Anni da cabaret

L'editoriale di Stefano Lavorini.

Era meglio morire da piccoli/ suicidarsi col cavaturaccioli/ soffocarsi con tanti batuffoli/ che vedere ‘sto schifo da grandi/…
Canzoncina stupida*, lo ammetto, ripresa, tra l’altro in mille varianti dall’attore comico Paolo Rossi. Nel suo libro “Era meglio morire da piccoli?”, Rossi sottolinea di aver voluto aggiungere un punto interrogativo nel titolo per rispondere a un dubbio: «È proprio giusto che dobbiamo lasciar vivere “loro” e andarcene noi che, oltretutto, abbiamo ragione?». Stupida, si… ma mi ha spinto a riflettere.

Un sorriso può aggiungere Un filo alla trama Brevissima della vita
Laurence Sterne

Mala tempora currunt… e che non si tratti di curiosità da bibliofili, lo prova la cronaca di questi giorni, che fanno scrivere a Maurizio Crosetti**: «Che ridere questa realtà, quanta tristezza. E che personaggetti, che omuncoli, che donnicciuole. Persino un gigante della satira come Altan confessa di non reggere più il confronto con la cronaca, assai più grottesca di qualunque fantasia».

Toccante, al riguardo, un altro pensiero di Altan: «La satira è uno strumento spuntato, non fa più paura a nessuno. E comunque io disegno per comunicare uno sguardo, per condividere una visione del mondo. Col mio lavoro mi basterebbe avere attenuato un po’ di solitudine».
È sottinteso, almeno per me, che ciò che oggi sconcerta in politica non siano le ambizioni smisurate bensì quelle modeste.

Eppure imitazioni e commenti taglienti sugli eventi di attualità continuano ad andare per la maggiore. Viene il sospetto che, più che per ridere, la satira sia buona per non piangere e per arrivare almeno a sfiorare l’essenza della realtà delle cose. Come non ricordare - sempre di Altan - una delle storiche battute chiave per capire gli italiani: «Chi sarà il mandante di tutte le cazzate che dico?».
Oppure Giuseppe Pontiggia che scrive: «I fanatici non sono gli unici convinti di possedere la verità (quasi tutti ne sono conviti), sono solo i più terrorizzati di perderla».

D’altronde, è la stupidità collettiva a essere il vero territorio della satira. Viviamo in un mondo di caricature viventi, ma soprattutto, come ebbe a dire Michele Serra qualche anno addietro: «Più gli anni passano, più mi rendo conto di qualcosa che, da giovane, non avevo messo nel conto. La Parodia è già incorporata nel Modello, così come il comico è già contenuto nel tragico».

Più di recente, nella prefazione del libro “Ballate dei tempi che corrono” firmato con Altan, Serra definisce questo genere caratterizzato dall’attenzione critica ai vari aspetti della società: «La satira attinge dall’indecente e dal mostruoso buona parte della sua ispirazione. Evita le tirate moraliste, si limita a mettere a fuoco un meccanismo e a deformarlo quanto basta per farlo saltare».

Certo, si potrebbe usare ben altro registro per descrivere il nostro tempo. Ad esempio: «L’onesto uso della memoria è il più valido antidoto all’imbarbarimento. E lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un uso onesto che, in quanto tale, presuppone non ci si rivolga al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. Anzi, semmai, per individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o a mettere a registro quel che pensiamo adesso». Come non essere d’accordo con queste parole di Paolo Mieli***?

Guardiamoci intorno. La cronaca non lascia spazio a dubbi e parafrasando ancora una volta Altan: «Potrebbe andare peggio?». «Purtroppo si».

* Paolo Rossi, “Era meglio morire da piccoli?”, Baldini & Castoldi, 1995.
** Maurizio Crosetti, “Altan: Con Sangiuliano siamo alla comica finale. Ma c’è poco da ridere”, la Repubblica, 7 settembre 2024.
*** Paolo Mieli, “L’arma della memoria. Contro la reinvenzione del passato”, Rizzoli, 2015.

Credits: Maschere tragica e comica. Mosaico del I secolo a.C. (Musei Capitolini)
https://commons.wikimedia.org

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