italiaimballaggio
Il 2004 dell'alimentare
Food in 2004

Dati e dinamiche di domanda e offerta
Data and trends of demand and supply
L'imballaggio di alimenti
Food packaging
Dati e tendenze sull'impiego di imballaggi
Data and market trends on the use of packaging
A difesa del marchio
Trademark protection
Gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia: un confronto fra imprenditori, tecnici e funzionari dello Stato
Exploiting the tools made available by technology: a meeting between entrepreneurs, technicians and State officials
Ideas & Trends
(awards, data, communication)
Ready to use
(packaging used on the market)










MERCATO Dati e dinamiche dell’offerta e della domanda di generi alimentari in Italia. Le prime stime di Federalimentare sull’esercizio 2004 evidenziano le peculiarità del secondo comparto manifatturiero della nostra economia. A cura della redazione

Dall’8 al 13 novembre scorso le aziende alimentari italiane hanno aperto le porte dei propri stabilimenti, dando il via all’iniziativa “Apertamente: gusto chiaro”. I consumatori sono stati, così, guidati a scoprire i segreti della qualità dei prodotti che arrivano sulle loro tavole, e dei motivi di successo, anche internazionale, della seconda industria manifatturiera nazionale. Un’industria che, secondo le prime stime di Federalimentare, ha chiuso il 2004 con un bilancio ancora in crescita, occupa oltre 260mila persone e continua a manifestare una grande vitalità, in termini sia di dinamiche di consumo sia di capacità nel rinnovare l’offerta. E che tuttavia deve attrezzarsi per affrontare numerose sfide: dalla stagnazione del mercato interno al rischio contraffazione, passando per la riforma della politica agricola comunitaria (PAC) e i risvolti critici del processo di delocalizzazione.

Ancora in crescita (in valore) - Nel 2004 il fatturato dell’industria alimentare italiana ha raggiunto i 105 miliardi di Euro, con una crescita in valore del +1,9% a cui corrisponde, in quantità, un più modesto +0,5%. Si tratta di un comparto molto frammentato: il numero di imprese con più di 9 dipendenti si attesta a 6.650 unità, offrendo occupazione a 264.000 addetti, ovvero il 66,3% del totale. L’anno scorso le esportazioni sono cresciute del +2,9%, toccando quota 14,2 miliardi di Euro, a fronte di un aumento dell’import di quasi 6 punti percentuali (+5,9%,12,5 miliardi di Euro); il saldo della bilancia commerciale si mantiene comunque positivo e si attesta a 1,7 miliardi di Euro. L’industria alimentare mantiene così il secondo posto (12%) nell’ambito dell’industria manifatturiera italiana, dopo il settore metalmeccanico. In testa (come nel passato) i comparti lattiero caseario (13,8 miliardi di Euro), dolciario (10,9 miliardi di Euro), di trasformazione della carne (7,4 miliardi di Euro) e vinicolo (5,4 miliardi di Euro).

Quei primi 8 mesi in negativo - I dati citati risultano in sintonia con i trend generali dell’economia.
La produzione dell’industria alimentare nell’agosto scorso, in base agli indici “grezzi” dell’Istat, ha registrato un aumento del +3,8% rispetto all’agosto 2003 che tuttavia, a pari giornate lavorative, si trasforma in un calo del -1,7%.
Nei primi otto mesi dell’anno, il bilancio produttivo del settore presenta dunque, in termini “grezzi”, un aumento marginale (+0,6%), che si palesa come lieve diminuzione (-0,2%) a indici corretti. Detto altrimenti, il settore sta attraversando una fase di marcato rallentamento congiunturale, che contrasta con i trend degli anni trascorsi (nel triennio 2000-2003, infatti, la produzione dell’industria alimentare è cresciuta del +7,4%) e va messo in relazione con fattori basilari quali la minore capacità di acquisto del consumatore nazionale e la scarsa dinamica dei mercati internazionali, ma anche con una struttura dei costi di filiera ancora inefficiente e poco competitiva.
In base agli indici grezzi Istat, comunque, nei primi otto mesi 2004 appaiono in crescita, rispetto allo stesso periodo 2003, alcuni comparti del settore: la lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi (+4,3%), l’alimentazione animale (+3,7%), la lavorazione della carne (+1,5%), il riso (+1,1%), il vino (+0,9%) e la birra (+0,5%), i prodotti da forno (+1,7%), il cioccolatiero (+1,6%) e la pasta (+0,6%). Risultano invece in flessione, su gennaio-agosto, in particolare la produzione delle acque minerali (-9,7%), del lattiero-caseario (-2,1%) e del molitorio (-0,3%).

