| | | | | La legislazione ambientale sul packaging stimola linnovazione, incide sulla produttività, genera costi, influenza i prezzi. Come tradurre le nuove variabili in elementi per un marketing ecologico. Maria Zemira Nociti Come risulta da una recente indagine condotta su oltre 400 imprese dallautorevole associazione statunitense dei produttori di macchine (PMMI), fra le circostanze che incidono negativamente sulla redditività dimpresa viene spesso citata la necessità di adattare le linee di confezionamento a nuovi materiali e nuovi contenitori. Uno dei motori del cambiamento è costituito, sempre più frequentemente, dalla legislazione sullambiente che - in rapida evoluzione - impone di rivisitare singoli fattori, criteri di giudizio e, talvolta, visioni generali. Ecco qualche spunto di riflessione, da leggere come contributo a un marketing ecologico. Domande chiave È quasi superfluo ricordare i motivi che spingono unazienda a modificare le proprie confezioni: le strategie di prodotto e di mercato figurano al primo posto, ma da qualche anno anche le tematiche ambientali e la pertinente legislazione stanno assumendo ruoli determinanti, interferendo con le strategie aziendali e generando elementi di disturbo che devono essere integrati nei processi decisionali. Le domande ricorrenti cui il management è chiamato a rispondere sono: Da quali materiali sono composti gli imballaggi? Quanta e che tipo di energia è stata utilizzata per la loro produzione? Quanti e quali tipi di rifiuti genereranno? Sarà possibile riutilizzarli, riciclarli o dovranno essere semplicemente distrutti? Quali sostanze ecologicamente poco compatibili potrebbero essere prodotte durante il riciclaggio, lincenerimento o la dismissione in discarica? E ancora: Gli imballaggi utilizzati sono ridotti al minimo indispensabile o si può ravvisare dellover packaging? La catena logistica e i trasporti sono stati ottimizzati o si sono verificati degli sprechi? Queste premesse ben evidenziano come limpegno per la progettazione di un packaging ecologico non sia più soltanto una moda ma diventi un dovere, dettato dalla necessità di rispondere alle richieste dei movimenti dopinione a difesa dellambiente, dalladeguamento a sempre nuovi criteri stabiliti con accordi volontari fra le parti sociali e dal rapido evolvere della legislazione in materia, che indica la direzione e il ruolo che ciascuno deve assumere. Conflitti dinteresse e nuove strategie Possono, in questo contesto, crearsi conflitti dinteresse tra esigenze aziendali, tese a mantenere alti i livelli di redditività, ed esigenze ambientali che obbligano lazienda a sostenere investimenti e costi sociali crescenti - prima non preventivati e computati - per ladeguamento di impianti e produzioni. Ed emergono, così, nuove regole di gestione per le imprese che devono riorganizzarsi, assorbire i cambiamenti dettati dal problema ambientale e scontare contemporaneamente gli effetti dincertezza che da essi derivano. Le strategie adottate sono alquanto diversificate: le molte aziende che già individuano nella variabile Ambiente un fattore di successo tendono a precorrere la legislazione ponendosi obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli già definiti in sede normativa; buona parte delle altre si limita a reagire, uniformandosi ai dettati di legge; una piccola minoranza rimane tuttora inerte, sperando di poter in qualche modo sfuggire ai controlli e approfittare delle (peraltro sempre più ridotte) lacune del sistema di gestione delle politiche ambientali. Nei primi due casi è dobbligo ricorrere a strategie di processo e prodotto che prevedano luso di tecnologie più pulite anche per la produzione e lutilizzo degli imballaggi, nonché la razionalizzazione e il risparmio di materie prime e risorse ambientali. I problemi gestionali che ne possono derivare sono legati ai maggiori costi da sostenere, allesigenza di migliorare comunque i risultati, alla facilità dintroduzione e uso delle nuove tecnologie, al bisogno di modificare metodi di lavoro e routine di produzione innalzando, di conseguenza, il livello di conoscenze e competenze del personale. Altri problemi potrebbero derivare da unevoluzione della normativa sempre più veloce, che comporta tempi di adeguamento molto stretti e talvolta inferiori a quelli necessari alla realizzazione delle opportune azioni correttive. Breve storia di un cambiamento I problemi, dunque, non sono banali ma si registrano anche casi in cui le modifiche agli imballaggi generate dalla pressione di nuove legislazioni ambientali danno vita (se ben condotte) a cambiamenti epocali nei mercati e negli stili di vita. Si riconsideri, a titolo di esempio, quanto accadde dieci anni fa nel settore delle bevande analcoliche, i cui contenitori - soprattutto se di plastica - sono periodicamente oggetto di critiche sul piano dellimpatto ambientale. Nel novembre 1991, quando già una