Pensare positivo, si può

Riportiamo un ampio stralcio della relazione presentata da Andrea Bianchi (Direttore Politiche industriali di Confindustria) al convegno organizzato dalla Federazione della Carta e della Grafica. Attenzione all’Industry 4.0 come dimensione culturale oltre che tecnologica, una sfida a cui il sistema produttivo nazionale non si sta sottraendo.

FABBRICA_4.0.jpg…Con forse un tocco di enfasi, tipico degli economisti nel corso degli ultimi anni, la rivoluzione digitale - in sostanza l’applicazione di tecnologie digitali alla produzione industriale - viene raccontata come la quarta rivoluzione industriale. In realtà, potremmo dire che si tratta di un’evoluzione della terza rivoluzione, quella caratterizzata dalla grande automazione.

Quindi, il “4.0” altro non è che una dimensione, una progressiva trasformazione della precedente. Ciò che in questa fase mi interessa evidenziare è che  la quarta rivoluzione industriale ha caratteristiche decisamente particolari, che la rendono più pervasiva: ecco perché sempre più di frequente diciamo che non si tratta solo di una rivoluzione tecnologica ma anche culturale.

ATTO PRIMO: SUMMA DI TECNOLOGIE
La sua caratteristica principale è, prima di tutto, quella di non avere una sola “tecnologia guida”. Se pensiamo al passato... la scoperta del vapore, l’elettricità, il computer… sono state grandi innovazioni, nuove tecnologie che in qualche modo hanno decretato mutamenti epocali.

Oggi è un “paniere” molto ampio di tecnologie a determinare il cambiamento. Studi recenti  - penso a un’analisi compiuta dal Politecnico di Milano - hanno consentito di ridurre la complessità del panorama fondamentalmente a nove tecnologie chiave, che riguardano una serie di attività aziendali: robot collaborativi interconnessi, la smart Manufacturing che fa riferimento alle stampanti 3D, la realtà aumentata, la simulazione, l’integrazione orizzontale e verticale, l’Industrial-Internet, quindi tutto ciò che riguarda quello che viene definito l’IOT, il Cloud, la Cyber-Security e il Big Data Analytics...

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Nel corso di questi anni sono infatti venute a maturazione una serie di attività di ricerca e sviluppo abbinate, che hanno fatto compiere un salto tecnologico.
Si tratta di tecnologie che hanno raggiunto un livello di maturità tale da poter trovare applicazione in tutti i settori produttivi. Ecco perché l’altra tipicità della quarta rivoluzione industriale è il suo essere fortemente trasversale.

ATTO SECONDO: IL SERVIZIO CAMBIA I MODI DEL BUSINESS
Il secondo elemento di novità particolarmente rilevante nella quarta rivoluzione industriale sta nel fatto che essa modifica in maniera sostanziale non solo il rapporto uomo/macchina e macchina/macchina, ma ha ampie ricadute sul rapporto tra produttore e consumatore.

Non riguarda quindi solo il recupero di efficienza dei processi, ma imprime in alcuni casi un vero e proprio cambiamento del modello di business, tant’è  che, associata ai nuovi paradigmi industriali, assistiamo alla crescente integrazione tra manifattura e servizi.

Spesso associato al tema della rivoluzione digitale troviamo quello della “servitizzazione della produzione”. Ciò significa che, nel momento in cui si compra un prodotto, la componente di servizio inclusa cresce enormemente, tanto da cambiare in modo radicale il modello di business.

Pensiamo ad alcuni settori in cui questi mutamenti sono già in atto, quello della mobilità per esempio: sempre più si andrà verso l’acquisto di un servizio di mobilità “dentro” al quale c’è un’auto, un manufatto… O, ancora, pensiamo alle tradizionali fotocopie: i grandi operatori del comparto stanno vendendo sempre più non la macchina ma il servizio, nel senso che attraverso il collegamento della macchina con la casa madre, se ne paga sostanzialmente l’utilizzo e non l’acquisto.