Acquisti in calo - Le rilevazioni Ismea ACNielsen Homescan sul mercato interno, che riguardano gli acquisti domestici di un campione di 6.000 famiglie, denunciano flessioni complessive e continuative dalla fine del 2003 alla metà del 2004. Per la precisione, i primi sette mesi del periodo in esame mostrano cali del -2,9% in quantità e del -0,4% in valore, confermati, in linea di tendenza, dai primi dati di agosto.
Viene inoltre rimarcato come il fenomeno non sia limitato a qualche singolo mese, ma si presenti come duraturo e anomalo per un comparto dai consumi “rigidi” come l’alimentare. Se, infatti, le valutazioni sull’estate scorsa possono essere “inquinate” dagli elevati consumi di bevande e gelati della caldissima estate 2003, è pur vero che emergono cali diffusi e stabili degli acquisti alimentari in quasi tutti i comparti.

La forbice dei prezzi - Il confronto tra le variazioni in quantità e in valore degli acquisti evidenzia un altro elemento di riflessione: la perdurante crescita dei prezzi alimentari al consumo. Anche questo preoccupa gli analisti: e molto, dato che i prezzi alla produzione, nel periodo gennaio-agosto 2004, non solo non hanno registrato alcuna accelerazione, ma sono addirittura calati del -0,2%. In parallelo, gli “stessi” prodotti (depurati dal fresco e dal tabacco) hanno segnato al consumo un aumento del +2,1%, con un differenziale di 2,3 punti, il che significa che il trend dell’inflazione al consumo è ancora percorso da tensioni di fondo difficili da arginare, che finiscono inevitabilmente col raffreddare gli acquisti.
È naturale, allora - commentano ancora all’Ufficio Studi di Federalimentare - che il consumatore stia più attento, selezioni gli acquisti, faccia meno scorte e sprechi di meno. In questo contesto, si spiega ancor meglio quanto evidenziato dall’ultima indagine Doxa-Federalimentare di inizio 2004, ossia che tra i principali criteri di scelta del consumatore il fattore “prezzo” è salito dal terzo al secondo posto, col 36% di share, superando anche la “data di scadenza”. Segnali ulteriori, e ancora più marcati, della crisi di un sistema che ha alle spalle tre anni consecutivi di stagnazione e oltre due anni di inflazione anomala, in buona parte legata all’effetto Euro.

Promozioni e beni di marca - Si inserisce coerentemente in questo quadro la crescita continua delle promozioni nella GDO, che nel 2000 rappresentavano il 18% dei volumi commercializzati dal canale e che nel 2004 sono salite al 23%, a carico dell’industria. Ma significativa, al contempo, appare anche la tenuta della marca che, secondo l’indagine Doxa-Federalimentare resta di gran lunga al primo posto (44%) tra i motivi di scelta degli acquisti di prodotti alimentari.
Oggi, i prodotti di marca rimangono attestati ai due terzi circa delle vendite totali del grocery; al loro fianco si pongono l’11% delle private label e il 23% circa dei prodotti unbranded e delle marche minori. Le iniziative di contenimento dei prezzi, sottolineano dunque i produttori federati, contrastano quindi con i meccanismi di stabilizzazione che il mercato ha già spontaneamente messo in moto.

