L’imballaggio che non c’è

Image credits: René Magritte, La corde sensible”, 1960


Racconto semiserio di un impossibile futuro.

di Stefano Lavorini

Non ci crederete (… e fate bene!) ma un gruppo di ricercatori ha pubblicato sul “Technological FakeNews Journal” la scoperta di un nuovo materiale che permette di realizzare il packaging perfetto, buono per qualsiasi prodotto e applicazione.

Non è a base cellulosa, né prodotto con polimeri proveniente da fonti fossili, è riciclabile, biodegradabile, compostabile ed è perfettamente macchinabile sugli impianti in uso.

Qualcuno già lo descrive come “fatto della materia dei sogni”.

Finalmente, grazie agli ingenti fondi messi a disposizione da tutti gli attori della filiera (equivalenti a quelli destinati alla ricerca del vaccino anti covid), sembra sia stata trovata una soluzione che mette tutti d’accordo: produttori di materiali e macchine, brand owner, consorzi, raccoglitori e selezionatori di RSU.

Si sostiene, infatti, che il nuovo packaging si dissolva - letteralmente - una volta svuotato del contenuto, direttamente nella pattumiera di casa in poche ore, grazie anche agli studi sui fenomeni caotici e apparentemente casuali, di cui abbiamo avuto notizia di recente.

Con tutta probabilità, qualcuno resterà senza lavoro, ma è il prezzo inevitabile da pagare a un’innovazione epocale che cancella per sempre il problema dei rifiuti da imballaggio, restituendo a questo mezzo il suo primario e indispensabile compito di garantire la protezione e la distribuzione delle merci, e quindi il loro consumo differito nel tempo e nello spazio, nonché per trasferire le informazioni relative al prodotto e alle sue modalità d’uso...

La sostenibilità, tema il cui valore è ormai pienamente assunto dagli addetti ai lavori e dai consumatori, è assicurata, ma cosa ancor più importante l’imballaggio, di per sé pervasivo, smetterà di essere “emblema del nostro modello di consumo…” come peraltro recita puntualmente la Carta Etica del Packaging (1).

In questo modo, ci saremmo liberati da un incubo, chiudendo per sempre la bocca a quei (pochi) grilli parlanti, a quei profeti che sostengono la necessità di trovare una soluzione al problema della sostenibilità del packaging e del prodotto, mettendolo in relazione ai modelli di consumo.

Forse d’ora in poi nessuno più si azzarderà a ragionare dell’importanza strategica, oltre che etica, della sostenibilità, dei risultati ottenuti e degli obiettivi ancora da raggiungere, guardando criticamente al nostro modello di vita come la chiave per iscrivere questo problema nell’alveo di una reale economia circolare, capace di assicurare un futuro all’umanità.

Parimenti, grazie all’incredibile scoperta del nuovo materiale “fatto di sogni”, potremmo andare oltre un approccio non solo complesso ma anche scomodo, per il quale «senza una rinuncia “all’avere” non si rifondano le ragioni di un’umanità più ampia, non si ricostruisce l’immagine dell’uomo su basi diverse dall’egoismo, la lotta selvaggia per l’affermazione di sé e dei suoi appetiti (2)».

Siamo dunque finalmente tranquilli?

Beh, ci sarebbe ancora da risolvere il problema delle emissioni di CO2, imputabili per tre quarti alla produzione di energia… ma questo è un altro tema.


(1) fondazionecartaeticapackaging.org
(2) Renato Barilli, “Dal Boccaccio al Verga”, 2003 R.C.S. Spa Milano

 

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