Mangiamo ciò che vorremmo essere
Terminata l’Esposizione universale, restano le voci di quanti hanno ragionato su cibo, distribuzione e consumi. Come quelle degli esperti che Acimga ha riunito a convegno il penultimo giorno di Expo, per stimolare una riflessione sui fenomeni che stanno cambiando il volto dei prodotti alimentari. E del loro packaging.
Nella rivoluzione post moderna dei consumi, il cibo ha mutato identità, trasformandosi da “semplice” alimento in proiezione culturale dalla forte componente aspirazionale. Così, la teoria di Feuerbach “siamo ciò che mangiamo” si è trasformata nell’odierno “mangiamo ciò che vorremmo essere”, generando una ridda di nuovi fenomeni che investono in modo diretto le modalità e i canali d’acquisto. E, naturalmente, il packaging. Al’imballaggio spetta il compito di veicolare l’immagine del prodotto, con la storia e i valori che lo individuano, ma assume nuove funzioni nel momento in cui cambia il modo di fare la spesa, quando entriamo in un supermercato di fretta, già sapendo cosa vogliamo comprare: il cibo e la sua confezione non devono più “conquistarci” ma “farsi trovare”, dispiegando nuove prestazioni.
Questo lo scenario del convegno “Il cibo racconta: le nuove frontiere del food”, organizzato da Acimga il 28 ottobre a EXPO 2015 con il coinvolgimento di esperti e imprese che usano e producono imballaggi in maniera “proattiva”. Si è trattato di un’occasione preziosa per chiarire aspetti e funzioni degli alimenti del “mondo che verrà” (e che il presente prefigura) e delle loro confezioni.
Un consumatore sempre più attivo
Il consumatore di oggi è individuato e attivo: non più “bersaglio” delle strategie commerciali delle aziende ma soggetto che, con le sue scelte, conferisce valore al prodotto (ludico, etico, funzionale, estetico... persino politico). Il packaging, è il caso di dirlo, “viene messo in mezzo”. Voce e megafono di un bene, lo diventa anche del consumatore, radicalizzando il proprio ruolo di medium, ovvero mediatore e veicolo di un rapporto biunivoco e interattivo. Per questo Carlo Alberto Carnevale Maffè può affermare che il packaging non solo “racconta” storie, tradizioni, ingredienti, diete, ricette... di un prodotto ma è in grado di trasmettere all’industria alimentare informazioni cruciali sulle scelte e i comportamenti degli acquirenti, una massa frammentata in infinite varianti di gusti e idee («Provate voi a preparare un pasto unico per i vostri 12 invitati!»).
E che, sempre di più, chiedono al prodotto e quindi al suo packaging di “fare la cosa giusta”, impegnandosi nella lotta allo spreco, a migliorare i processi di trasformazione, a ridurre i rifiuti post consumo e tanto altro ancora.
L’esperienza è (quasi) tutto
Secondo Carlo Meo, l’affermarsi delle nuove funzioni sociali del cibo si manifesta anche nella perdita di centralità della distribuzione moderna a favore della multicanalità, con il recupero di punti di approvvigionamento tradizionali (mercati e mercatini) e l’affermarsi di nuovi canali (e-commerce, gruppi d’acquisto, ristorazione Mangio&Compro…).
Si tratta - sottolinea Meo - di fenomeni accomunati dal rifiuto delle logiche di massificazione e dalla frammentazione degli acquisti (compro ciò che mangio adesso, senza più fare scorte), nel segno di un’individualità sempre più esasperata ma, tutto sommato, poco impegnata. Lo mostra lo stesso rafforzarsi dell’attenzione di massa per il cibo: un’esperienza di godimento semplice e alla portata di tutti («molto più semplice del sesso e di tante altre cose ancora», chiosa Meo) e al contempo ricca di stimoli sensoriali, di storie sull’origine delle materie prime, di tradizioni nazionali ed esotiche, di occasioni di condivisione in casa e fuori….
Gli esempi portati da Meo sulla trasformazione del cibo da commodity a racconto (e valore) sono illuminanti: il consumo del velenosissimo pesce Fugu in Giappone, degli spuntini a base di insetti a Expo 2015, dei cubetti di ghiaccio a forma di Statua della Libertà, Batman, Godzilla..., del whisky Suntory, ma anche della sfilata allestita nella brasserie da Karl Lagerfeld, che coglie e rilancia il collegamento fra due mondi concretamente così lontani ma culturalmente sempre più vicini della moda e della ristorazione.
Stessa cosa, prodotto diverso. I nuovi significati del cibo e del consumo, sempre secondo Meo, si riscontrano nel modo scelto dai produttori per proporre prodotti in origine poverissimi e oggi nobilitati dai “racconti” che piacciono ai nuovi consumatori: così le frattaglie non sono più scarti di produzione ma street food gourmet, la birra non è più una bevanda povera e un po’ greve ma una strenna da hipster, e il gorgonzola da residuo nel frigo della nonna si trasforma in prelibatezza per intenditori…
Il packaging interpreta, contribuisce e rilancia, come mostra, in apertura di articolo, la sequenza di contenitori ad alta densità di servizio, gioco e seduzione.
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