Export in aumento - Sul fronte estero, l’export del Paese nel suo complesso ha sfiorato, nei primi sette mesi, la quota di 159 miliardi di Euro, con un aumento del +5,9% sul gennaio-luglio 2003.
Dopo la flessione del -2,7% registrata nel 2003, questo aumento riporta l’export nazionale su un “passo” accettabile, analogo a quelli registrati fino al 2002. L’andamento del food and drink è stato abbastanza simile, con un -1,1% in valuta nel 2003 e una crescita, nei primi sette mesi 2004, del +2,4%, pari a 8,1 miliardi di Euro complessivi (dunque con maggiore pigrizia, rispetto al sistema nel suo complesso).
Guardando alle voci dell’export più rappresentative, la principale (il vino) si è distinta per capacità di reazione.
L’export del comparto, che nel 2003 aveva registrato un calo del -3,0%, nel primo trimestre 2004 è incorso in una nuova caduta, ancora più marcata, del -6,4%, sapendo però poi invertire la rotta con un +4,0% , sui sette mesi. Molto buoni, a loro volta, il progresso di oli e grassi (+11,5% sull’export del primo semestre ‘03), il trend del lattiero-caseario (+4,9%) e delle carni preparate (+9,8%). Detto questo, commentano in Federalimentare, dispiace che, al di là degli specifici trend congiunturali, l’export del settore non sia strutturalmente all’altezza dell’immagine di cui i nostri cibi godono nel mondo.
I valori su cui si è attestato nell’ultimo triennio (14 miliardi di Euro circa) rappresentano meno del 14% del fatturato, a fronte di una media europea del 18%, che sale ulteriormente al 20% in Germania e al 22% in Francia.

Il grande limite della frammentazione - Per considerare lo stato di salute dell’Industria alimentare italiana è utile ricordare alcuni profili strutturali. Vediamo così che si tratta di un’industria caratterizzata, ancor più di altri settori manifatturieri nazionali, da un’accentuata frantumazione e che presenta un rapporto medio tra utile e valore della produzione dell’1,3% (nel 2001 era sceso fino allo 0,5%), da diversi anni sempre inferiore alla media complessiva.
Se, da un lato, questa struttura dell’offerta consente di valorizzare le infinite tradizioni produttive del territorio, dall’altro, ne allontana la capacità di fare “massa critica” sufficiente a competere adeguatamente sul mercato globale (e a fronteggiare la forte pressione della Grande Distribuzione). Inoltre è causa diretta dell’insufficiente proiezione esportativa del settore e dei suoi bassi livelli di utile, nonché freno agli investimenti.

Fra nuovo “nuovo” e nuovo “tipico” - Specializzazione e valore aggiunto stanno caratterizzando l’offerta di nuovi prodotti alimentari in Italia.
L’alimentare “tradizionale” (83% della produzione totale) comprende così una componente più classica (pasta, conserve, vini, olio, latte ecc…), che copre il 66% circa della produzione complessiva di cibi, e una serie di proposte definibili come “tradizionale evoluto” (17% del totale) ad alto valore di servizio: sughi pronti, oli aromatizzati, condimenti freschi (come il pesto e altre specialità), prodotti e piatti precotti a lunga conservazione a temperatura ambiente, surgelati generici, formaggi duri e molli tradizionali a bassa percentuale di grassi, nuovi tipi di pasta condita, una vasta gamma di dolci innovativi, la cioccolata sposata ad altri prodotti come il caffè, lo stesso caffè in cialde ecc...
A fianco di questa prima, grande area si trova quel patrimonio che sono i prodotti a denominazione protetta (9% del mercato) oltre a un segmento di importanza crescente rappresentato dai “nuovi prodotti” in senso più stretto, che copre, ormai, una fetta quasi uguale al tipico (8%). Questi ultimi sono cibi e bevande ad alto valore aggiunto e con un elevato contenuto di servizio che soddisfano le richieste dei consumatori dal punto di vista della conservazione, della preparazione del cibo e da quello nutrizionale e salutistico. Si tratta di un composito insieme di bevande energetiche, yogurt “funzionali”, alimenti alleggeriti o arricchiti, preparazioni gastronomiche (fresche, surgelate e precotte), cibi salutisti, prodotti per categorie specifiche di consumatori (giovanissimi, anziani, celiaci, diabetici ecc…) e “nutraceutici” (vitamine, integratori, barrette dietetiche ecc.). La loro crescita è estremamente elevata, e costituisce il fenomeno emergente, non solo italiano, ma europeo. Da ultimo, obbligatorio un cenno ai prodotti biologici, che a tutt’oggi rappresentano meno dell’1% dell’offerta complessiva di alimenti, finalizzando sul piano della trasformazione la produzione agricola biologica nazionale (5% circa del totale).
Passando in rassegna questi dati - è la chiosa di Federalimentare - risulta chiaro che la crescita del comparto negli ultimi anni è dovuta essenzialmente al trasferimento dei consumi interni dal fresco al trasformato, e all’evoluzione del trasformato verso segmenti di specializzazione.

