Il Rapporto Coop 2012 “Consumi & Distribuzione”

Presentato a settembre  il Rapporto Coop 2012 “Consumi & Distribuzione” redatto dall’ Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Ref. Ricerche e il supporto d’analisi di Nielsen. Di seguito un'ampia sintesi.

Annus horribilis per l’intera area euro, nel 2012 l'Italia soffre di più: se nel 2007 il reddito procapite degli italiani era pari al 91% di quello tedesco, nel 2011 siamo scesi all’84% e l’andamento dei redditi rispecchia inevitabilmente la perdita di posizioni del nostro Paese in termini di sviluppo.

Spazzata via l’immagine degli italiani risparmiatori: il 25% delle famiglie è costretto a indebitarsi pur di andare avanti.
E anche l’immagine dell’Italia come paese gaudente stenta a mantenersi in piedi: nel confronto europeo gli italiani danno un giudizio appena sufficiente della loro felicità (6,1 mentre in Francia il dato raggiunge il 7, in Germania 6,7, nel Regno Unito 6,9, e meglio di noi anche la Spagna 6,5) e anche a parità di reddito, sono più infelici di molti altri paesi. L’Italia è invece sempre più il Paese delle differenze: un decimo degli italiani detiene quasi metà della ricchezza del Paese (esattamente il 46% pari a circa 8 volte il reddito disponibile e rappresentata prevalentemente da abitazioni) e convive con il 30% più povero che si accontenta dell’1% della ricchezza netta totale.
E sul fronte del consumo l’Italia degli status symbol (belle auto, bei vestiti, buon cibo) lascia il posto all’Italia della nuova austerità dove la spesa intelligente non basta più. E’ arrivato il tempo delle rinunce. A crescere solo il commercio on line.
COOP: “Su uno scenario negativo che interessa tutta Europa si colgono le avvisaglie di una ulteriore tempesta in arrivo per il 2013 con un’inflazione in crescita che potrebbe raggiungere i livelli del 2007/2008.
Già registriamo rincari dei listini che sfiorano il 5%, un dato che si aggiunge alla perdita dì acquisto dei consumi degli italiani. Si presenta così una situazione insostenibile per la distribuzione moderna che fino ad ora ha assorbito gran parte dell’inflazione (fissando a 100 il livello dei prezzi nel 2000, Coop negli ultimi 11 anni ha fatto risparmiare agli italiani 14 punti percentuali -indice Istat pari a 132 e indice Coop fermo a 118).
Di fronte a un mutamento strutturale dei consumi è però necessario un cambio di prospettiva; inderogabile un patto anti-inflazione concordato tra Governo e imprese dell'industria e della distribuzione che ha lo scopo di neutralizzare in tutto e almeno in parte i rtincari incombenti e che aiuti i 20 milioni di famiglie italiane a reddito medio basso e medio maggiormente colpite.”.

Il Rapporto quest’anno per la prima volta in versione e-book interattiva, illustrato da Enrico Migliavacca, vicepresidente vicario Ancc-Coop e da Vincenzo Tassinari presidente del Consiglio di Gestione di Coop Italia, fotografa lo stato di salute dei consumi nel nostro Paese inserito in un contesto europeo e internazionale e i cambiamenti apportati dalle famiglie ai loro comportamenti d’acquisto.

