Italiani: più poveri, ma… ancora sereni

Il “Rapporto Coop 2023 - Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”* prospetta più mondi possibili, al momento piuttosto cupi. Il carovita piega i consumi e costringe gli italiani a nuove rinunce che, in parte, toccano anche il cibo. Eppure, ciò a cui gli italiani non rinunciano, è un pacato, ostinato ottimismo.

Emergenze economiche e sociali ancora aperte, venti di guerra, trasformazioni geopolitiche, denatalità, invecchiamento e, non ultimo, il climate change con i suoi 2.300 eventi estremi registrati nel corso del 2022. Quello che viviamo è un tempo incerto, caratterizzato da un “disordine globale” che certamente preoccupa, e che farà segnare una brusca inversione di rotta nelle intenzioni di spesa degli italiani (36% quelli che intendono ridurre i consumi contro solo l’11% che pensa di aumentarli).

Ad appesantire le prospettive, l’eccezionale aumento dell’inflazione che solo nell’ultimo biennio ha abbattuto il potere di acquisto in una misura pari a 6.700 euro procapite, tant’è che solo un intervistato su 4 dichiara di fare la stessa vita di qualche anno fa.

Quanto al lavoro, che sinora sembra esserci (nel 2023 sono 23,5 milioni gli occupati, mai così tanti dal 2008), è un lavoro che “non paga” quanto dovrebbe (il 70% degli occupati dichiara di avere necessità almeno di un’altra mensilità per condurre una vita dignitosa) e ne deriva la tendenza sempre più evidente ad aggiungere lavoro al lavoro come strategia di difesa dal carovita. Eppure, gli italiani continuano a mostrarsi ottimisti, anche se non possono fare altro che convivere con un’economia familiare sempre più soggetta a rinunce quotidiane. Si cerca di contenere gli sprechi, di evitare prodotti non strettamente necessari e si ricorre maggiormente al mercato dell’usato.

Un’imperscrutabile serenità di fondo

La fotografia scattata dal Rapporto Coop 2023 è quella di un Paese certamente inquieto (il 30% si dichiara tale, +6% sul 2022) e con timori crescenti (dal 20% al 32%), ma che complessivamente vede rafforzarsi i sentimenti di fiducia (36%), serenità (29%), accettazione (23%) e aspettativa positiva (28%). Sostenibili e consapevoli, forti di una sorprendente fiducia e una grande serenità d’animo, gli italiani utilizzano con parsimonia i loro risparmi, impegnandosi a lavorare tutti di più senza indulgere in sentimenti di paura, rabbia o rancore. Gli aspetti che maggiormente influiscono su questo clima di ottimismo sono gli affetti e la vita familiare, entrambi segnalati dal 51% degli italiani.

Questo sentiment positivo costituisce certamente uno dei grandi punti di forza del sistema Italia, ma al contempo pone interrogativi circa la sua sostenibilità futura e la possibilità che in realtà si stiano incubando reazioni al momento sopite.

Alcuni comportamenti disfunzionali evidenziano di fatto tutta la fatica quotidiana: non sorprende costatare come 1 italiano su 3 dichiari anche sporadicamente di aver fatto uso di psicofarmaci e 1 su 5 ne faccia un uso più o meno abituale. 2 su 3 coloro che sono impegnati a praticare tecniche per la gestione dello stress, e i farmaci per l’ipertensione, per la gastrite e lo stress svettano in cima alla classifica dei medicinali più venduti.

Ancora ostinatamente ottimisti

Frenano i consumi

Consapevoli di essere diventati più poveri, gli italiani hanno cominciato a tagliare i beni non strettamente necessari. In calo le compravendite immobiliari (-14,5% 2023 su 2022 e in prospettiva sul 2024 -4%), si riducono gli acquisti delle auto nuove e dei beni tecnologici. In particolare, le vendite di smartphone nuovi sono scese del 10% negli ultimi 12 mesi (oltre 1,3 mln di telefoni venduti in meno). L’usato o il ricondizionato sta sostituendo il nuovo (sono 33 milioni gli italiani che nell’anno passato hanno venduto o acquistato beni usati) e le uscite al ristorante durante l’estate si sono diradate. Il 51% degli intervistati dichiara inoltre di essere intenzionato a ridurre il numero di occasioni conviviali fuori casa nei prossimi 12/18 mesi.

Casa auto, telefono, le rinunce sono durevoli

E si risparmia anche sul cibo

Se gli italiani - a differenza degli altri Paesi europei come Regno Unito, Francia, Germania e Spagna – sono disposti a tutto pur di non rinunciare alla qualità del cibo, molti di loro (almeno il 14%) sembrano ora in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che pare non intenda arrestarsi prima dei prossimi due anni. Il 72% dei manager del settore ritiene infatti che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2% prima del 2025).