Le incognite future - Una volta definito il settore nella sua realtà attuale, bisogna infine considerare che le aperture dei mercati, previste sul medio e lungo periodo, costringeranno a forti riposizionamenti strategici, con i conseguenti, ulteriori, rischi per la competitività delle imprese.
L’agroindustria, per esempio, dovrà misurarsi con scenari sempre più aperti, privi delle tradizionali garanzie offerte dalla Politica Agricola Comune del passato. La riforma della PAC ha, infatti, sancito il principio del disaccoppiamento: d’ora in avanti l’industria (che oggi trasforma il 70% del prodotto agricolo nazionale) dovrà magari essere disposta a pagare di più l’agricoltore nazionale, per ottenere materie prime consone alle proprie esigenze. Al tempo stesso dovrà diventare più flessibile, per rifornirsi su un mercato internazionale più liberalizzato, dando vita a consorzi d’acquisto che le consentano di ottimizzare gli approvvigionamenti, in termini di stabilità e prezzo, senza dover subire le richieste a volte ingiustificate degli attuali trader, che controllano una serie di aree con vere e proprie esclusive.
Alcuni settori, inoltre, dovranno adattarsi a importare e trasformare anche semilavorati (al posto di materie prime nazionali come avviene attualmente), in quanto uno degli esiti della riforma della PAC potrebbe essere la riduzione significativa della produzione interna.
La gradualità e l’intensità con cui questi fenomeni si svilupperanno sarà diversa da comparto a comparto ma, in ogni caso, richiederà interventi tempestivi per minimizzare i problemi e riconvertire, in un arco di tempo conveniente, gli investimenti già effettuati.
Ed è possibile che alcuni segmenti sia della prima sia della seconda trasformazione decidano di avviare processi di delocalizzazione.

In Italy
Food in 2004


MARKET - Data and trends of supply and demand of foodstuffs in Italy, according to calculations made by Federalimentare. Taking stock of the accounting period 2004, which highlights the peculiarities of the second largest manufacturing sector of the Italian economy. By our editorial staff

From the 8th to the 13th of November Italian food companies opened their factory doors, giving the green light to the undertaking “Apertamente: gusto chiaro” [“Openly: clear flavour”]. Consumers were thus led to discover the secrets underlying the quality of products which arrive on their dinner tables, and the reasons behind the international, success of the second largest Italian manufacturing industry. An industry which, according to initial Federalimentare estimates, closed 2004 with a balance which keeps on expanding, employs over 260 thousand people and continues to thrive in terms of consumption trends and skill in renewing the offer. But which nonetheless must equip itself to deal with numerous challenges: from the stagnation of the domestic market to the risk of counterfeit goods, not forgetting the Common Agricultural Policy (CAP) and the critical repercussions of the process of delocalisation.