I peggiori e i più infelici in Europa Il 2012 rappresenta per le famiglie italiane un momento difficilissimo, il peggiore dal dopoguerra e il quadro purtroppo non sembra destinato a mutare. Almeno a breve. Se è vero infatti che l’impatto complessivo delle manovre varate a distanza ravvicinata dal Governo tecnico di Monti e dal suo precedente, in maniera diretta e indiretta, già squilibra in senso negativo i conti delle famiglie sfiorando i 3.000 euro, è altrettanto vero che ancora nel 2014 l’ondata complessiva delle manovre raggiungerà il tetto di 4000 euro a famiglia. La stretta fiscale da un lato e la recessione dall’altro rappresentano un binomio micidiale per far quadrare i bilanci e di conseguenza non si può ipotizzare una ripresa della capacità di spesa prima del 2014. In Italia non c’è molto da ridere come del resto in tutta Europa (dove lo scenario di crisi oramai sfiora anche la solida Germania), ma da noi sicuramente si soffre di più. Infatti negli ultimi anni la forbice fra i redditi delle famiglie europee è tornata a aprirsi con Francia e Germania che hanno incrementato le distanze rispetto a Italia e Spagna.
Così se nel 2007 il reddito procapite degli italiani era pari al 91% di quello tedesco, nel 2011 siamo scesi all’84% e l’andamento dei redditi rispecchia inevitabilmente la perdita di posizioni del nostro Paese in termini di sviluppo. D’altro canto per cercare di mantenere inalterati o cambiare di poco i livelli di consumo, gli italiani hanno fatto registrare dal 2008 all’anno scorso una caduta del tasso di risparmio che rappresenta un caso unico nel panorama internazionale e spazza via l’immagine di Italia paese di risparmiatori. Il 25% delle famiglie è costretto a indebitarsi pur di andare avanti. E malgrado questo il 63% delle famiglie italiane (sei su 10 in difficoltà a arrivare a fine mese) dichiara di essere in difficoltà economica.
Che poi il sentiment degli italiani e degli europei volga ormai decisamente al peggio anche per gli anni a venire lo rivela anche il fatto che solo il 17% degli europei (il 18% degli italiani fino a arrivare al 10 dei tedeschi e al 5 dei francesi) è convinto che la prossima generazione avrà una vita migliore della nostra. E spostando l’attenzione sul versante del lavoro, la percezione sulla possibilità di trovarne uno nuovo nel caso si perda quello vecchio è molto diversa da Paese a Paese. Se il 46% degli occupati Ue ritiene probabile poter trovare un nuovo lavoro entro sei mesi dalla perdita del precedente (in Germania l’asticella sale al 57%), in Italia crede a questa eventualità solo un quinto degli occupati (pari al 24%), persino peggio della Spagna che pure presenta un tasso di disoccupazione di gran lunga più alto di quello italiano.
Gli italiani a conti fatti non sono più un popolo gaudente come qualche anno fa e sono appena soddisfatti del loro benessere (danno un giudizio appena sufficiente alla loro felicità 6,1, nel 2007 era pari a 7). L’Italia è il paese meno felice tra i grandi paesi europei (Francia 7, Germania 6,7, Regno Unito 6,9, persino Spagna 6,5) . Le difficoltà economiche dovute alla crisi sono certamente alla base di questo peggioramento. Ma la crisi non giustifica tutto: paesi molto meno ricchi dell’Italia (Slovenia, Repubblica Ceca tra gli altri) hanno livelli di felicità percepita più alta di quella del nostro paese. I divari sociali, l’età che avanza, l’assenza di figli, frenano la percezione di benessere delle persone. Nonostante le difficoltà, ad esempio, sono i giovani ad essere quelli più felici tra gli italiani. E le famiglie con figli minori. In generale, è forse l’assenza di un futuro condiviso del Paese che ingrigisce gli umori degli italiani e ne limita la felicità. Basti dire che anche le famiglie più ricche non dichiarano un livello di felicità di molto superiore a quello delle famiglie povere.

Il Paese delle differenze L’Italia è invece sempre più un paese spaccato a metà dove i divari sociali, ma anche di genere, di età, territoriali si acuiscono. Ed è anche per questo un Paese in difficoltà se è vero che le disuguaglianze, i privilegi e le posizioni di rendita costituiscono freni per la ripartenza. Un decimo degli italiani detiene quasi metà della ricchezza del Paese (esattamente il 46% pari a circa 8 volte il reddito disponibile e rappresentata prevalentemente da abitazioni) e convive con il 30% più povero che si accontenta dell’1% della ricchezza netta totale. Da un lato ci sono i giovani su cui si scaricano i costi della crisi sintetizzata da un tasso di disoccupazione che oramai supera il 30% ed è in continua crescita a fronte di un manipolo di lavoratori più anziani e più tutelati. E il sud si distacca sempre più dal nord. Nel Meridione sono basso spendenti 4 famiglie su 10 e spostandosi lungo lo stivale la spesa media fa registrare uno scarto di circa il 20% tra nord e centro per raggiungere il picco del 33% fra nord e sud e isole (in termini monetari la spesa media sfiora i 2500 euro al mese al nord e arriva a fatica ai 1600 al sud).

