Quanto vale l’uomo?
Editoriale di Stefano Lavorini
«Vale la pena di vivere lungamente e di sopportare i dolori che il destino imperscrutabile mescola ai nostri giorni, se infine riusciamo ad acquistare chiarezza in noi e se il problema di tutti i nostri sforzi si coglie e si chiarifica nei risultati delle nostre azioni».
Questo pensiero del grande scrittore tedesco Thomas Mann si presta bene a dare contorno all’esistenza umana, in generale, ma aiuta a leggere anche due casi “virtuosi”, magari lontani dalla nostra tradizione e cultura, quanto vicini per prossimità geografica e di mercato.
Nulla è mai come appare. Partiamo da Krones, o meglio dall’ultimo Forum delle Opportunità dedicato alle tecnologie dell’asettico, organizzato dalla filiale italiana nei pressi di Verona, con tanto di visita allo stabilimento della Zuegg.
L’appuntamento di inizio febbraio concludeva un ciclo di 3 incontri, a cui hanno partecipato in totale oltre 230 aziende, ed è stato come sempre ben congegnato e istruttivo. Soprattutto su un punto: la tecnologia del processo in asettico offre molto in termini di innovazione di prodotto, ma è un’opzione che l’utilizzatore deve saper preparare perché, tuttora, richiede conoscenze specifiche e adeguate.
Krones molto ha fatto per semplificare e rendere più efficienti i suoi impianti - come ha ribadito Franco Tomba - , passando dalle riempitrici asettiche in camera bianca allo sviluppo di macchine con isolatori, e affiancando alla tecnologia Wet, con decontaminante a base di acido peracetico, quella Full dry, che usa vapore d’acqua ossigenata. Eppure, ciò detto e provato, nonostante la tecnica, la capacità di visione e innovazione di questo gruppo tedesco che ha una soluzione per quasi tutti i problemi - dal riempimento, al fine linea, dal condizionamento del prodotto alla fabbrica senza operai - l’uomo con le sue competenze e abilità, con la sua voglia di venire a capo dei problemi, resta fattore determinante di successo.
Come dimostra il caso Zuegg; l’azienda alimentare ha addirittura ristrutturato un’area dello stabilimento di Verona, per dare corretto contorno all’unità asettica a secco per prodotti low acid, composta da soffiatrice e riempitrice: un’oasi a contaminazione controllata, con aria filtrata e ambiente in sovrapressione, pareti in metallo, impiantistica allo stato dell’arte.
Un “gioiello” costruito grazie alla determinazione di chi - Marco Girelli - ha voluto e saputo scegliere e percorrere una strada nuova, magari non facile, ma che introduce a futuri sviluppi.
Complimenti per quanto fatto e auguri per ciò che resta da fare.
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Cambiare tutto perché nulla cambi. Questa è la Bobst. Di recente si è concluso il trasferimento della sede della società svizzera conosciuta nel mondo per le sue fustellatrici (autoplatine) e piegaincolla da da Prilly (Losanna città) a una località nelle immediate vicinanze, Mex. In questi anni è venuto meno il modello produttivo che aveva come motivo di orgoglio la costruzione in proprio di tutta la componentistica delle macchine. E, ancora, è da ricordare la scelta operata qualche tempo addietro, di entrare nel “mondo” del flessibile, attraverso una serie di importanti acquisizioni.
La Bobst è cambiata, come abbiamo potuto constatare in occasione dell’assemblea d’autunno di Gifasp che si è svolta appunto a Mex, e ne siamo di nuovo rimasti impressionati. In positivo.
Ci ha stupito senza ricorrere a effetti speciali. A partire ovviamente dal Competence Center: un ampio e luminoso spazio con un bel numero di macchine di ultima generazione, pronte per dimostrazioni e prove, con tanto di operatori preparatissimi e professionali, peraltro in maggioranza di origine italiana.
E poi il Centro di formazione, dove, grazie a un programma condiviso con il Cantone Vaudois , 270 giovani seguono un articolato programma teorico e pratico di 4 anni. Studenti apprendisti pagati (non paganti) che, da subito e prima di tutto, apprendono il significato della parola “qualità” secondo Bobst e che, in numerosi casi, dopo il diploma trovano lavoro in azienda. Un eccezionale investimento per il futuro che resiste anche ai tempi di crisi.
Certo ormai molti particolari grezzi e semilavorati vengono prodotti da fornitori esterni sparsi nel mondo, ma Bobst al proprio interno continua a realizzare - oltre a progettazione e assemblaggio – i pezzi a maggior valore aggiunto e le lavorazioni più importanti e qualificanti, quelle che insomma, fanno la vera differenza sul mercato. Tra queste la finitura (la raschiatura dei canali di lubrificazione) dei pattini di appoggio delle ginocchiere delle autoplatine, che è eseguita rigorosamente a mano: all’apparenza solo pochi chili di banale acciaio di una macchina, che pesa alcune tonnellate. Sembra un paradosso, ma nel mondo dell’iper-tecnologia è ancora fondamentale l’abilità individuale di poche persone superspecializzate, che hanno nei propri polpastrelli la misura di ciò che è bene o male. Una rivincita un po’ nostalgica dell’uomo sulla macchina, ma anche una straordinaria sopravvivenza del rigore inarrivabile che è sempre stata la cifra di questa realtà industriale.
La proprietà, quella è sempre la stessa: il CEO, Jean Pascal Bobst, sarà per certo consapevole depositario dell’illustre tradizione familiare e aziendale, ma è anche una persona che sa esprimere la convinzione che il mondo ha ben più ampi confini che in passato. Chapeau.
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P.S. Parlando con Emilio Corti, direttore vendite della business unit Sheet-Fed di Bobst Mex SA, gli ho provocatoriamente chiesto conto di qual era il bilancio complessivo – in termini economici, finanziari e sociali - dell’operazione “imballaggio flessibile”, che ha portato in passato all’acquisizione di costruttori di macchine tra cui Rotomec, Schiavi, e che in qualche modo ha finito per ridefinire il profilo del settore. L’argomento è tutto da approfondire: speriamo di poterne parlare presto.