Caso o destino?

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Editoriale di Stefano Lavorini

Ci sono esperienze che ci toccano e che ci portano a pensare, magari in modo confuso, se quanto accade intorno sia frutto del caso o del destino; a domandarci se un avvenimento semplicemente non abbia una causa definita e identificabile (caso), o se invece sia inevitabile che si realizzi in base a una sequenza fissa e invariabile (destino).

Spesso diamo il nome “caso” a ciò che non sappiamo spiegare, né prevedere, mentre al termine “destino” attribuiamo il potere di realizzare il futuro, in base a un ordine naturale prefissato nell'universo.
«Il destino radica l'essere nell'avvenire, dà senso all'accadere, connette l'esistenza a un disegno e a una persistenza. Essere è avere un destino.»(1)
Liberarsi dal destino d’altronde significa consegnarsi al caso e alla catena di causalità che da esso derivano.
« In fondo è il caso che capita. Ma pure il destino non è scelto; bensì sovrasta, incombe». (2)

Per restare in tema, appare affascinante l’interpretazione della storia di Odisseo fatta da Eugenio Scalfari nel suo libro “Per l’alto mare aperto”, ovvero del mito per eccellenza che rappresenta gli aspetti più profondi della modernità, di quel modo di pensare che è stato ed è autonomia della coscienza e quindi consapevolezza di se stessi.
Infatti, l’eroe, dopo essere tornato ad Itaca e aver consumato la sua vendetta, trascorsa in pace qualche breve stagione, riprende il mare puntando verso le colonne d’Ercole; lì, una volta nel grande oceano, un turbine lo travolge per sempre.
Il senso della storia è nella risposta al perché Odisseo riparte dopo che per tanti anni non ha avuto altro pensiero che quello di ritornare.
Riparte perché quello è il suo destino? Ma se si scoprisse che il destino non esiste, a dispetto del fatto che non c’è tempesta, non c’è approdo, non c’è battaglia, non c’è incontro che non siano stati scritti nel destino di Odisseo…
Forse, «Il mondo, le specie  che lo abitano, gli uomini e la natura, tutto è frutto del caso. E il caso, come tu sai, è il contrario del destino. Ma quando raccontiamo una storia noi non possiamo fare a meno di cercarle uno scopo. La freccia deve avere un bersaglio: così è costruita la nostra mente ed essa ci conduce. Perciò ci inventiamo il destino. Esso ci solleva, dà un senso al nostro vivere...
E non vedi che ciò che tu chiami destino è soltanto superbia, un tentativo di consolazione per alleviare la disperazione del dover morire? Se qualcuno ha stabilito per te un destino, il tuo transitare nell’esistenza era scritto, aveva un fine e non è avvenuto invano… Ma devi rassegnarti amico: sei vissuto per caso, il tuo arrivo nell’esistente non ha avuto alcuna importanza; non lascerai traccia alcuna e finirai come qualsiasi altra cosa finisce, sotto la rovina del tempo…».
Per questo «Arrivato al termine del suo percorso, l’uomo che ha conosciuto la sapienza e acquisito la saggezza, di una sola cosa è consapevole: che il tempo è passato».
Come ha scritto Andrea Zanzotto nella poesia “Sì, ancora la neve”:
“Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino…”

(1) Marcello Veneziani
(2) Paolo Masini

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