Still growing (in value) - In 2004 the turnover of the Italian food industry reached 105 billion Euro, with an increase in value of +1.9% corresponding to a more modest +0.5% increase in quantity. This is a very fragmented sector: the number of businesses with more than 9 employees totals 6,650 units, employing 264,000 workers, that is 66.3% of the total. Last year exports grew by +2.9%, reaching the quota of 14,2 billion Euro, against an increase in imports of almost 6 percentage points (+5.9%, 12,5 billion Euro); however, the balance of trade remained active at 1.7 billion Euros. The food industry thus continues to come second (12%) out of Italian manufacturing industries, after the engineering industry. In the lead (as in the past) is the dairy sector (13.8 billion Euro), the confectionery sector (10.9 billion Euro), meat processing (7.4 billion Euro) and wine (5.4 billion Euro).

Those first 8 months running at a loss - The above mentioned data prove to be essentially concordant with those regarding general economic trends. Based on gross Istat indexes last August food industry production recorded an increase of +3.8% compared to August 2003 which, however, calculated over the same number of working days, becomes a drop of -1.7%. In the first eight months of the year, the manufacturing balance of the sector therefore reveals a marginal growth (+0.6%) in “raw” terms, which turns out to be a slight drop (-0.2%) at corrected indexes. In other words, the sector is going through an economic phase of dramatic slowdown, which contrasts with the trends seen in previous years (indeed, in the three year period 2000-2003, food industry production increased by +7.4%) and should be related to basic factors such as the lower purchasing power of Italian consumers and stagnation in international markets, but also to a structuring of sector costs that is still inefficient and not very competitive.
However, judging by gross Istat indexes, in the first eight months of 2004 some divisions appear to be growing compared to the same period in 2003: cultivation and preservation of fruit and vegetables (+4.3%), animal feed (+3.7%), meat processing (+1.5%), rice (+1.1%), wine (+0.9%) and beer (+0.5%), baked products (+1.7%), chocolate (+1.6%) and pasta (+0.6%). Instead, between January and August the consumption of mineral water
(-9.7%), dairy products (-2.1%) and milled products (-0.3%) fell.

Falling purchases - The Ismea ACNielsen Homescan survey on the domestic market, concerning the purchases of a sample of 6,000 families, exposes a global and continuous drop from the end of 2003 to mid 2004. To be more accurate, the first seven months of the period studied show a drop of -2.9% in quantity and -0.4% in value confirmed by the initial data from August. Moreover, it is observed that the phenomenon is not limited to a few isolated months, but appears to be an ongoing and unusual phenomenon for a sector of “inelastic” consumption such as food. If, indeed, the findings of last summer may have been “contaminated ” by the elevated consumption of drinks and ice-cream in the extremely hot summer of 2003, it is also true that there are widespread and steady drops in food purchases in almost every sector.

Price shears - The comparison between the variations in quantity and value of purchases highlights a further element which requires some reflection: the persistent rise in consumer food prices. This too worries analysts, and a great deal so, given that production prices in the period between January and August 2004 not only failed to register any acceleration but actually fell by -0.2%. At the same time the “same” products (minus fresh food and tobacco) saw a price increase of +2.1% with a differential of 2.3 points, which means that the trend of consumer inflation is still afflicted by tensions which are hard to check, and which inevitably slow down purchasing.
It is natural then - the offices of Federalimentare add - for the consumer to become more careful, selecting what he buys, buying in less and wasting less. In this context, the results of the latest Doxa-Federalimentare survey at the beginning of 2004 can be better explained. That is that, out of the principal criteria in consumer choice, price has gone from third to second place, with 36% of the share, even overtaking the “best before date”. Further and even more dramatic signals of the crisis of the system which is emerging from three consecutive years of stagnation and over two years of abnormal inflation, mostly linked to the impact of the Euro.
Promotions and branded goods - Into this frame naturally fits the continuous growth of the promotion of broadscale distribution which, in 2000, represented 18% of the volumes marketed in the channel and which, in 2004, rose to 23%, borne by the industry. But there also appears to be considerable brand staying power. According to the Doxa-Federalimentare survey brands lead by a long way (44%) in the choice of food products.
Today brand products account for approximately two thirds of total grocery sales. They are flanked by private labels (11%) and unbranded products and lesser brands (approximately 23%).
Initiatives to contain prices, emphasise confederate producers, therefore provide a contrast with the mechanisms of stabilisation which the market has already spontaneously set in motion.