I carrelli degli italiani cominciano dunque a perdere peso: -3% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e in previsione 2024 su 2023 il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo (-0,5%).

Dopo la riduzione delle quantità acquistate, con l’arrivo dell’autunno i consumatori sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia: la spesa diventa più frequente, la fedeltà al canale di acquisto viene meno. L’Mdd conferma la sua leadership con l’83% dei consumatori che dichiarano di acquistare prodotti a marca del distributore per far fronte all’aumento dei prezzi di cibi e bevande, mentre ben 8 italiani su 10 si dichiarano intenzionati a iniziare ad acquistare (o ad aumentare i propri acquisti) presso i discount. Secondo il 63% degli esperti Food & Beverage, il discount sarà il format che mostrerà la miglior crescita tra tutti i canali distributivi nei prossimi 12/18 mesi.

Cibo tra rinunce e privazioni

A rischio l’identità alimentare

Nell’ultimo anno sono raddoppiati coloro (oramai 1 italiano su 5 soprattutto baby boomers e appartenenti alla lower class) che hanno perso ogni riferimento identitario, abbandonando anche i dettami della cultura alimentare tradizionale, delle tipicità e del territorio.

Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura: -15,2% negli ultimi due anni e, per il 16% degli italiani, si ridurrà ancora. Questa mancata identificazione sembra essere una decisione forzata più che una scelta, e colpisce con maggiore intensità coloro che si identificano nel ceto sociale meno abbiente della società, le regioni del Mezzogiorno e i baby boomers.

Il triste declino dell’identità alimentare

Alimenti sani, vegetali e sugar free

In questa nuova dinamica di consumo, l’interesse sempre crescente degli italiani per uno stile alimentare sano ed equilibrato, sta svolgendo un ruolo significativo. Specie in fasce minoritarie della popolazione, si stanno facendo strada nuove tendenze. I prodotti plant-based stanno registrando vendite in crescita del 9% anno su anno e i prodotti sugar free battono tutti i free from generando ricavi per 623 milioni, un terzo in più rispetto al 2021.

Rilevante anche la presenza nel piatto di prodotti proteici (alimentazione sportiva, frutta secca, bevande salutistiche crescono). Un esempio tangibile è l’incremento del numero di famiglie italiane che acquistano prodotti legati a questa categoria: se nel 2021 erano 6,7 milioni, nel 2022 il numero è salito a 8,1 milioni, segnando un incremento del 20,2%.

L’attenzione al benessere fisico va di pari passo con la tutela del pianeta: già oggi, 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani (hanno ridotto il consumo di carne) e 1,4 sono i cosiddetti climatariani (usano prodotti a basso impatto di CO2).

La nuova era del meatless

La crescente attenzione verso la salute, la consapevolezza dell’impatto ambientale del cibo e la sensibilità verso il benessere degli animali spingono gli italiani verso soluzioni alimentari più sostenibili. Si rafforza in particolare l’interesse per le proteine alternative alla carne.

Oltre alle opzioni a base vegetale ormai ben consolidate (168 milioni di euro nel 2022; +12% rispetto all’anno precedente), gli italiani sembrano sempre più propensi ad esplorare alternative meno tradizionali e si stanno aprendo all’idea di includere nella loro dieta anche la carne coltivata in vitro (il 28% delle preferenze) e la farina di insetti (il 29%). Secondo un recente studio condotto dal Boston Consulting Group, la diffusione di prodotti a base di proteine “alternative” è destinata a registrare crescite sette volte superiori rispetto alla situazione odierna, passando dagli attuali 13 milioni di tonnellate annue, a un volume di 97 milioni di tonnellate entro il 2035.

Pare dunque che sulla tavola di un futuro, nemmeno troppo lontano, della carne tradizionale rimarrà solo il nome.

La frontiera del new meat

NOTA *Il rapporto di cui presentiamo una sintesi, è stato presentato il 7 settembre scorso a Milano. È stato redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto d’analisi di NielsenIQ e i contributi originali di Circana, GS1-Osservatorio Immagino, CSO Servizi, GfK, Mediobanca Ufficio Studi. Anche questa edizione si è avvalsa di due diverse survey ("What’s Up" e “Hybrid Future”) condotte entrambe nella seconda parte dello scorso mese di agosto. La prima ha coinvolto un campione di 1.000 italiani rappresentativo della popolazione over 18 (18-75 anni). La seconda si è rivolta a un panel della community del sito di italiani.coop e ha coinvolto 680 opinion leader e market maker, fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 450 ruoli apicali (amministratori delegati e direttori, imprenditori, liberi professionisti e consulenti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese.

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