PPWR: atto finale? La parola a Patrizia Toia
Al termine di un iter che ha visto impegnati il Parlamento Europeo, le commissioni Industria e Ambiente, il Consiglio, la fase di Trilogo tra queste due istituzioni europee, la Commissione e infine nuovamente il Parlamento, il nuovo Regolamento Packaging è stato votato in via definitiva alla fine di aprile 2024. Il percorso si lascia alle spalle un dibattito acceso - sviluppato attorno all’impianto del regolamento - alcune importanti eredità tra obblighi e deroghe, nonché un rinnovato allineamento tra parti sociali, componenti economiche e distretti industriali.
Maria Costanza Candi
Per fare il punto e rispondere ai dubbi circa le modifiche di ultima istanza avvenute nel corso del voto finale sul PPWR al Parlamento Europeo, ItaliaImballaggio ha incontrato una delle protagoniste del confronto politico, l’europarlamentare PD Patrizia Toia, che ha ricostruito l’iter del provvedimento mettendo in evidenza i nodi che hanno permesso di arrivare a una sintesi, capace di guardare a una crescita economica più sostenibile e dove il packaging è in prima linea.
Il voto ha confermato in toto il quadro precedente o ci sono variazioni da sottolineare?
«Se per quadro precedente intendiamo la proposta della Commissione Europea, il voto ha significativamente cambiato il quadro finale» conferma l’europarlamentare. «È stato un processo dove, ad ogni fase, abbiamo fatto un passo avanti, approvando un testo più adatto alle filiere italiane, che sono un’eccellenza industriale e green. Non vogliamo certo difendere l’indifendibile, tengo a sottolinearlo, piuttosto proteggere ciò che di molto positivo c’è nel nostro sistema. Sarebbe infatti insensato danneggiare con un provvedimento dall’alto le straordinarie performance di riciclo del nostro Paese. Tengo a sottolineare che abbiamo sempre condiviso gli obiettivi generali e lo strumento del Regolamento in luogo della Direttiva, l’unico che garantiva in qualche modo il rispetto dell’uniformità del mercato unico, permettendo così a paesi esportatori come l’Italia di operare sui vari mercati basandosi su regole condivise. Il Regolamento fa parte della più ampia strategia del Green Deal, che punta a ridurre il volume dei rifiuti il cui incremento tendenziale è un problema sempre più grave».
Quali sono i punti più controversi della misura?
«Il tema è sempre stato come definire dei target di riduzione. Tra le misure è quindi entrata la percentuale di riciclato, positivo per l’economia circolare perché trasforma il rifiuto in risorsa. Su questo punto abbiamo lavorato per attribuire il tema alla Commissione Industria, mitigando almeno in parte il ruolo della Commissione Ambiente (ENVI) con cui abbiamo lavorato per ottenere competenze condivise, dando così spazio al parere delle filiere che, per quanto non vincolante, era indispensabile ad orientare le scelte politiche. La competenza condivisa si è espressa in particolare sugli articoli 22 e 26, due assi portanti del provvedimento. Una strategia che ha dato la possibilità alla Commissione Industria, attraverso la mia presenza, di assistere al Trilogo da protagonista e in posizione quasi paritaria con ENVI».
Ci può dire di più degli articoli 22 e 26 del PPWR, definiti strategici per la filiera industriale italiana?