Increasing exports - On the foreign front, Italy’s exports have, overall, just reached the quota of 159 billion Euro, with an increase of +5.9% between January and July 2003. After the drop of -2.7% recorded in 2003, this increase brings Italian exports back to an acceptable level, similar to those recorded up until 2002. The food and drink trend has been quite similar, with a -1.1% in value in 2003 and a growth, in the first seven months of 2004, of +2.4%, equal to 8.1 billion Euro altogether (therefore a more sluggish growth, compared to the system in its entirety).
Observing the more representative export items, the major player (wine) stood out for its capacity to fight back. This sector’s exports, which in 2003 saw a drop of -3.0%, in the first three months of 2004 fell once more and even further by -6.4% but then changed course, reporting an increase of +4.0% in seven months. Oil and fat also made good progress, standing at +11.5% on exports in the first six months of 2003, as did the dairy sector (+4.9%) and processed meat (+9.8%).
This said, Federalimentare comment, it is a shame that, despite specific market trends, sector exports fail to live up to the image Italian food enjoys in the rest of the world. The sum reached in the last three years (approximately 14 billion Euros) accounts for less than 14% of the turnover, compared to a European average of 18%, which increases to 20% in Germany and 22% in France.

The great drawback of fragmentation - In order to examine the state of the Italian food industry it is useful to recall some structural profiles. We will see that this involves an industry characterised, to an even greater extent than other Italian manufacturing sectors, by more fragmentation and which has an average ratio between profit and production value of 1.3% (in 2001 this dropped to 0.5%), for some years consistently less than the overall average.
On one hand, this fragmentation enables a valorisation of the infinite manufacturing traditions in Italy but, on the other hand, it compromises the ability to create a “critical mass” which is sufficient to compete adequately in the global market (and to deal with immense pressure from the large scale retail trade).
Fragmentation is also the direct cause of the sector’s insufficient inclination towards exports and its low level of profits. It also acts as a brake on investments.

Between “new” new and new “typical” - Specialisation and added value are characterising the offer of new food products in Italy. “Traditional” food (83% of the total production) thus contains the more classic components (pasta, preserves, wine, oil, milk, etc..) accounting for approximately 66% of overall food production, and a series of proposals which may be defined as “evolved traditional” (17% of the total) with a high service value: ready sauces, flavoured oils, fresh dressings (like pesto and other specialities), long-life ready cooked products and dishes which can be kept at room temperature, frozen food in general, traditional hard and soft cheeses with a low percentage of fat, new types of seasoned pasta, a wide range of innovative desserts, chocolate wedded to other products such as coffee, coffee pastils etc.
Alongside this initial and huge area we find that wealth of DOC products (9% of the market) as well as a segment of growing importance represented by the “new products” in the strictest sense, which now cover a segment which is almost equal to that of typical products (8%).
These latter are food and drinks with a high added value and with a high service content which satisfy consumers’ requests from the point of view of preservation, food preparation and health and nutrition. They are a mixture of energy drinks, “functional” yoghurts, food made lighter or nutritionally richer, gastronomic dishes (fresh, frozen and pre-cooked), health foods, products for specific consumer categories (very young, elderly, coeliac disease sufferers, diabetics, etc..) and nutraceutical products (vitamins, functional foods, diet bars etc..). They are growing rapidly and constitute an emerging phenomenon which is not just Italian, but European. Finally, we must mention organic products which, up to now, have represented less than 1% of the overall food offer, concluding with the processing of Italian organic farm products (approximately 5% of the total). Reviewing these figures, Federalimentare comments, it appears clear that the growth of the sector in the last few years is essentially due to the move from fresh to processed foods, and to the evolution in processed foods in specialised segments.