Gli italiani sul divano di casa, eterni Peter Pan Se con un’immagine si dovesse fotografare l’italiano di oggi bisognerebbe immortalarlo sul divano di casa propria dove, forse anche per ammortizzare il forte incremento dei costi della casa cresciuti negli ultimi 5 anni del 5% (al netto dell’inflazione), si consola con le nuove tv a schermo piatto comprate negli ultimi anni (benché nell’ultimo anno anche queste vendite siano in calo nell’ultimo anno) approfittando dell’offerta della payperview e delle nuove proposte tematiche (gratuite) del digitale terrestre (l’audience televisiva cresce del 12% in 2 anni).
Diminuiscono infatti le serate al cinema (-16% gli spettatori nel primo semestre) e a teatro. Sul divano di casa poi la tv si sovrappone all’utilizzo di internet. La continua crescita di smartphone e tablet incrementa il numero degli italiani connessi ed il tempo impiegato a navigare. In questa specie di autarchia domestica, gli italiani vivono una eterna giovinezza e pensano di non invecchiare mai. I nostri concittadini si considerano adulti non prima dei 47 anni (la media Ue è 42) e vecchi non prima dei 68 (64 nell’Ue).

È pur vero che al mondo solo svizzeri, australiani e giapponesi sono (di poco) più longevi di noi. Ma l’eterna giovinezza produce inevitabili contraccolpi: gli italiani non riescono a fare figli, rimangono spesso soli (un quarto le famiglie monocomponente, la maggioranza di anziani soli) confinati in famiglie sempre più piccole e parcellizzate e la sindrome da Peter Pan degli adulti ruba spazio a chi è veramente giovane, che rimane bambino e non riesce ad avere cittadinanza nel paese. Peraltro, la riduzione dei nuclei familiari impone di far fronte a costi abitativi crescenti e non consente di dividere tra più individui i costi fissi della famiglia che in qualche caso diventano soverchianti. L’incidenza del costo della casa (mutui, affitti e utenze) sul totale dei consumi cresce del 2,2% e si riducono di converso i costi per l’arredamento e gli elettrodomestici.

Gli acrobati della spesa In questa generale rivisitazione del proprio modello di consumo, a essere sacrificate sono dunque le voci di spesa più grandi e quelle dove i prezzi crescevano con più rapidità. Tra queste anche l’auto. Nel 2012 saranno immatricolate circa 1,4 milioni di nuove auto, oltre un milione di meno di quelle comprate dagli italiani nel 2007 prima dell’inizio della crisi. Ovvero come nel 1979. Se proprio si deve andare allora meglio ricorrere al volo (probabilmente grazie al low cost): i viaggiatori aerei infatti sono aumentati del 30% rispetto al 2005. D’altro canto i consumi divengono sempre più immateriali e oramai il 52% della spesa si concentra sui servizi e non sui beni fisici (servizi peraltro quasi sempre obbligati come le spese per l’abitazione e le utenze). I prodotti alimentari pesano solo per il 14% del totale della spesa e peggio stanno i beni durevoli a cui viene destinato solo l’8% del budget familiare.
Si risparmia su tutto anche nella triade che un tempo caratterizzava la fisionomia dell’italiano medio se paragonato ai vicini d’oltralpe: auto (di cui abbiamo detto), abbigliamento, cibo. L’immagine dell’italiano ben vestito e bel calzato vien meno (a parte il biennio 2006-2007 negli ultimi dieci anni la variazione è sempre stata negativa), così come il mito dell’italiano gourmet che ama mangiare fuori casa inizia a traballare, e a crescere nella ristorazione è solo il take away (ancora una volta si mangia dentro le mura di casa propria), ma nonostante o forse in virtù dell’inerzia gli italiani sono anche un popolo perennemente a dieta, alla ricerca di un peso perduto (il 57% è in sovrappeso e il 46 sta cercando di perderlo) D’altra parte la spending review degli italiani era già iniziata da un decennio negli acquisti di largo consumo. Anzi, la grande distribuzione è stata negli ultimi anni la palestra dove gli italiani hanno imparato a comprare al meglio difendendo qualità e valori.
 