Questa progressiva integrazione tra il settore dei servizi e il manufatturiero non implica, come si pensava fino a qualche tempo fa, che la manifattura debba essere delocalizzata altrove, bensì che debba rimanere nel Paese, l’Italia nel nostro caso, integrandosi via via con il settore dei servizi.

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ATTO TERZO: LA PRODUZIONE E LA GESTIONE DEI DATI
La terza caratteristica particolarmente rilevante che assocerei all’Industria 4.0 è che nasce un nuovo fattore di produzione, considerata in genere come il ponte tra capitale e lavoro. Nel nuovo paradigma c’è un elemento in più che determina la vita delle imprese, rappresentato dalla capacità di gestire dati e informazioni, che diventa l’elemento essenziale nella competitività dei sistemi produttivi.
Già oggi, via Internet, possiamo acquisire, rispetto al passato, un numero di dati e informazioni infinitamente grande.
Con lo sviluppo dell’IOT, associando sensori ai prodotti, saranno disponibili miliardi di informazioni e il ricorso a tecnologie che fanno riferimento al Cloud (cioè alla possibilità di immagazzinare le informazioni in grandi “fabbriche” che gestiscono i dati), insieme allo sviluppo delle tecnologie di Big Data Analytics, cioè la capacità di elaborare questo numero enorme di dati e informazioni, diventano un elemento essenziale per orientare i processi produttivi e manifatturieri.
In altre parole, ciò che stiamo vivendo, ovvero la nuova fase dell’economia digitale chiamata industria 4.0, è proprio l’utilizzo dei dati e di informazioni all’interno del processo produttivo. E quindi la fabbrica 4.0 è fortemente interconnessa, non solo automatizzata: è una realtà in grado di dialogare con i grandi fornitori di dati, riuscendo a utilizzare in maniera automatica il flusso di informazioni per cambiare il comportamento delle macchine.

CAMBIA L'INDUSTRIA, CAMBIA LA POLITICA
Le tre caratteristiche della quarta rivoluzione industriale hanno già prodotto alcuni cambiamenti sul versante politico: con il nuovo paradigma possiamo dire che la politica economica parta da due assiomi nuovi, o quanto meno rinnovati rispetto al passato.
Il primo elemento che sta emergendo in tutto il mondo è la nuova centralità dell’industria. Fino a qualche anno fa, eravamo abituati a pensare che, ineluttabilmente, l’industria sarebbe dovuta andare nei paesi di recente industrializzazione e che, nei paesi avanzati, avrebbe dovuto svolgere servizi,  ricerca e innovazione. Al contrario, il concetto di fortissima integrazione tra servizi e industria rende necessaria, e nuovamente centrale, l’industria della manifattura anche nei paesi avanzati.

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A mio parere ancora più rilevante è il secondo elemento, di stampo quasi sociologico: la fabbrica riacquista importanza. Non è più un retaggio del passato ma il luogo del futuro “4.0”, dove si incrociano le tecnologie con le competenze. E si incontrano non solo per produrre meglio i prodotti tradizionali ma per sviluppare anche nuovi prodotti che soddisfino i bisogni più complessi (in campo ambientale, per esempio, e in quello della sostenibilità).

BEATI GLI ULTIMI
Molti paesi hanno colto il significato della nuova dimensione della politica industriale, che era stata sostanzialmente abbandonata nel corso degli anni Novanta. A partire dal Duemila, proprio in relazione alla rinnovata centralità della manifattura e all’importanza della fabbrica come luogo del futuro, molti paesi si sono dati precise strategie. Primo fra tutti, la Germania, che già nel 2007 attua la prima strategia sull’innovazione e nel 2011 inventa il nome “Industrie 4.0”, nato da un piano del governo tedesco di quell’anno.
Nello stesso periodo la Gran Bretagna vara il “Catapult Programme”, seguita dalla Francia e dagli Stati Uniti di Obama, che puntano sulla quarta rivoluzione industriale come elemento di recupero delle attività manifatturiere che si erano spostate altrove.
L’Italia è rimasta più indietro rispetto ad altri, nonostante alcune caratteristiche che la dovrebbero rendere particolarmente sensibile al tema. A dispetto della crisi, infatti, il nostro Paese ha ancora un’ampia base manifatturiera: siamo infatti la seconda piattaforma industriale d’Europa dopo la Germania.
Le nostre piccole e medie imprese, per cultura e tradizione, hanno una capacità di personalizzazione del prodotto, e tendono alla ricerca di nicchie di mercato: caratteri, questi, assolutamente coerenti con i criteri dell’evoluzione 4.0.
Abbiamo ben presente anche i nostri punti di debolezza come, in primo luogo, l’assenza di grandi player, il che ha determinato una minor spinta verso i nuovi modelli industriali.
Rispetto a questa situazione è evidente che il Piano presentato dal Governo rappresenta un segnale di discontinuità rispetto al passato, sia dal punto di vista del metodo sia dal punto di vista dei contenuti.

