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March 2003
Stefano Lavorini
Puella pulchra est

Pointed-toe old rose pink satin slippers, delicate stitching along the top and along the very low heels. This was what I noticed first. Then, further up, I saw the tapered foot and the slender but strong ankles that rose up toward a beautifully sculpted calf.
I became aware only then of the rest of a young woman bent over on the ground, who was busily picking something up off the floor, something that I couldn't make out. I felt immediately distressed by that full profile, so gracefully acquiescent, yet so resolute.
I shifted my gaze to meet her eyes and that's when I was confronted by a dark stare that remarkably humoured my intentions. Involuntarily, in my surprise at being exposed in my bewilderment, I took a step backward – in a hackneyed gesture of polite convention and attention.
Her face was an image of perfection in its features and proportions, framed by a crown of long black tresses, artfully tousled with divine aesthetic elegance.
You see, dear readers, it is not always easy to remain masters of ourselves, especially when we find ourselves face to face with what in our imagination has always remained a dream, beyond the "exciting" implications (never to be discounted) and the metaphysical reflections on our own existence (not to be underestimated).
What I witnessed, dumbfounded, was a beauty so pure as to successfully rewrite the plurality of personalities and smooth out the contrasts of my being into a sort of Utopian wholeness.
Finally, lifting me out of my state of rapture in which I had been left abandoned, I was struck by the sound of her voice that – as you can well imagine – was smooth, decisive, and with excellent diction, as she said to me: "I feel your feelings in me, as well as my own. As a precious gift given without indignity, I give you my soul, my spirit, so that you can create what we have always instinctively desired. And yet …"
Her sentence was left unfinished as she was interrupted by an explosion that swept her away, erasing her existence as easily as unwanted writing on a blackboard.
I, unharmed, was left bewildered and powerless while an uncontrollable ache cleaved a devastating path in my brain. And it was only at that moment that I remembered. “Oh my God, it is war. This is war”, I screamed.
I closed my eyes and prayed that it wasn't happening again. I tried to convince myself that it could never be like this again. Not again like this. Never again. No, it can't happen to us again. It must never happen again!
Milan, 15 February 2003


Scarpette a punta di raso rosa antico, con cucitura superiore e sul tacco, bassissimo. Questo fu ciò che vidi per prima cosa e poi, di seguito, il piede affusolato e la caviglia snella e forte, che saliva verso un polpaccio tornito con sapienza.
Mi resi conto solo allora della presenza di una giovane che, accovacciata, era intenta a raccogliere qualche oggetto che non potevo vedere e mi sentii subito turbato da quel profilo pieno, tanto di arrendevole grazia, quanto di determinato vigore.
Distolsi gli occhi a incontrare i suoi, scoprendo uno sguardo bruno che compiaceva in modo stupefacente le mie intenzioni. Feci quasi per arretrare, tanta la sorpresa nello scoprirmi – in un banale gesto di educata convenienza e attenzione – intento allo sbigottimento.
Il suo volto era un’icona di perfezione nei lineamenti e nelle proporzioni, incorniciata da lunghi capelli neri, scompigliati dal garbo estetico di una fantasia divina.
Vedete, cari lettori, non è facile restare padroni di se stessi, trovandosi faccia a faccia con quanto nell’immaginazione abbiamo sempre considerato semplicemente un sogno, al di là delle implicazioni “eccitazionali” (tutt’altro che da trascurare) e delle considerazioni metafisiche sul senso dell’esistenza (niente affatto da sottovalutare).
Si trattava, incredibile, di una bellezza così pura da saper ricomporre la pluralità dell’io, armonizzando i contrasti dell’essere in una sorta di interezza utopica.
Finalmente, a sollevarmi dallo stato di rapimento in cui ero sprofondato, mi giunse il suono della sua voce che – come potete ben immaginare – soave, senza tentennamenti e con rigoroso articolare, disse: “Ho in me i tuoi sentimenti, che sono anche i miei. Come bene prezioso reso senza vergogna, ti dono la mia anima, affinché possa realizzarsi quello che abbiamo sempre, pur non sapendolo, voluto. Eppure…”
Non seppe terminare la frase, interrotta da una deflagrazione che la folgorò, cancellandola via come insignificante segno su una lavagna.
Io, indenne, restai attonito e impotente mentre un dolore incontrollabile si apriva una strada devastante nella mia mente. E fu solo allora che ricordai. “Oddio, è la guerra. Questa è la guerra”, urlai.
Chiusi gli occhi, e pensai che non poteva essere di nuovo così. Provai a convincermi che non poteva essere di nuovo così. Di nuovo così. Ancora così. NO, non può essere ancora, Non deve essere più!

Milano, 15 febbraio 2003