Peraltro, oggi le strategie di risparmio come il fare la spesa più frequentemente per non creare troppe riserve, il ricorso alla privale label e alla promozione non bastano più (anche se nell’anno in corso grazie alle strategie di risparmio e a parità di volumi acquistati gli italiani hanno risparmiato un milione di euro); si è come dire raschiato il barile ed è arrivato il tempo della rinuncia vera e propria tanto che per la prima volta si assiste a una contrazione reale degli acquisti (-1,4% a volume nella gdo nei primi sei mesi del 2012).
Ma il taglio degli acquisti non vuol dire automaticamente una diminuzione dei consumi se è vero che ancora oggi si butta via l’8% dei prodotti alimentari acquistati. Anzi sembra proprio che gli italiani abbiano tagliato gli sprechi e si fa attenzione al superfluo. Calano infatti gli acquisti di pane, degli snack fuori pasto, delle bevande e dei prodotti per l’igiene della casa. Proprio quei segmenti dove un consumo più attento permette di limitare gli sprechi. L’elenco dei prodotti top ten, ovvero quelli che hanno fatto registrare nel corso dell’anno maggior gradimento, include in larga parte generi alimentari in assortimento presso i banchi del fresco come carni, salumi e formaggi, specie se affettati o grattugiati, cioè ad alto livello di servizio.
Si stringe la cinghia invece sui generi di conforto (una debacle il vino, le merendine) e a guardare fra i carrelli continuano a segnare andamenti positivi i prodotti salutistici (+3% nell’ultimo anno e +26% dal 2007), il bio (+10% nei primi sei mesi di quest’anno) il pronto (+2% nell’ultimo anno e +28% dal 2007), mentre cedono gli acquisti complessivi del largo consumo (la variazione in negativo è prossima all’1,4%). Fa meglio della media il carrello basic che raccoglie l’ingredientistica e i prodotti di base della cucina, a riprova del fatto che si torna alle preparazioni domestiche. In realtà a segnare un +20%, che ha del miracoloso in tempi di crisi, è solo il carrello on-line: gli italiani sono sempre più internauti (sono on line i 3/4 della popolazione) e il fatturato delle vendite ha raggiunto complessivamente i 19 miliardi di euro nel 2011, a questi tassi di crescita potrebbe avvicinarsi quest’anno alla soglia dei 25 miliardi (il 2,5% del totale dei consumi degli italiani).

Regge la filiera alimentare. La Gdo si ristruttura Nelle grandi difficoltà di Fabbrica Italia tengono i livelli produttivi della filiera alimentare. Se infatti molte componenti della manifattura italiana hanno visto decrescere con la crisi i livelli produttivi di valori anche di molto superiori al 20% (auto -34%, arredamento -27% abbigliamento -23% per citarne alcuni), l’industria alimentare ha avuto una riduzione del 3,5% e l’agricoltura nel 2011 si mantiene su livelli pressocchè simili a quelli del 2007 (-1%) e addirittura superiori a quelli del 2010.
Alla tenuta dei livelli produttivi si sommano i buoni risultati di bilancio dell’industria alimentare. L’Ebit dell’industria alimentare italiana si posiziona sui livelli medi europei e cresce dal 4,3% del 2007 al 4,6% del 2011. Un livello più che doppio rispetto al dato della distribuzione al dettaglio italiana (3,1% nel 2007 e 2,4% nel 2011) rimasta schiacciata tra gli incrementi di prezzo dell’industria e le difficoltà del consumatore finale.
Dal 2008 al 2012 i prezzi industriali in Italia sono cresciuti del 6,5% in più rispetto a quelli al consumo. L’unico paese in Europa. Non è un caso infatti che si sia arrestato lo sviluppo della Gdo (+0,9% le superfici nel primo semestre) e non è escluso che a fine anno il settore non sperimenti la prima riduzione dell’area di vendita della sua storia. Peraltro, al fianco delle ancora numerose aperture (soprattutto di discount e superstore) sono sempre più in crescita la chiusure (soprattutto i pdv sotto gli 800 mq) e le ristrutturazioni. Solo il 50% della attuale rete di vendita è uguale a quello presente nel 2008.