IL PIANO DEL GOVERNO
Dal punto di vista del metodo segnalo che il piano è stato ampiamente condiviso con il sistema delle imprese, il sistema della ricerca e dell’innovazione. In altri termini, il Governo ha messo intorno al tavolo le tre componenti centrali dello sviluppo (il pubblico, l’impresa, la ricerca) per definire insieme una strategia di medio lungo periodo.
Consistente il contributo fornito da Confindustria per la progettazione e la stesura del piano lanciato dal ministro Calenda, preceduto da un’indagine conoscitiva promossa e condotta da una commissione parlamentare.

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I contenuti. Il Piano è innovativo anzitutto perché prevede la convergenza di diversi strumenti: provvedimenti a favore delle imprese, il libero ammortamento, e incentivi inseriti nel contesto di una strategia più ampia. Naturalmente nessuno può pensare che basti comprare una macchina nuova per “fare” la rivoluzione 4.0. Di fatto servono competenze, infrastrutture e serve la finanza. Il Piano si sviluppa fondamentalmente su due “direttrici chiave” - investimenti innovativi e competenze - e due “direttrici di accompagnamento” - infrastrutture abilitanti e strumenti pubblici di supporto.

Confindustria lo ha apprezzato non solo perché fortemente condiviso, ma anche perché parla di politica industriale, con una decisa convergenza di strumenti. Ha avuto una governance con una cabina di regia permanente, dove Confindustria è ben rappresentata. Incontri come quello proposto dalla Federazione della Carta e della Grafica sono fondamentali, non solo perché offrono la possibilità di descrivere i contenuti del Piano ma perché consentono di raccogliere i feedback da riportare all’interno di quella cabina di regia. In altri termini, non si tratta di una “Bibbia” scritta e destinata a rimanere inalterata nel tempo: si tratta di uno strumento vivo e soggetto a potenziali mutamenti. E se oggi parliamo delle prime misure, in seguito dovremmo contribuire come sistema delle imprese a far sì che questo Piano si trasformi in una strategia di riferimento di lungo periodo.

La politica fiscale diventa strumento di politica industriale. Laddove  possibile, il Piano utilizza e finalizza al meglio strumenti che già esistevano (il caso dell’iperammortamento che utilizza lo strumento del superammortamento specializzandolo è un esempio lampante); in altre parole, non si è detto “butto tutto a mare e ricomincio”, ma si è fatta un’analisi degli strumenti che funzionavano (è il caso sulla Sabatini sui contratti di sviluppo)  innestandoli nel nuovo contesto.

L’altra scelta di carattere generale significativa  riguarda gli strumenti fiscali e automatici. Perché questo è molto importante per il nostro sistema delle imprese? Perché uno degli elementi di criticità dei precedenti piani di politica industriale era la lentezza degli strumenti attuativi con la presenza di un costo di transazione tra l’implementazione dello strumento e l’arrivo del finanziamento (un costo di transazione determinato da tempi assolutamente incompatibili con quelli delle imprese).

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Proprio per ovviare a questa situazione, tipica di un approccio fatto per bandi e per incentivi classici e tradizionali, in questo caso si è cercato di piegare strumenti di carattere fiscale (più comprensibili al sistema delle imprese) agli obiettivi di politica industriale, il che rappresenta l’innovazione più significativa.

