Rapporto Coop 2022: Un pericoloso nuovo mondo
I cambiamenti epocali e l’impatto sugli stili di vita. L’edizione 2022 del Rapporto Coop tratteggia un quadro complesso dove, nonostante tutto, la spesa alimentare tiene.
Le informazioni riportate in questo articolo sono estratte dal Rapporto Coop 2022, consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani.
Pandemia, crisi climatica, guerra, inflazione. Il sommarsi simultaneo di una serie di eventi terribili e imprevisti ha innescato nei primi mesi del 2022 una tempesta perfetta di cui vediamo propagarsi gli effetti giorno su giorno.
Si profila all’orizzonte un pericoloso nuovo mondo in cui la democrazia è sempre più a rischio (il 40% del Pil globale arriva da Paesi non liberi), cresce la povertà alimentare, il commercio internazionale decresce e l’emergenza climatica è oramai drammatica quotidianità. Con un Pil mondiale al ribasso che passerà da +5,7% del 2021 al +2,9% del 2022, l’Italia va verso un peggioramento delle previsioni di crescita che vedono il +3,2% nel 2022 scendere al +1,3% nel 2023. Un quadro economico su cui pesano il post covid, che ancora condiziona molti aspetti della vita delle persone, e il conflitto russo-ucraino, le cui conseguenze sono evidenti soprattutto nell’impennata dell’inflazione che comporta una perdita media per le famiglie italiane attorno ai 2.300 euro. Quella descritto dal Rapporto Coop è l’Italia del 2022, che si scopre a conti fatti più vulnerabile, con la classe media sempre più in difficoltà, una parte che rimane indietro (24 milioni di persone nel 2022 hanno sperimentato almeno un disagio) e una netta crescita dell’area della povertà vera e propria (+ 6 milioni nell’ultimo anno).
Contestualmente, la forbice della diseguaglianza cresce, con le griffe del lusso al +17/19% nel primo trimestre 2022 (Il Sole 24 Ore Altagamma Bain) laddove il 48% del campione, a causa del senso di instabilità, rimanda grandi spese in elettrodomestici e automobili, ma anche l’acquisto della prima casa, senza dimenticare le piccole rinunce del superfluo di tutti i giorni.
Una catena dei prezzi al rialzo
In questo contesto, la GDO affronta un mercato su cui pesano grandi incognite e dove il 2022 viene visto come uno degli anni più difficili di sempre.
Da un lato, infatti, le imprese retail devono fare i conti con l’eccezionale rincaro dei listini industriali e l’esplosione del caro energia, dall’altro, non possono ignorare le difficoltà della domanda finale e la necessità di attutire l’effetto dell’aumento dei costi sulla capacità di acquisto del consumatore. L’aumento dei prezzi di beni alimentari venduti dall’industria alle catene della GDO sono cresciuti del 15% rispetto allo scorso anno, mentre l’inflazione alla vendita ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9%.
Del resto, il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna un -5,7% a svantaggio della GDO. A crescere sono in particolare i prodotti di prima necessità come l’olio di semi al +40,9%, quello di oliva al +33,1%, la pasta al +30,9% e la farina +25,4%. A questo si aggiungono i costi energetici che nel 2019 valevano l’1,7% del fatturato e che oggi sono previsti in crescita di tre volte con un’incidenza del 4,7% nel 2022 e del 5,2% nel 2023.
La forza del discount
In un contesto che vede la GDO ridurre ulteriormente le marginalità, che si attestano su 1,5 euro ogni 100 spesi dal consumatore, è il discount a registrare ancora una volta la maggiore crescita, mentre si assiste a un costante declino del concetto di ipermercato.
Guardando all’e-grocery, protagonista nel lockdown, secondo il rapporto Coop sembra aver perso spinta propulsiva, attestandosi su valori molto bassi rispetto al resto d’Europa con dati al 2,9% nel 2021 e previsioni non superiori al 6% se si guarda al 2030. Dati ben diversi da quelli di altre aree europee come il Regno Unito, passato dal 12% al 19% o la Francia dall’8,6% al 16%.
l mercato alimentare tiene
Una buona notizia proviene però dalla tradizionale attenzione degli italiani alla qualità della spesa alimentare, che contribuisce a contenere il calo dei consumi. La filiera del cibo non è stata risparmiata dall’inflazione, che in Italia vede tuttavia dati inferiori alla media europea con un +10% a fronte ad esempio, del +13,7% della Germania.
Secondo il Rapporto COOP, sono dunque 24 milioni e mezzo gli italiani che, nonostante l’aumento dei prezzi, non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari e che nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità ma non la qualità del loro cibo.
Ritorna anche il cooking time sperimentato in lockdown; si passa più tempo nella preparazione dei pasti e ci si impegna a sperimentare nuovi piatti. Ma forse la maggiore evidenza del nuovo valore assegnato al cibo dagli italiani è il sorprendente mancato ricorso a un netto downgrading degli acquisti (-0,1% di effetto mix negativo nel primo semestre) che invece è stata la prima risposta alle difficoltà nelle precedenti crisi economiche. È probabile che, con il peggiorare della situazione, gli italiani vi faranno nuovamente ricorso, ma attualmente il carrello non è più la miniera da cui attingere per finanziare altri consumi bensì un fortino da proteggere. Forse è questa una delle principali eredità del post pandemia.
Al tempo stesso il cibo a cui non si intende rinunciare pare essere soprattutto quello più sobrio e basico, senza orpelli e sovrastrutture; l’italianità e la sostenibilità sono gli elementi imprescindibili che erodono mercato ad altre caratteristiche in passato più ricercate.
Così compaiono meno sulle tavole i cibi etnici, le varie tipologie di senza (senza glutine, senza etc), i cibi pronti e anche il bio pare subire una battuta d’arresto.