Gli andamenti di Coop e le previsioni per il 2013 “Coop con i suoi 7 milioni e 700.000 soci e i 12 milioni di consumatori abituali non può non risentire della generale crisi economica, ma nonostante il contesto fortemente sfavorevole, segna, nei primi 8 mesi del 2012, un incremento delle vendite del +1,1% (tenuto conto della dinamica particolarmente critica dei consumi non alimentari) - dichiara Vincenzo Tassinari, presidente Consiglio di Gestione di Coop Italia- e ipotizziamo comunque di chiudere l’anno con vendite pari a 13,2 miliardi di euro. Un dato non scontato perché il mercato presenta andamenti ancora molto critici, in particolare al sud Italia (-5% il trend a volumi). In realtà è tutta l’Europa a registrare un peggioramento a dimostrazione di come si faccia sentire la mancanza di un vero governo delle politiche economiche e monetarie europee finalizzato alla ripresa economica e dei consumi.
Cosa ancora più preoccupante se guardiamo al prossimo anno. Le previsioni Coop parlano chiaro: i consumi di beni alimentari e non continueranno a flettere ( 2013 vs 2012: -0.9 food e - 3,0 non food), su una base 2012 già in significativa contrazione ( 2012 vs 2011 -1.5 food e - 5,9 non food la stima di chiusura fine anno). Cogliamo le avvisaglie di una nuova tempesta in arrivo che farà ritornare l’inflazione ai livelli del 2007/2008. Già assistiamo a una decisa richiesta di crescita dei prezzi alimentari, ciò a causa degli aumenti in essere di materie prime di rilievo quali cereali (i rincari in questo settore sfiorano il 50%), latticini, petrolio che impatteranno pesantemente sui costi di produzione industriali e zootecnici (le richieste di aumento dei listini che stanno pervenendo raggiungono il 4,9%).

Queste richieste ricadrtanno sulle famniglie italiane per un aggravio pari a circ a400 eurioo famiglia sommmandisi alle manovre in corso e proivocherranoi contraccolpi sull a distribuzione moderna che in questi anni di crisi ha assorbito gran parte dell’inflazione, cercando di venire incontro ad un consumatore sempre più bisognoso a contenere la propria spesa (fissando a 100 il livello dei prezzi nel 2000, Coop negli ultimi 11 anni ha fatto risparmiare ai consumatori italiani 14 punti percentuali -indice Istat pari a 132 e indice Coop fermo a 118). La situazione che si presenta nel 2013 dunque può diventare insostenibile. Occorre tenere di conto che negli ultimi anni la redditività del settore distributivo è peggiorata e i recenti provvedimenti normativi (art. 62) relativi ai rapporti contrattuali tra industria e distribuzione aggraveranno la situazione.

Si paventa uno scenario di severa selezione delle imprese distributive non esenti da rischi di chiusura con conseguenti impatti negativi sugli investimenti, tenuto conto che gli investimenti della distribuzione moderna sono di circa 3,5 miliardi di euro all’anno, e sull’occupazione”. “Calano i consumi e al tempo stesso si modificano strutturalmente anche gli stili di vita delle persone -continua Tassinari- In un tale scenario è indispensabile una nuova progettualità nei rapporti fra i diversi attori della filiera e come leader della distribuzione moderna ci rivolgiamo alla grande industria a cui proponiamo relazioni più innovative, più trasparenti, semplificate e corrispondenti a criteri di rispetto della reciprocità, ma anche di compartecipazione alla difesa del potere d’acquisto delle famiglie.

Mentre con il mondo agricolo vogliamo continuare nel 2013 sul solco della collaborazione già avviata con nuove importanti esperienze per una filiera che garantisca prodotti 100% italiani di qualità, con un prezzo equo per il cliente finale e una giusta remunerazione del lavoro di tutti gli operatori. Inderogabile un patto anti-inflazione concordato tra Governo e imprese dell'industria e della distribuzione che ha lo scopo di neutralizzare in tutto e almeno in parte i rincari incombenti e che aiuti i 20 milioni di famiglie italiane a reddito medio basso e medio maggiormente colpite. Al tempo stesso occorre un impegno congiunto del sistema imprenditoriale (industria e distribuzione) nel cambiare vecchi modelli e cattive pratiche nell’interesse del consumatore. Noi di Coop continuiamo ad essere in prima linea a fianco dei consumatori e con coraggio, visti i tempi, confermiamo i nostri investimenti e il nostro piano di sviluppo (400 milioni di euro di investimento per l’apertura di 72 nuovi punti vendita nel triennio 2012/2014)”.

La versione integrale del Rapporto Coop 2012 è scaricabile dal sito www-e-coop.it
 

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