Ciò che neghi, ti vince

L'editoriale di Stefano Lavorini.

Fa sempre più caldo in questi primi giorni d’estate, e si teme che l’anno in corso ci riservi fenomeni che costringeranno ad aggiornare i dati del Programma europeo di osservazione della terra Copernicus, secondo i quali il 2022 è stato l'anno con l'estate più calda e, in generale, il secondo anno più caldo di tutti i tempi. Con tanto di corollario, per cui tale anomalia, in base alla maggior parte delle prove scientifiche a disposizione, è dovuta all'aumento delle emissioni di gas serra (GHG) prodotte dalle attività umane.

Negare i fatti e le responsabilità è una pessima scelta. Non è proprio questo il modo per risolvere i problemi, in quanto la negazione ci priva della capacità di apprendere dalla realtà e di sviluppare le risorse necessarie per affrontare l’ambiente in modo adattivo.

Venendo al nostro piccolo mondo antico, non so quanti possano ancora giudicare con superficialità il cambiamento climatico in atto, che solo per frequenza dei fenomeni e devastazioni provocate non è stato ancora rubricato nella categoria dei “fatti normali”.

All’uomo è ormai riconosciuto (ahimè) il fatto di non avere memoria e di non imparare mai, ma proprio mai, dalla storia, come dimostra il conflitto Russia- Ucraina in atto da oltre 500 giorni.

Questo fa sì che si realizzino una serie di grottesche combinazioni, destinate a spingere gli individui, ma anche le organizzazioni, in direzione di un progressivo smarrimento, che non di rado sfocia in frustrazione.

Nonostante la quota UE di emissioni di gas a effetto serra sia scesa dal 15,2% del 1990 al 7,3% del 2019 - in controtendenza rispetto ad altri paesi come Cina, Stati Uniti e India - è nutrito l’elenco di iniziative dell’Unione Europea, i cui risultati sono esplicitamente riconosciuti come fallimentari.

Propongo alcuni spunti di riflessione ripresi dal sito del Parlamento europeo: “Mentre l'industria europea si affanna per riprendersi dalla crisi provocata dalla pandemia di COVID-19 e dall'impatto della guerra in Ucraina, l'UE sta cercando di rispettare gli impegni prefissati sul clima, senza però causare perdite di posti di lavoro o innescare delocalizzazioni. Circa il 27% delle emissioni globali di CO2 dovute alla combustione di carburanti proviene (però, Ndr.) da beni commercializzati a livello internazionale. Le emissioni causate dalle importazioni nell'UE sono aumentate, vanificando gli sforzi profusi in materia di clima”.

In altri termini, sembra che si stia cercando di svuotare il mare con un secchiello, cosa che però non autorizza nessuno alla rassegnazione e all’ignavia, imponendo piuttosto un cambio di prospettive e un approccio più ragionato e globale.

Sempre secondo il sito ufficiale del Parlamento europeo: “Per quanto riguarda i singoli stati membri dell’UE, i cinque paesi che hanno prodotto più emissioni di gas serra nel 2019 sono Germania, Francia, Italia, Polonia e Spagna. Sempre secondo i dati relativi al 2019, il settore energetico è stato responsabile per il 77,1% del totale delle emissioni, seguito dal settore agricolo (10,55%), dall’industria (9,10%) e dal settore dei rifiuti (3,32%)”. A questo aggiungerei che già nel 2019 le emissioni di gas serra in Italia erano paragonabili a quelle del Pakistan, inferiori a quelle della Turchia e del Sud Africa, nonché la metà di quelle dell’Iran (e questo ancora nel 2019… secondo la relazione del Centro comune di ricerca, JRC ).

È evidente che, a dispetto dei dati disponibili, si preferisca di sovente mettere le mani su quei comparti che godono di maggiore visibilità presso i cittadini, come quello dell’imballaggio.

Arriviamo così a novembre 2022 e al comunicato stampa “Green Deal europeo: mettere fine allo spreco di imballaggi, promuovere il riutilizzo e il riciclaggio”, in cui si chiariscono gli obiettivi del PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation) e di cui l’industria di settore non fa altro che parlare da mesi, allarmata dall’approccio ideologico e tutt’altro che scientifico voluto in particolar modo da Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo.

Forse bisogna rinfrescarsi le idee e ricominciare tutto da capo, mettendo al centro l’importanza della ricerca scientifica con l’obiettivo di comprendere appieno il climate change e costruire così una società civile più responsabile e giusta.

Ma purtroppo, per questo non basta un buon tè freddo… fatto in casa, naturalmente!

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