E adesso, chi?

Editoriale di Stefano Lavorini

Botta e risposta con… Gianmario Ronchi

Come è andato il 2011?  Molto bene. Siano tornati ai livelli di fatturato pre-crisi, seppure con marginalità minori, ma comunque soddisfacente.

E l’anno in corso? Il 2012 è partito calmo. Le grandi aziende, un po’ in tutti i settori, faticano a investire e c’è una diffusa preoccupazione.

Un giudizio su Ipack-Ima? Buona fiera. Abbiamo presentato la nuova Exacta in versione sanitaria per il food e il farma e abbiamo sfruttato l’occasione per riunire la nostra forza commerciale estera, ma abbiamo anche registrato diversi contatti nuovi e interessanti.

Sono anni che il mercato è in altalena. Cosa è cambiato in azienda?  Abbiamo fatto un grande lavoro per riorganizzare il processo produttivo e ristrutturare i costi.

In pratica… Ad esempio abbiamo incorporato la Ronchi Teck di Soncino… Anche una società o un conto concorrente in più sono voci di costo da tagliare.

Siete intervenuti sul personale?  No, le maestranze sono fondamentali. Non lo abbiamo fatto neppure nel 2010 quando, “scarichi” di lavoro, abbiamo messo in produzione le macchine senza avere gli ordini. L’anno scorso abbiamo lavorato a pieno ritmo senza fare straordinari, mantenendo così stabili i costi.

Costi stabili, allora? Si, eccetto quelli che non riusciamo a governare: oneri finanziari ed energia.

Come è organizzata la produzione? Progettiamo in toto all’interno la parte elettrica e meccanica; eseguiamo la programmazione dell’elettronica, l’assemblaggio e il collaudo. Le lavorazione meccaniche e i quadri elettrici vengono realizzati all’esterno.

Chi sono i vostri clienti? In prevalenza multinazionali, con cui abbiamo global agreement per la fornitura dei nostri macchinari in tutto il mondo.

Cosa vi chiedono oggi gli end user? Fino a qualche anno fa il focus era sulla tecnologia, ovvero efficienza e precisione, ma anche sulla capacità di realizzare soluzioni ad hoc. Oggi si dà per scontata l’evoluzione tecnologica e si cerca l’ottimizzazione dei costi.

In concreto? Con alcuni gruppi siamo riusciti a standardizzare il range di prodotti e applicazioni (passo e altezza del contenitore sono le discriminanti).
Una volta definito insieme al cliente lo standard, riusciamo a diminuire i costi delle macchine, evitandone la personalizzazione per singolo sito produttivo.
Migliori modalità di acquisto e produzione di lotti di macchine ci hanno permesso di ridurre i prezzi di oltre il 30%.

Quanto incide la personalizzazione? Buona parte dei costi di una macchina è imputabile alla progettazione. Nel caso di macchine standard il tempo è limitato al lancio dell’ordine (alcune ore) contro le 400/500 ore di una macchina su commessa. Il montaggio ha un’incidenza relativa e per questo non abbiamo interesse a delocalizzare la produzione.

Meglio alcuni settori o alcuni mercati? Lavorando con le multinazionali, a seconda degli anni, abbiamo un andamento poco prevedibile, sia per quanto riguarda i settori applicativi che i mercati geografici. Abbiamo però una costante: il mercato americano che non ha mai mollato, nonostante il cambio sfavorevole.

Come e dove pensate di crescere? Con la nostra attuale tecnologia puntiamo soprattutto ai settori food (salse, preparati liquidi e cremosi, latte, olii) e farmaceutico (colluttori, sciroppi). Geograficamente grande attenzione, ovviamente, all’Asia: nel 2009 abbiamo aperto una filiale in Tailandia, nel 2011 in India ed entro fine anno probabilmente apriremo un ufficio in Cina.

Come riuscite a essere competitivi? Oltre alla tecnologia, mettiamo da sempre al primo posto il servizio. Curiamo in particolare la formazione direttamente in fabbrica, in occasione del collaudo che viene fatto in un reparto dedicato. Se il cliente non conosce la nostra tecnologia, organizziamo delle vere e proprie sessioni di formazione, anche con la collaborazione dei fornitori esterni.

Progetti futuri? Nel 2011 abbiamo disegnato e costruito una macchina completamente nuova, attualmente in fase di test, che forse proporremo al mercato quest’anno. R&D sono essenziali.

Cosa volete fare da grandi? Abbiamo consolidato un management ma al contempo ci stiamo preparando al secondo passaggio generazionale, perché vogliamo che la Ronchi resti un’azienda familiare. Mio fratello Cesare ed io abbiamo intrapreso questo percorso avvalendoci anche di un consulente esterno e abbiamo stabilito precise regole di convivenza tra i membri della nuova generazione (5 figli, di cui già 2 operativi).

È un valore essere una “family company”? Si, e in particolare è apprezzato dalle multinazionali, che cercano fornitori in grado di garantire nel tempo prodotti e assistenza.

Rimpianti? Come mio fratello, molto giovane ho affiancato mio padre in azienda: dapprima in occasione delle vacanze estive e poi, l’ultimo anno delle superiori, già lavoravo di giorno e di sera frequentavo le lezioni.
Per quanto riguarda il lavoro, però, nessun rammarico. Mi spiace solo di non avere proseguito gli studi, sebbene ne avessi avutola possibilità.

Sogni nel cassetto? Sarei molto soddisfatto di lasciare ai figli qualcosa che possa essere un’aspirazione. Cesare ed io, con la nostra gestione, abbiamo fatto crescere di molto l’azienda, ma non ci sembra di poter compiere, con le nostre sole forze, un ulteriore salto dimensionale. E quindi abbiamo bisogno di nuove competenze.

ronchi_web.pngGianmario Ronchi, classe 1965, è AD con il fratello Cesare della Mario Ronchi SpA. Si occupa della parte amministrativa e gestionale, mentre il fratello di quella tecnica e commerciale. Fondata nel 1966 dal padre Mario, nel 2011 l’azienda ha fatturato 37 milioni di euro, con 149 addetti. Primo mercato gli Usa con 12,5 milioni di dollari. Specializzazione: linee complete per il riempimento di prodotti liquidi e pastosi alimentari cosmetici e per la detergenza (riordinatori / orientatoridi flaconi, riempitrici, tappatrici).
 

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