Impariamo ad avere speranza
L'editoriale di Stefano Lavorini
Mentre guardiamo con preoccupata angoscia a quanto sta accadendo in Europa, nell’altro emisfero è avvenuto, in sordina, un evento di rilievo: l’11 marzo 2022, Gabriel Boric (36 anni) ha giurato quale presidente della Repubblica del Cile, un Paese che così sembra finalmente uscire da un torpore lungo decenni, andando oltre le paura, prima del golpe e poi degli esperimenti economici dei Chicago Boys.
Era, infatti, l’11 settembre 1973, quando Salvador Allende, nel suo ultimo discorso via radio dal palazzo presidenziale assediato, disse:
«La storia è nostra e la fanno i popoli. […] Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi. […] Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore».
Un’eco del passato che ci parla dei crimini che abbiamo oggi sotto gli occhi, dell’angoscia a cui non sappiamo dare ristoro, ma anche della possibilità di riscatto che è negli accadimenti della Storia.
Viviamo un momento drammatico e sono convinto che, di fronte all’orrore della guerra, prima di parlare sull’onda delle emozioni, sia bene riflettere più di quello che siamo soliti fare.
In questo senso, mi ha colpito quanto scrive il teologo Vito Mancuso, per il quale l’invasione dell’Ucraina interroga la nostra coscienza morale, ci mette di fronte a un problema di etica, ovvero al dilemma di dover scegliere tra la vita - ovvero la nostra dimensione fisica - e la libertà - la nostra dimensione morale - non essendo possibile in questo momento storico trovare una consonanza tra questi due valori guida.
Nell’articolo “Vale di più la vita o la libertà? La guerra costringe a scegliere“ (1), Mancuso illustra chiaramente due opzioni a questa domanda.
«Vi è chi risponde la vita ed è disposto per questo a sottomettere la sua libertà, piegandosi all’invasore e accettando la sottomissione, pensando magari poi di resistere in modo non violento mediante forme di disobbedienza civile.
Chi agisce così lo fa o perché non potrebbe mai abbracciare un’arma per sopprimere anche solo una singola vita, fosse pure quella di uno spietato mercenario ceceno; o perché, calcolando l’entità delle forze in gioco, pensa che resistere è inutile, anzi aumenta di molto il numero delle vittime.
Vi è invece chi risponde la libertà, ed è disposto per questo a mettere in gioco la vita propria e altrui, contrastando con le armi l’invasore perché avverte il dovere morale di difendere il proprio Paese e i propri cari, e mai accetterebbe di perdere la libertà. Meglio morire, dice, che vivere come schiavo».
Per Mancuso, entrambe le opzioni appaiono legittime e rispettabili, ma questo non gli impedisce di prendere posizione, come è giusto che sia:
«Chi, come me, segue questa seconda via, lo fa perché ritiene che la via diplomatica e la via militare si rafforzino reciprocamente, e soprattutto perché ritiene che per un essere umano non vi sia nulla di più importante del senso di giustizia, di dignità e del desiderio di libertà».
È un problema di coscienza. Ma, aggiungo, anche di coordinate geografiche: Milano non è Kiev e la prospettiva, in questo senso, conta eccome!
Sta di fatto, che tutti abbiamo paura e, terrorizzati, ci chiediamo chi fermerà la carneficina in Ucraina.
La ragione ci dice, nei fatti, che siamo disarmati di fronte all’esercizio mostruoso della forza bruta e non sappiamo come affrontare la minaccia di una guerra nucleare che ci tiene in scacco: probabilmente «scendere a patti col diavolo è comprensibile, e sicuramente è anche giusto» scrive Massimo Giannini (2).
Non possiamo far altro che continuare a sperare di riuscire a governare spavento e sofferenza, e a salvaguardare integri ragione e capacità di giudizio.
Purtroppo, appare evidente che l’Uomo non è ancora uscito dalla caverna.
Homo homini lupus
(1) Vito Mancuso, “Vale di più la vita o la libertà? La guerra costringe a scegliere” quotidiano La Stampa, 11 marzo 2022.
(2) Massimo Giannini, “Il nostro grido di pace non fermerà l’ira di Putin” quotidiano La Stampa, 13 marzo 2022.