Stefano Lavorini











Bene… Siete soddisfatti di come state portando avanti il vostro lavoro? Avete intorno collaboratori motivati e partecipativi? Gli affari prosperano, i clienti pagano, la concorrenza perde i colpi? Beh, allora smettete di leggere e dedicatevi ad altro.
Se siete invece un po' in affanno, se vorreste veder cambiare tutto nella continuità, se avete qualche dubbio su come rinnovarvi per essere più competitivi, consolatevi pensando che, in fondo, siete “normali” e in buona e numerosa compagnia.
Nella UE, infatti, le piccole e medie imprese sono la quasi totalità e questo nonostante siano proprio quelle realtà che oggi fanno più fatica a portare avanti “il processo di crescita degli strumenti sia teorici sia materiali tramite cui l'economia agisce sui propri oggetti economici".
Facciamola più semplice. I Ministri partecipanti al Consiglio "Sulla Competitività", tenutosi a Bruxelles nel 2003, hanno chiarito che: "L'innovazione non riguarda solo la tecnologia e può assumere forme diverse, per esempio lo sviluppo di nuovi concetti commerciali e nuovi mezzi di distribuzione, la commercializzazione e la progettazione o i cambiamenti organizzativi e d'immagine".
Un concetto rassicurante e, tutto sommato, alla portata delle tante, tantissime aziende, alla seconda o terza generazione imprenditoriale, che però si trovano, da un punto di vista organizzativo, nella loro fase pionieristica. L’epiteto non è certo sinonimo di insuccesso e la storia testimonia che le stesse stanno generando lavoro e benessere economico.
Ma bisogna guardare in faccia la realtà - come direbbe il mio amico Claudio Sorbo - e prendere atto di alcune criticità tanto diffuse, quanto sottovalutate.
Ecco, quindi, una breve check list da spuntare a piacere:
- dominanza del “fare” rispetto al “progettare”: l’imprenditore/manager è impegnato in prima persona nell’espletamento di attività contingenti, di carattere routinario o eccezionale;
- prevalere dell’urgenza rispetto all’importanza: domina la cultura dell’emergenza e quindi si dà maggior valore all’eliminazione delle urgenze, perdendo di vista le cose importanti;
- perdita del controllo sul tempo: l’imprenditore/manager dedica all’impresa più tempo di quanto non le venga dedicato da qualsiasi altro dipendente;
- frettolosità e informalità nell’assunzione delle decisioni: le scelte vengono fatte estemporaneamente nei posti e nelle ore più impensabili;
- mancanza di confronto e informalità nell’assunzione delle decisioni: l’imprenditore/manager assume le decisioni da solo o al massimo si confronta con persone di fiducia estranee all’impresa;
- basso controllo sui costi e sulle attività economiche e finanziarie dell’azienda: l’imprenditore/manager si limita sovente a esaminare la “bottom line”. Di rado sono verificati aspetti come il controllo di gestione, analisi dei costi, ammontare degli investimenti e soprattutto il loro ritorno economico/finanziario.
Tutte queste criticità sono motivate dall’esigenza di “fare”, “produrre”, “fatturare”: il tutto, per l’ansia primaria dell’imprenditore/manager di acquisire commesse che consentano la sopravvivenza nel tempo. Agendo nel modo descritto, finisce però per recitare più il ruolo di artigiano (che “fa”) rispetto a quello di imprenditore (che “fa fare”), diventando talvolta addirittura un freno allo sviluppo aziendale.
E allora: “Che fare?”
Viene il sospetto che, per prima cosa, sia l’imprenditore/manager a doversi migliorare, soprattutto in termini di capacità di delega e motivazione del personale, così da liberare tempo e dedicarsi a identificare le attività imprenditoriali, di progettazione e di controllo da svolgere prioritariamente.
Questo recitano dottrina e buon senso, ma forse non è neanche così. Di certo, però, investire sulle proprie capacità, male non fa.







Check list
OK… Are you satisfied with the way your work is going? Are you surrounded by staff that are motivated who willingly take part? So business is booming, your customers are paying up, and your competitors are losing their edge? Well if that’s the case you can leave off reading this and get on with something else.
If though you are finding things a bit hard going, if you want to see everything change in continuity, if you have some doubts as to how to renew and be more competitive, console yourself, when it comes down to it you are “normal” and in good (and numerous) company.
In the EU in fact the small-to-medium-sized firms virtually make up the total, and this despite the fact that they are the concerns that find it hardest going to get on with “the process of development of the tools, both theoretical and material, by way of which the economy acts on its economic objects”.
Let’s try and make things easier. The ministers taking part at the Council “On Competitivity”, held at Brussels in 2003, clarified the fact that: “innovation not only concerns technology and can take on different forms, for example the development of new commercial concepts and new means of distribution, commercialisation and design or organizational changes and changes of image”. A reassuring concept and that all told, is within the grasp of the many, truly many concerns in the second or third entrepreneurial generation, that though, from an organizational point of view still find themselves in their pioneer phase. The epithet is certainly not a synonym of lack of success and history bears witness that the same are generating work and economic affluence. But one has to look reality in the face - as my friend Claudio Sorbo would say - and consider some common, and even underrated critical features.
Here is hence a brief checklist to be ticked off at will.
- Domination of “doing” rather than “planning”: the entrepreneur/manager is directly tied up in carrying out contingent, routine or extraordinary business;
- prevailing of urgency as opposed to importance: an emergency culture dominates and hence greater value is given to eliminating urgencies, losing sight of what is important;
- loss of control over time: the entrepreneur/manager dedicates more time to the company than is dedicated by any other employee;
- hasty informal decision making: choices are made offhand in the most unlikely places at the most unlikely times;
- lack of discussion and informality in taking decisions: the entrepreneur/manager takes decisions on his own or at most he discusses things with people he trusts outside the concern;
- little control over costs and over the economic and financial activities of the concern: the entrepreneur/manager often does not go beyond examining the “bottom line”. Only rarely are checks made on aspects such as conduct of business, cost analyses, the amount of invested capital and aboveall the economic/financial return on the same.
All these critical features are motivated by the need to “do”, “produce”, “invoice”: all this to allay the primary anxiety of the entrepreneur/manager to get orders that enable survival in time. Acting as described above, he ends up more playing the role of the artisan (who “does”) rather than the manager (who “has things done”), even at times acting as a brake on company growth.
Hence: “What is to be done?”
One has the suspicion that firstly it is the entrepreneur/manager that ought to improve, aboveall in terms of capacity to delegate and motivate the personnel, so as to free up time to dedicate to identifying entrepreneurial activities, activities of planning and control to be carried out as a priority.
This is what doctrine and good sense tells us, but perhaps things are not like that. Certainly though investing in ones own capacity Is no bad thing.