Non per bontà, ma almeno per convenienza
L'editoriale di Stefano Lavorini.
«In giro si vedono assuefazione, ossessione e finta trasgressione, ma pochissima passione. Ormai sembra che la vita si possa affrontare soltanto così: con disincanto, cinismo e sarcasmo, il fratello sgraziato dell’ironia. Ci si definisce in contrapposizione a chi si odia e si chiamano passioni i propri pregiudizi».
Folgorante e impietoso quello che scrive Massimo Gramellini sul Corriere della Sera del 7 marzo! Disorientante, poi, se lo trasferisco al tema del rapporto tra imballaggio e sostenibilità, ormai pervasivo nel nostro mondo.
Per fortuna la realtà è fatta anche da persone che, all’opposto, dimostrano nei fatti determinazione e (buona) volontà. Anzi, allargando la prospettiva sembrerebbe - se ne discorre da tempo - che il capitalismo stia cambiando pelle, puntando non solo al profitto ma anche ad azioni responsabili nei confronti dell'ambiente, delle future generazioni e di tutti gli stakeholder, compresi fornitori e lavoratori.
La "dittatura" degli azionisti è ancora dominante (vedi il taglio di migliaia di posti di lavoro attuato dagli oligopolisti del web per rincorrere i target finanziari che si sono dati) ma, nel mondo reale - quello analogico, fatto di persone - le cose sembrano andare non di rado in altra direzione rispetto al capitalismo di scala planetaria, ormai affrancato da qualsiasi vincolo politico e giuridico.
Con un po’ di attenzione, infatti, si scoprono sempre più aziende che:
- adottano un Codice Etico di comportamento, che obbliga proprietà e lavoratori;
- redigono con continuità un Bilancio di sostenibilità;
- cambiano forma giuridica d’impresa in “società Benefit”, dichiarando come parte integrante nel proprio statuto uno scopo sociale e scegliendo così volontariamente e formalmente di produrre benefici di carattere sia sociale sia ambientale mentre raggiungono i propri risultati di profitto;
- che si certificano B-Corp, scegliendo di affidarsi a un ente esterno indipendente per misurare gli impatti ambientali, sociali ed economici generati.
Forse stiamo arrivando a capire che certi comportamenti, che dipendono solo dalla nostra volontà, ci convengono, sono utili, insomma sono buoni. Anche se con parecchi limiti, in fondo, siamo ancora e sempre liberi di reagire a quanto ci succede, facendo delle scelte.
“Todo cambia”, cantava la cantora popular Mercedes Sosa, e così di fronte alle crescenti disuguaglianze che stanno mettendo a rischio la tenuta delle democrazie liberali, si sentono echi che parlano di "capitalismo etico", di un modello economico che cerca di conciliare la creazione di valore economico con l'attenzione a principi etici e morali, come la responsabilità sociale, la sostenibilità ambientale e il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Sono echi, perché in Italia, imprenditori come Adriano Olivetti, con il suo progetto di riforma sociale in senso comunitario, articolato attorno all’identità tra progresso materiale, efficienza tecnica ed etica della responsabilità, aveva per molti versi anticipato una visione del mondo che oggi facciamo ancora fatica a pensare e fors’anche ci “vergogniamo” di pronunciare.
Questo mutamento di prospettiva in direzione di un’economia sostenibile, attenta all’interesse collettivo, al momento è ancora più o meno condiviso, ma non per questo deve essere sottovalutato, perché… Perché esistono ottime ragioni affinché questo cambiamento si avvii, se non per bontà per convenienza.