo impone di applicare criteri che permettano al mercato di procedere in modo dinamico, seppur con attenzione all’ambiente. Nonostante le criticità imposte da maggiori investimenti e cambi di paradigma, è opinione condivisa che una normativa cap«Su linee produttive come le nostre, la richiesta di integrare con percentuali di riciclato crescenti è molto complessa
«Serve quindi lavorare sull’ecodesign, prendendo in considerazione polimeri bio-based, poliolefine con percentuali di riciclato, trovando però un punto di equilibrio ottimale tra la shelf life del prodotto e la sostenibilità, evitando l’overpackaging che conduce a maggiori rifiuti ma anche l’underpackaging, che mette a rischio la sicurezza alimentare, consegnando al consumatore un prodotto alterato».
Nuovi materiali: la frontiera dell’R&D
In questo punto di equilibrio che vede sostenibilità e shelf-life al centro, i materiali giocano un ruolo fondamentale, ed ecco perché Lavazza sta investendo sia in R&D che nella creazione di un network di partner qualificati capaci di spingere la trasformazione verso le migliori soluzioni.
«La ricerca sui nuovi materiali ci ha spinti a superare il concetto di multimateriale che riduce la riciclabilità a causa della disomogeneità delle componenti. La risposta ai limiti del multimateriale è quindi rappresentata dal monomateriale a base di poliolefine e materiale riciclato (in particolare PE o PP), che permettono di raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale. Quanto ai nuovi materiali, sono protagonisti nelle strutture delle confezioni da un kg “alluminio free” e nelle mattonelle commercializzate in Italia e Francia. Tutti test che permettono anche uno sguardo attento alla readiness dell’industria del packaging e delle opzioni legate al packaging flessibile».
Investimenti in processo e produzione
Lo sviluppo di nuovi impianti non è esente dagli obiettivi che Lavazza si è posta. Gli investimenti includono infatti anche la definizione di nuove strategie per la gestione di tutta la filiera, dalla produzione al trasporto, dal materiale per il packaging alla gestione dei rifiuti, temi su cui Francesca Squillace prosegue:
«In generale, abbiamo cercato nuove soluzioni tecnologiche che ci permettessero di definire soluzioni di packaging riciclabile secondo le principali linee guide disponibili, con l’obiettivo di sviluppare confezioni che possano essere riciclate nei principali mercati di vendita.
Per allineare gli obiettivi anche in produzione, infine, 25 milioni di investimento hanno permesso a Lavazza di convertire 7 linee, di cui 3 di capsule, a cui si aggiungono le 12 installate, una delle quali dedicata alle soluzioni in alluminio.
Investimenti ingenti e test ci hanno dimostrato chiaramente che non è possibile realizzare questi progetti da soli ma servono partner, start up e Università che ci permettano di avere nuove strutture e nuovi materiali provenienti da progetti all’avanguardia, mirando allo sviluppo condiviso per proporre a scaffale materiali sostenibili efficaci e innovativi. Un percorso di engagement interno ha coinvolto tutte le aree aziendali e in particolare l’Engineering in uno sforzo congiunto che mira a investire in budget e soluzioni tecnologiche. La sostenibilità ha costi di implementazione consistenti; questo impone strategie di efficientamento in ogni fase per poter essere perseguita e raggiunta. Anche sul fronte organizzativo, i KPI sono dunque essenziali per definire una roadmap condivisa da tutte le funzioni, lavorando sull’intero processo per definire l’impatto sulla gestione aziendale delle nuove linee di packaging».
Un richiamo al consumo consapevole
Le riflessioni conclusive di Francesca Squillace sono legate a una visione pragmatica della sostenibilità che, pur essendo un tema fondamentale per il futuro del pianeta, non può prescindere da considerazioni economiche, gestionali e dalla fattibilità tecnica. Da non dimenticare, in questo senso, il fondamentale tassello rappresentato dalla consapevolezza del consumatore, molto motivato alla ricerca del green ma non sempre disponibile a pagarne il prezzo, il che suggerisce la necessità di un lavoro di awareness, che includa consumatori, legislatore e produttori di materiali.
«Per quanto riguarda la progettazione dell’imballaggio dei prossimi anni vedo la necessità di una legislazione che, per quanto rigida, svolga una funzione di stimolo per tutta la filiera, dal produttore di materiali al consumatore. Su questo serve definire un trade-off tra sostenibilità, shelf life e consumi. Se vogliamo essere sostenibili, infatti, anche il consumatore deve accettare shelf life inferiori, dove 12 mesi possono diventare 8.
Per non dimenticare le esigenze di distribuzione, spesso su scala mondiale, che impongono tempi e metodi di conservazione non sempre compatibili con il packaging green attualmente disponibile. Va ricordato infatti, che non è possibile aspettarsi shelf life di 24 mesi da molti materiali sostenibili, riciclati o riciclabili. Ecco perché serve lavorare sull’awareness, per arrivare alla sensibilità che ci spinge ad accettare una minore tenuta dei sacchetti della spesa in biopolimero a fronte del suo minor impatto ambientale. Un compromesso che riduce la resistenza dello shopper ma ne accresce il contenuto etico ed ecologico».