buona parte delle bottiglie di vetro era stata sostituita dal PVC, la Svizzera vietò luso di questultimo materiale nel beverage stimando che il suo incenerimento poteva essere potenzialmente pericoloso per la salute e lambiente. Sulla scia di questo divieto anche la grande distribuzione olandese mise subito al bando le bevande in bottiglie di PVC. Le maggiori aziende del settore, che già allora esportavano gran parte della propria produzione, si trovarono di fronte a un bivio: tornare a potenziare gli impianti del vetro (a rendere o a perdere secondo i casi) o investire in maniera massiccia in impianti per il PET. La decisione, apparentemente semplice, racchiudeva in sé diversi elementi dincertezza: lanalisi dei costi a lungo termine favoriva sicuramente il PET, ma a beneficio del vetro giocava il fatto che in alcuni Paesi era ancora radicato limpiego di bottiglie a rendere, che questo sistema non era mai stato criticato dai consumatori e che, anzi, era spesso considerato - a torto o a ragione - una panacea per i problemi originati dai rifiuti dimballaggio. Inoltre, i sistemi di cauzione per i vuoti a rendere erano ancora molto diffusi, soprattutto nei canali Horeca, e avevano sempre dato prova di funzionalità e affidabilità. Il mercato si orientò verso il PET che, pur essendo allora più costoso del PVC, presentava vantaggi e prospettive di sviluppo legati soprattutto alle proprie caratteristiche fisiche e meccaniche: la maggior trasparenza favoriva lestetica delle bottiglie, la maggiore resistenza consentiva lo sviluppo di forme innovative, la possibilità di compattare le bottiglie vuote riducendo lingombro dei rifiuti domestici costituiva un plus reale di servizio da evidenziare anche ai consumatori. Inoltre, il PET era in generale percepito come materiale non dannoso per lambiente. Naturalmente, le prime ad attuare il cambiamento furono le Imprese già avvezze a innovare e capaci di comunicare i vantaggi delle nuove tecnologie. Fu una scommessa basata su più punti di forza, lanciata in un mercato pronto ad accettare questa innovazione e in cui una nuova legislazione ambientale - sia pur limitata a un solo Paese - era diventata parte integrante della matrice decisionale e aveva anche agito da sprone per la trasformazione. Inoltre il know-how e labitudine a innovare fornirono alle aziende non solo i mezzi per agire ma anche gli elementi per decidere quale fosse il momento più appropriato per introdurre il cambiamento. I costi dellinnovazione Questo caso è tuttora illuminante e può costituire un riferimento per le imprese intenzionate a focalizzare le attività del proprio marketing sulleco-efficienza di un nuovo imballaggio. Le strategie commerciali e pubblicitarie potranno, infatti, enfatizzare le caratteristiche del nuovo materiale, evidenziandone il basso/minor impatto ambientale e le migliorate capacità di soddisfare i bisogni del consumatore. Ma, come ogni innovazione, anche la maggior ecologicità può influenzare i costi aziendali e riflettersi quindi sui prezzi al consumatore. Si considerino le tre possibilità più semplici: i prezzi scendono in conseguenza di scelte aziendali più eco-efficienti; i prezzi salgono per ammortizzare i nuovi investimenti e laumento dei costi; i prezzi restano invariati a fronte di una crescita dei volumi. Nel primo caso il marketing avrà il compito di sottolineare i benefici anche monetari che derivano ai consumatori dalla maggiore attenzione ambientale. Nel secondo caso lazienda dovrà tratteggiare gli scenari più probabili in un orizzonte di consumo orientato allambiente, e impostare di conseguenza efficaci politiche di marketing centrate sul prodotto ecologico (si cercherà di incentivare una situazione di mercato in cui i consumatori siano disposti a sopportare il suddetto incremento dei prezzi). Lazienda potrebbe dover sostenere un aumento dei costi fissi e quindi dei costi totali di produzione dovuti allintroduzione del nuovo packaging ecologico. In queste circostanze da una semplice analisi del punto dequilibrio sarà possibile ricavare quale dovrà essere il nuovo prezzo per garantire i medesimi margini di profitto (figura 1). In pratica, in questo come in ogni altro caso di intervento strategico, è necessario verificare le possibili alternative favorevoli alla redditività dellimpresa, tenendo presente che è tuttora valido il principio chi inquina paga comparso per la prima volta nella legislazione comunitaria del 1975. Che è un principio strettamente economico - non etico - dal momento che lascia alle imprese la piena libertà, laddove il mercato lo consenta, di trasferire sui prezzi di vendita laumento di costi derivato da interventi a favore dellambiente. Un grosso limite alla pratica realizzazione di questo principio sta nel fatto che i consumatori spesso non possiedono tutte le informazioni necessarie per valutare lecologicità dei diversi imballaggi che sono loro