La riduzione delle tasse che, come sistema dell’impresa abbiamo sempre chiesto, diventa  riduzione delle tasse “selettiva”. I fiscalisti non me ne vogliano, ma a mio parere, il libero ammortamento diventa una sorta di riduzione dell’IRES per quanti fanno investimenti, e in misura ancora maggiore per chi fa investimenti in ottica “4.0”.

Non bisogna barare. Assistiamo dunque a un’innovazione sostanziale anche nella strumentazione utilizzata, con l’obiettivo di ridurre al minimo i costi di transazione nel rapporto tra pubblica amministrazione e imprese.

Chiaramente la leva fiscale è complicata da forzare e piegare agli obiettivi di politica industriale, perché è uno strumento automatico che ha minori controlli burocratici e amministrativi, ma non per questo deve essere soggetta a comportamenti elusivi o opportunistici. Quindi, accanto a una leva fiscale  assolutamente automatica, è necessario introdurre elementi di controllo o, quanto meno, di verifica per determinare che l’utilizzo della leva fiscale sia coerente con gli obiettivi dichiarati. L’altro grande sforzo fatto è stato dunque individuare strumenti innovativi anche dal punto di vista dei controlli.

La norma prevede una forma di certificazione degli investimenti fatti, ma è stato messo in campo anche un altro strumento sul controllo, più tipico del sistema delle imprese, attraverso gli enti accreditati che saranno chiamati a fare delle verifiche.  

La strada giusta. È stato molto importante partire dal sostegno agli investimenti, adottando tra l’altro un approccio al problema del tutto nuovo nel panorama europeo: nessun Paese ha infatti operato questo tipo di scelta per l’attuazione dei propri Piani - chi puntando fondamentalmente sulla ricerca o sull’innovazione, chi sui grandi player - anche perché le altre nazioni, in genere, hanno strutture industriali completamente diverse da quella italiana.

La scelta, per noi, è stata determinata da alcuni dati di fatto: anzitutto, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2015, abbiamo registrato un blocco degli investimenti da parte delle imprese, che ha determinato l’obsolescenza del capitale investito. Secondo recenti analisi, l’età media delle macchine installate presso le imprese italiane ha infatti raggiunto, negli ultimi anni, il livello più alto dal Dopoguerra a oggi.

È quindi evidente che, senza un rinnovamento radicale del parco macchine, sarebbe particolarmente difficile “far nostro” il paradigma 4.0. Pur consapevoli del fatto che è indispensabile investire su competenze e formazione, bisogna anzitutto mettere a punto strumenti finanziari efficaci e, nel medio-lungo termine, potenziare le infrastrutture… in primo luogo la banda larga, senza la quale è impossibile “lavorare” con i dati.

Ma il punto cardine è stato, per noi, la forte spinta alla ripresa degli investimenti, da riqualificare in direzione “4.0”. Per questo motivo Confindustria ha chiesto con determinazione che venisse inserito all’interno del Piano lo strumento dell’iperammortamento che, lo ricordo, prevede un approccio fiscale con un obiettivo molto chiaro di politica industriale.  

Di concerto con le nostre associazioni - Ucimu e Anima in particolare, senza tuttavia dimenticare tutti gli altri rappresentanti dei costruttori macchine - abbiamo messo in campo uno sforzo consistente per meglio definire la macchina “4.0”. Il risultato è una definizione puntuale, creata dal Governo italiano con il contributo straordinario dell’intero sistema industriale, che si sta facendo strada in Europa, tanto che verrà portata all’attenzione della Commissione Europea.

In conclusione, desidero ancora ricordare che la dimensione dell’intervento di sostegno alle imprese è davvero importante: il 250% di ammortamento per l’acquisto di quelle macchine rappresenta lo strumento più potente presente oggi nel panorama europeo.  
Credo quindi che sia stato compiuto uno sforzo collettivo particolarmente rilevante. È evidente che c’è ancora moltissimo da fare e moltissimo da migliorare, ma son convinto che il nostro Paese abbia imboccato la strada giusta, scongiurando un destino di declino.

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