Da piatto pronto a convenience food

Abitudini, cifre e tendenze legate al cibo confezionato ad alto contenuto di servizio. Approfondimenti sul mercato italiano e sugli ampi margini di sviluppo previsti, di cui l’industria del packaging potrà  beneficiare. Barbara Iascone


Cibi pronti per essere mangiati, con o senza una veloce preparazione: già pronti all’uso, quindi, o semi pronti (solo da riscaldare, ad esempio) o, ancora surgelati di cui ultimare la cottura.
Ampiamente diffusi all’estero da molto tempo, i convenience food si stanno imponendo anche sul mercato italiano, in prevalenza presso la grande distribuzione ma anche tramite le gastronomie e, da ultimo, tramite gli acquisti online in forte ascesa. 
In Italia il fenomeno si è affermato anzitutto per sostituire il “solito panino” della pausa pranzo con un cibo considerato più sano e gustoso, e anche più economico se confrontato con il pranzo consumato al ristorante.
All’estero, il fenomeno è invece più ampio e coinvolge anche le abitudini domestiche: secondo alcune analisi relative al centro e nord Europa, infatti, solo in una casa su tre si cucina tutti i giorni.
In tempi molto recenti, il ricorso ai piatti pronti si è anche legato in qualche modo alla crisi economica. È il caso, per esempio, della Germania, dove la riduzione dei consumi ha portato le persone a sostituire con maggior frequenza  le cene al ristorante a favore di importanti quantità di cibi pronti o più spesso semi pronti da consumarsi a casa.

In Italia: fenomeno in espansione
Il target più significativo per il convenience food resta comunque quello dei single sebbene, nel caso dei “ready to eat”, non sia da sottovalutare il “fattore curiosità” soprattutto nei confronti di cibi etnici, difficili da preparare ma ormai ampiamente disponibili anche nel nostro Paese. Basti pensare che, nel 2017, il solo consumo di sushi è aumentato di quasi il 50%.
La gamma di prodotti convenience è ampia e diversificata (dall’antipasto al  dessert).
Come ogni nuovo mercato in fase di sviluppo, presenta tassi di crescita a due cifre: nel 2017 in Italia la crescita a volume dovrebbe assestarsi intorno al 12%, che diventa 15% se guardiamo il trend a valore.
Come spesso accade in fatto di cibo, nel nostro Paese il mercato dei piatti pronti ha caratteristiche a sé: gli italiani, in questo, non si smentiscono e chiedono qualità elevata, un’ampia varietà - che rispetti e rispecchi le abitudini della dieta mediterranea - e cibo sano.
Si consideri che secondo lo studio Nomisma “Tendenze internazionali nel mercato della IV gamma”, l’Italia è il paese dell’Unione Europea con il consumo pro-capite più alto di fresh cut (frutta e verdura lavata e tagliata): 1,6 kg all’anno (poco meno del 3% sul totale delle vendite di ortaggi) contro 1,4 kg in UK e 0,5 kg in Germania.
Nel 2017 in Italia sono state confezionate 12.647 t/000 di prodotti convenience, con un 80% imputabile ai primi piatti compresi quelli surgelati, primi piatti etnici e zuppe. Il 12,7% è rappresentato dall’ortofrutta IV e V gamma (insalate, macedonie, verdure cotte, ecc.). I prodotti ittici freschi comprendono sia antipasti sia secondi piatti - da questa voce è escluso il sushi - e rappresentano l’1,3%.
Alla voce surgelati (1%) sono incluse le pizze, mentre nella voce “altro” (5% dell’intera gamma convenience food) sono comprese varie preparazioni a base carne (vitello tonnato, polpette, spezzatini vari, ecc.) torte salate, sushi e dessert.

Il packaging adatto
Dato che questi cibi sono ad alto contenuto di servizio, anche il confezionamento non può essere da meno (il cibo deve essere conservato in modo ottimale, nel rispetto delle qualità organolettiche e della shelf life, chepuò andare da un giorno a diversi mesi, come nel caso dei surgelati).
Analizzando la Banca Dati dell’Istituto Italiano imballaggio, si evince che per quest’area di mercato, nel 2017, sono state prodotte circa 473.000 tonnellate di packaging primario.
Se aggiungiamo il secondario, ovvero gli astucci di cartoncino utilizzati in prevalenza nell’area surgelati, arriviamo a 480.000 tonnellate.
Per quanto riguarda l’imballaggio a diretto contatto con il prodotto, è di totale appannaggio della plastica: le tipologie utilizzate sono infatti le vaschette in   PET e/o polistirolo (85%) e le buste e vaschette in poliaccoppiato flessibile (15%).
Il totale degli imballaggi utilizzati per confezionare i prodotti dell’area convenience food (vaschette e buste) rappresenta il 34% circa della totalità degli imballaggi di plastica utilizzati nel settore alimentare (escluso bevande).

Vaschette. Sono in prevalenza realizzate in PET, ma troviamo anche vaschette in materiale accoppiato flessibile da converter: destinate a varie tipologie di prodotti, hanno la caratteristica di essere stampabili e di avere uno spessore non superiore ai 0,2 millimetri.

Buste. Sono realizzate in accoppiato flessibile da converter e vengono impiegate per confezionare i prodotti di IV gamma dell’ortofrutta.

Chiusure. Utilizzate sulle vaschette dei prodotti pronti, sono realizzate per il  90% con una pellicola in materiale accoppiato flessibile da converter e vengono termosaldate alla vaschetta. Permettono di conservare i prodotti con una shelf life superiore alle 48 ore e tutti i cibi confezionati in atmosfera modificata.
In tutti gli altri casi può essere utilizzata una pellicola di plastica oppure un coperchio dello stesso materiale della vaschetta.                                                     

Barbara Iascone
Istituto Italiano Imballaggio

 

 

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