proposti. Maria Zemira Nocit Tecnologo di packaging | | Elements of ecological marketing Environmental legislation as regards packaging stimulates innovation, affects productivity, generates costs and influences prices. How to translate these new variables into elements for ecological marketing. As emerges from a recent study carried out on over 400 companies by the powerful US machine producers association PMMI, the need to adapt packaging lines to new materials and new containers is often cited among circumstances negatively affecting company profitability. Environmental legislation - in rapid evolution - is evermore frequently seen as constituting one of the motors of change, imposing a review of single factors, criteria of judgement and, at times, the general view of things. Here is some food for thought, to be read as a contribution towards what could be called ecological marketing. Key questions It is almost superfluous to cite the reasons that cause a company to modify its own packaging: product and market strategies occupy first place, but for some time now environmental themes and pertinent legislation are taking on a decisive role, interfering with company strategy and generating disturbances that have to be integrated into decisional processes. The questions that management is repeatedly called to respond to are: What materials is the packaging made out of? How much and what type of energy has been used for its production? How much and what type of waste does it generate? Is it reusable, recyclable or will it simply have to be destroyed? What ecologically non compatible substances could be produced during the recycling, the incineration or disposal operations? Has the packaging used been reduced to the indispensable minimum or is there a presence of overpackaging? Have the logistics and transport chains been optimised or does waste occur? These features highlight how the commitment to designing ecological packaging is not only just a fashion, rather it has become a duty, dictated by the need to respond to the demands of public opinion movements in defence of the environment and to bringing things into line with the new criteria established with voluntary agreements between the various collective bodies. And there again one has the rapid evolution of legislation on the subject, legislation indicating the direction and the role that should be taken. Conflict of interest and new strategies This can lead to the generation of conflicts of interest between company requirements, intent on keeping high levels of profitability, and environmental demands that force the company to take on growing investments and social costs - not hitherto estimated and calculated - in order to suit systems and production. And thus one has new rules of management for the companies that have to reorganise, absorb the changes dictated by the environmental problems and at the same time pay for the effects of uncertainty that derive from the same. Different strategies have been adopted: the many companies that already see the environmental variant as a success factor tend to precede the legislation setting themselves objectives that are more ambitious than those defined by the said standards; most of the rest limit themselves to reacting by conforming to the legal dictum; a small minority all the same remains inert, hoping in some way to elude the controls and take advantage of the fast disappearing loopholes in the system for managing environmental policies. In the first two cases one is obliged to resort to product and process strategies that lead to the use of cleaner technology also as far as packaging production and usage is concerned, as well as the rationalisation and saving of raw materials and environmental resources. The management problems that may derive partially come from the greater costs that need to be footed, from the need to at any rate improve results, from how easy it is to introduce and use the new technologies, from the need to modify work methods and production routines by consequently raising the level of the knowhow and awareness of the personnel. Other problems might derive from the speedier evolution of standards, entailing limited times of adjustment, which may be below the time actually needed to take suitable corrective action. Brief history of change The problems are not in any way banal but one also has cases in which the modifications to packaging generated by the pressure of new environmental legislation - if well carried out - give rise to epoch-making changes in the markets and in lifestyles in general. We would do well to recall, as a form of example, what happened ten years ago in the non alcoholic drinks sector; a sector, the containers of which - aboveall those in plastic - are periodically the target of criticism in terms of their environmental impact. In November 1991, when most of