«La Commissione industria si è anzitutto impegnata a riscrivere i due articoli, per dare una soluzione che fosse veramente sostenibile ma anche utile al nostro sistema industriale e alla filiera dello smaltimento e riciclo. L’articolo 26 in particolare introduceva obblighi di riuso in varie percentuali per singoli materiali, tipologia di imballaggio o finalità di uso, mescolando quindi carta, cartone, plastica e allontanandosi dalla nostra impostazione, che vede il processo diviso in due: prima l’imballaggio e la sua funzione e poi giunto a fine vita, il percorso di avvio alla filiera del riciclo o del rifiuto. Se questo doppio binario non fosse stato rispettato, la filiera italiana sarebbe stata danneggiata con un impatto distorsivo anche per l’ambiente. L’Italia, che ricicla fino all’85% avrebbe visto fermare per legge il percorso industriale del riciclo, al solo scopo di imporre il riuso. Per evitare di smantellare un’esperienza di successo abbiamo quindi spinto perché seppur in un framework virtuoso, ai paesi venisse data la facoltà di decidere se puntare su obiettivi più alti. Ecco, quindi, una maggiore elasticità rispetto agli obblighi di riuso fino alla loro sospensione, a certe condizioni. Rispetto all’articolo 22 (il cui impatto era maggiore su sfuso e monouso, ndr), siamo intervenuti con decisione su diverse voci tra cui l’imballaggio sotto il chilo e mezzo che sarebbe stato un problema per i nostri produttori di ortofrutta e per il machinery, filiere esportatrici di successo nel mondo. Va considerato inoltre che l’impianto dell’articolo sarebbe ricaduto a cascata su alimentare, cosmetico, accoglienza e ristorazione. Abbiamo quindi scelto con decisione una strada che ci ha permesso di governare anche questo aspetto, lasciando qualche divieto che riteniamo nel complesso marginale come i monouso in alberghi e quelli in plastica in mense e fast food».
Gli imballaggi per il riuso sono in genere più pesanti, sviluppano maggiori emissioni in ogni fase del loro ciclo di vita e sono difficili da riciclare a fine vita; non sono quindi necessariamente più sostenibili. Servono dati e metodologie certe per determinarne la carbon footprint, un tema che nella discussione è spesso emerso. Che ne pensa?
«La nostra impostazione ha mirato a mitigare l’impatto dei divieti e degli obblighi, con uno sguardo di attenzione in più per horeca e fast food, dimostrando, dati alla mano che quello che è apparentemente più sostenibile, se misurato in maniera corretta, può esserlo meno di un monouso. Al pluriuso corrisponde spesso maggiore consumo di risorse, acqua, energia ed emissioni di CO2 di quanto non accada con un monouso correttamente separato, conferito e riciclato. Ecco perché abbiamo spinto per il concetto di materiale prevalente. La confezione non è un capriccio ma una necessità per mantenere turgore, freschezza, evitare il rischio di spreco e garantire la sicurezza alimentare».
La linea dell'“ortodossia green” continuerà a prevalere o ci sarà un ritorno di attenzione sul mercato interno e sull’armonizzazione?
«C'è piena sensibilità sul fatto che il Mercato Unico sia un pilastro per l’Europa ed ecco perché ci siamo vincolati a mantenere questo approccio comune. Agli Stati viene infatti impedito di mettere mano al testo, ma in un quadro comune si lasciano eventuali margini di flessibilità. Questo va a vantaggio degli operatori che potranno operare su tutto il mercato unico. L’obiettivo politico rimane il Mercato Unico e la sua centralità. Nell’impostazione del lavoro parlamentare erano state riconosciute alla Commissione industria competenze condivise solo laddove si parlava di imballaggi innovativi e di deroghe per le piccole e medie imprese. Stiamo parlando di una definizione e di due o tre paragrafi: io ho imbastito una vera e propria battaglia regolamentare e politica che ci ha permesso di acquisire competenze sull’intero articolo 22, in particolare con riferimento ai divieti e sull’intero articolo 26 con riferimento al riuso, in aggiunta ai materiali e agli imballaggi innovativi con relative deroghe. Questo approccio politico ha cambiato completamente il contesto e favorito un riequilibrio politico dei rapporti».
Grazie al PPWR abbiamo assistito a un'azione unitaria senza precedenti con industriali, sindacati, GDO e gruppi di interesse, compatti in una posizione di difesa delle eccellenze tecnologiche e produttive italiane. Pensa che questo possa aprire a un nuovo scenario politico sotto il segno della crescita economica e dell'innovazione?
«Leggo il nuovo “asse” Confindustria, Legacoop e sindacati come l’esigenza assoluta di avere una politica industriale europea e continentale capace di calarsi poi nei diversi Paesi con le dovute sfaccettature. Il PPWR è stata una bella occasione per guardare al valore delle nostre filiere e dei collegamenti intersettoriali tra eccellenze, capaci di dimostrare che dietro a ogni provvedimento ambientale c'è una politica industriale da definire e promuovere perché i due temi non sono disgiunti come si vorrebbe far credere. Dobbiamo raggiungere l’obiettivo ambientale, ma serve farlo valorizzando il sistema produttivo e conciliando le esigenze di settori che si parlano. Questo provvedimento ci può insegnare molto su come si debba realizzare una politica complessiva, che includa i principali attori uniti attorno a un obiettivo comune: favorire una crescita economica dove la sostenibilità sia al centro».
