Gli imballaggi hanno più lettori dei libri…
e i consumatori hanno diritto di capirli. Editoriale di Stefano Lavorini
«…fare bene quello che in precedenza era stato fatto meno bene e fare per la prima volta quello che prima era stato ignorato», Roberto Calasso, L’impronta dell’editore, Adelphi 2013
Tutto riparte da Interpack, è ovvio e inevitabile come mai.
È questa, infatti, l’occasione giusta per tirare le fila su quanto si è fatto, su quello che verrà in futuro, e non solo da un punto di vista tecnologico.
Momento importante che per noi di ItaliaImballaggio ha significato la presentazione - in nuce - di un nuovo progetto che apre in direzione del mondo dei consumatori e che ci accompagnerà fino a EXPO 2015.
Sono vent'anni che scriviamo di packaging per gli operatori del settore, ma non per questo abbiamo smesso di immaginare un imballaggio migliore… per tutti. E in particolare, per noi consumatori che ogni giorno facciamo le nostre scelte di acquisto, cercando di districarci tra un’offerta quanto mai eterogenea, con nel cuore un sentimento di attesa per prodotti/imballaggi “buoni” per le nostre esigenze, ma anche per la società e l’ambiente intorno.
Per questa ragione abbiamo deciso di farci promotori di una “CARTA ETICA DEL PACKAGING” che, nel rispetto delle esigenze dell’intera filiera dell’imballaggio, dai produttori di materiali agli utilizzatori alla grande distribuzione, possa essere strumento di aiuto a un consumatore sempre più informato e consapevole, attento a innovazione, servizio e ambiente.
Un progetto di ampio respiro che coinvolge il Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, nelle persone dei professori Giovanni Baule e Valeria Bucchetti, a cui abbiamo affidato l’incarico di redigere la “Carta”, ma a cui sono invitati a partecipare attivamente, a vario titolo, associazioni di settore, istituzioni, designer, singole aziende.
Per andare oltre ci vogliono idee, nuovi modi di fare, nuove opportunità, che puntino in direzione di uno sviluppo di qualità.
Abbiamo fatto la prima mossa, nella convinzione che non si possa evitare di fare i conti con la realtà che cambia, che è già cambiata, è che l’errore peggiore da evitare, per chi si occupa di imballaggio, sia subire i cambiamenti invece che agirli.
Abbiamo bisogno del contributo di esperienze e di idee di tutti per elaborare un nuovo linguaggio comune (un vocabolario condiviso) che consenta di coniugare le reciproche necessità: quelle pratiche/applicative dei produttori e utilizzatori (brand owner) di imballaggi, con gli aspetti legati alla cultura del progetto e ai modelli di consumo emergenti, fatti di sobrietà, essenzialità, semplicità.
Stimolare una riflessione è sempre un’impresa difficile, specialmente oggi, immersi come siamo in un flusso comunicativo che, per eccesso e ridondanza, è spesso vissuto come un inevitabile rumore di fondo.
In questa babele di stimoli perduti, abbiamo l’evidenza che i consumatori italiani, in generale, riconoscono all’imballaggio una funzionalità e una necessità che lo rendono parte fondamentale del prodotto stesso. E proprio per questo non possiamo omettere di impegnarci - tutti - a sostenere il packaging come strumento di civiltà e a contrastare, con onestà, l’ostilità, i pregiudizi di cui è fatto oggetto per ignoranza o malafede.
Ma più che puntare il dito su cosa dicono o tacciono gli altri, pensiamo a fare la nostra parte. Proviamoci.
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