the glass bottles had already been substituted by PVC, Switzerland prohibited the use of the latter material in beverages, deeming that its incineration could be potentially dangerous for public health and the environment. In the wake of this ban, broadscale Dutch distribution also immediately banned beverages bottled in PVC. The largest companies in the sector, already at that time exporting most of their output, found themselves facing a quandary: should they go back and reinforce their systems for glass (returnable or disposable depending on the cases) or invest massively in plants for producing PET?. The decision, apparently simple, comprised various elements of uncertainty: the longterm analyses of costs surely favoured PET, but glass benefited by the fact that in some countries the use of returnable bottles was still fairly rooted; indeed this system had never met criticism from the consumers and rather it was often considered - rightly or wrongly - a panacea for the problems deriving from packaging waste. As well as that, systems offering money back on returnable bottles were still very common, aboveall in Horeca channels, always having proven functional and reliable. The market went in the direction of PET, that, even though it was more costly than PVC, presented advantages and development prospects linked aboveall to its own physical and mechanical characteristics: the greater transparency made the appearance of the bottles more appealing, its greater sturdiness enabled the development of innovatory forms, the possibility of compacting the empty bottles reducing the bulk of domestic waste constituted a real service plus to be shown off to the consumers. As well as that PET was generally perceived as a material that did not cause damage to the environment. Naturally the first to make the changes were the companies already inclined to innovation and capable of communicating the advantages of the new technology. it was a wager that rested on several key points, launched by a market ready to accept this innovation and in which a new environmental legislation - all the same limited to a single country - had become an integral part of the decisional matrix and had also paved the way for the change. As well as that the knowhow and the tendency to innovate not only gave the companies the means to act but also the elements to decide the most appropriate moment to introduce the change. The costs of innovation This case is still illuminating and can constitute a reference for the companies that intend focusing their own marketing activities on gauging the eco-efficiency of a new packaging item. The commercial and advertising strategies will in fact see to emphasising the characteristics of the new material, highlighting the low/lesser environmental impact and the improved capacity to satisfy consumer needs. But, as with any innovation, its greater ecological qualities can affect company cost and hence be reflected in consumer prices. Here we can consider the three simplest possibilities: prices drop in consequence of more eco-efficient company choices; prices rise to pay off new investments and cost increases; prices remain the same thanks to an increase in volumes. In the first case marketing will have the task of underlining the benefits, also financial, provided to the consumer by the greater attention paid to the environmental side of things. In the second case the company will have to trace out the most probable scenarios of environmentally oriented consumption, and as a consequence tune effective marketing policies to centring on the ecological features of the product (one would try and incentivate a market situation where the consumers are prepared to accept the above mentioned price increase). The company might be forced to foot an increase in fixed costs and hence of the total costs of production due to the introduction of new ecological packaging. In these circumstances from a simple analysis of the point of balance one will be able to attain the new price in order to guarantee the same profit margins (figure 1). Practically speaking, in this as in other cases of strategic intervention, one need check the possible alternatives for enhancing company profitability, bearing in mind the principle of he who pollutes pays, that appeared for the fist item in the community legislation of 1975, is still valid. This is principle that is strictly economic - not ethical- in that it leaves the companies the freedom, where the market allows it, to transfer the increase in costs of environmentally favourable undertakings onto the sales price. A great limit to the practical realisation of this principle lies in the fact that the consumers often do not possess all the information needed to rate the ecological nature of the different packaging items placed before them. Maria Zemira Nociti Packaging technologist | |