PPWR in sintesi
Articolo 22 - Formati vietati e imballaggio composito
I divieti applicati ai soli imballaggi in plastica monouso per:
- confezioni multiple di bevande al punto vendita (confezione da 6, per esempio, di acqua e latte);
- imballaggio frutta e verdura sotto 1,5 kg;
- consumo di bevande e alimenti se avviene in loco e nel settore HORECA;
- condimenti, salse e conserve nel settore HORECA;
- prodotti di cosmetica e igiene negli alberghi (tutti i tipi di imballaggio monouso di qualunque materiale);
- buste ultraleggere salvo se necessarie per ragioni di igiene o per cibo sfuso.
I divieti non varranno se:
- a plastica è compostabile
- può essere correttamente raccolta e smaltita con i rifiuti organici (come avviene nella filiera italiana).
Il divieto per frutta e verdura non vale:
- per frutta e verdure trasformate;
- nei casi in cui, per decisione dello Stato membro, l’imballaggio sia considerato necessario per evitare perdite di acqua, di turgore, shock fisici, ossidazione, etc.
Altri divieti
Aggiunti alla Direttiva plastica monouso attraverso una modifica mirata per:
- film in plastica per imballare le valigie negli aeroporti;
- piccoli pezzi in polistirene usati per proteggere certi prodotti durante il trasporto.
Si introduce la definizione di imballaggio composito
- se costituito dal 95% e più di carta (e.g.) viene considerato carta ai fini del Regolamento ed è quindi escluso dai divieti.
Ogni revisione dei divieti deve essere concordata da Parlamento e Consiglio e non dalla Commissione via legislazione secondaria.
Articolo 26 - Obblighi di riuso
Tutti gli imballaggi per il trasporto sono soggetti a certi obblighi di riuso al 2030 (obbligatori) e al 2040 (indicativi).
Da questi obblighi sono esclusi:
- il cartone;
- il trasporto di beni pericolosi;
- i grandi macchinari;
- gli imballaggi flessibili a contatto con gli alimenti
Gli obblighi di riuso per cibo e bevande da asporto sono stati rimossi e sostituiti da due clausole:
- che l’esercente accetti di fornire cibo e bevande nel contenitore eventualmente portato dal consumatore;
- che l’esercente offra al consumatore l’opzione di fornire cibo e bevande in contenitori riutilizzabili e che, attraverso questa offerta, ambisca a fornire il 10% di contenitori riutilizzabili entro il 2030.
Gli obblighi di riuso per i contenitori per bevande pre-imbottigliate sono stati concordati per il 2030 (obbligatori) e il 2040 (indicativi) con le seguenti esclusioni:
- bevande altamente deperibili;
- latte e i suoi derivati;
- vini;
- vini aromatizzati;
- altre bevande alcoliche.
Introduzione di una nuova deroga orizzontale sull’intero articolo 26.
Gli Stati membri possono derogare agli obblighi di riuso se:
- raggiungono e superano del 5% gli obiettivi di riciclo di un materiale da imballaggio al 2025;
- si prevede che raggiungano e superino del 5% gli obiettivi di riciclo di un materiale da imballaggio al 2030;
- sono in procinto di raggiungere gli obiettivi di prevenzione dei rifiuti e possono dimostrare la riduzione del 3% nel periodo 2018-2028;
- l’operatore economico ha stilato un piano che contribuisca al raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e riciclo dei rifiuti;
Ulteriori deroghe previste:
- per le microimprese;
- per gli operatori con superficie di vendita inferiore a 100 mq;
- per gli operatori che immettono sul mercato di uno Stato membro meno di 1000 kg di imballaggi per anno.
Fonte: A cura dello staff parlamentare dell’On Patrizia Toia.