The uncertain future - Once the current state of the sector has been defined, we must take into account that the opening up of markets, predicted in the mid and long term, will force heavy strategic repositioning, with consequent, further risks for the competitiveness of businesses.
The farming industry, for example, will have to compete with increasingly open scenarios, lacking the traditional guarantees given by the Common Agricultural Policy in the past. The reform of CAP has in fact sanctioned the principle of uncoupling: from now on the industry (which now converts 70% of Italian farm products) will perhaps have to be prepared to pay the Italian farmers more, to obtain raw materials suitable for its needs. At the same time it will have to become more flexible, to supply a more liberal international market, generating consortiums of buyers which will allow it to optimise its purchasing, in terms of stability and price, without having to endure the sometimes unjustified requests of current traders, who have the monopoly in several areas.
Some sectors, moreover, will have to adapt to importing and converting semi-finished products (instead of Italian raw materials such as happens now), since one of the results of the CAP reform could be a significant reduction in domestic production.
The speed and degree with which these phenomena will develop will differ from sector to sector but, in any case, swift action will be required to minimise problems and to reconvert, within an appropriate time span, investments which have already been made; and it is possible that, as already happens in other sectors, some segments in both first stage and second stage converting decide to begin to delocate.



Il profilo occupazionale
L’articolazione produttiva dell’alimentare italiano si è fatta sempre maggiore e più avanzata, determinando di conseguenza anche l’evoluzione dell’occupazione.
Spiccano, anzitutto, la stabilità e “tenuta” occupazionale del settore, che risulta superiore rispetto alle altre industrie del Paese, e l’aumento delle imprese e delle unità locali (rispettivamente +8,1% e +8,9%), soprattutto nel Centro-Sud. Questo, fra l’altro, ne fa un riferimento per i giovani, tanto che oltre il 37% degli addetti ha meno di 34 anni, mentre il 52,6% ha da 35 a 54 anni e il 9,2% più di 55. Guardando, invece, alle mansioni svolte dagli addetti del settore, vediamo che negli ultimi anni è cresciuto in misura significativa il segmento del controllo e gestione della qualità e sicurezza dei prodotti, arrivando al 22% (57.000 unità) dell’occupazione totale (264.000 addetti nel 2004).
Completano il quadro gli addetti della produzione, logistica e magazzino, che rappresentano il 52% (138 mila unità) degli occupati, oltre agli impiegati nel segmento commerciale (19%, pari a 51 mila unità) e nell’amministrazione e finanza (7%, ovvero 17 mila unità).




Employment profile
The organization of production of the Italian food industry is constantly on the increase and evermore advanced, with a consequential effect on the development of employment.
What stands out aboveall is the stability of sector employment, that is higher than other Italian industrial sectors, and the increase of concerns and local units (respectively +8.1% and +8.9%), this aboveall in central-southern Italy. This among other things makes the industry a draw for younger workers, to the point where 37% of employed have less than 34 years, while 52.6% are between 35 and 54, and 9.2% above 55. Taking a look at the work tasks carried out by those employed in the sector, we can see that in recent years the control and handling of product quality and safety has grown significantly, reaching 22% (57,000) units of total employed (264,000 employed in 2004). To complete the picture those employed in production, logistics and warehousing account for 52% (138 thousand units) of employed, as well as those employed in the commercial segment (19%, standing at 51 thousand units) and administration and finance (7%, or that is 17 thousand units).





Contraffazione, piaga dell’export
Secondo stime prudenziali, la contraffazione alimentare sembra abbia raggiunto un valore di 2,7 miliardi nel caso di quella illegale e di 53,5 miliardi nel caso del cosiddetto Italian Sounding (la proposta di prodotti il cui nome commerciale richiama le nostre specialità più famose). Grazie alla rete normativa e ai controlli di cui l’Italia dispone, il fenomeno non interessa il mercato interno, ma ha invece conseguenze molto pesanti sul nostro export.



Counterfeiting, the plague of exports
According to prudent estimates, food counterfeiting has reached a value of 2.7 billions in illegal products and 53.5 billion in Italian sounding products (products whose tradename resembles the most famous Italian specialties). Thanks to a standardised network and the controls carried out in Italy, the phenomenon does not affect the Italian domestic market, though it is having heavy consequences on Italian exports.